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#1161: West (blue) side story; Inferno; ehi tu porco… levale le mani di dosso

del pirata Stefano 'Cenere' Potì

Well it’s one, two, three, take my hand and come with me
Because you look so fine that I really wanna make you mine…
I said, are you gonna be my girl?


– Jet, Are you gonna be my girl

C’erano giorni in cui God Valley sembrava il posto dove Dio decise di fare un barbecue con l’inferno come combustibile, beh, allora questo fu uno di quei giorni in cui il diavolo stesso avrebbe chiesto uno sconto sul biglietto d’ingresso.
Oda disseziona il cuore di One Piece, mettendo a nudo vene di tradimento, speranza e furia primordiale.

Dragon, con Shanks tra le braccia, è un uomo che porta il peso di un mondo che lo ha tradito, inciampando ad ogni passo nel proprio destino. Rayleigh, con quella Higanbana che sboccia come un fiore d’acciaio, non solo salva Shakky, ma strappa un brandello di libertà da un’isola che puzza di catene e sangue. Mentre Roger sembra un poeta col cuore spezzato… ma che trasforma una ritirata in un inno alla vita.
Garp merita una menzione a sé – quel pugno di ferro avvolto in carne umana – decise che era ora di fare un po’ di giardinaggio, piantando i pugni nella terra come se stesse seminando Myosotis (non ti scordar di me) per la fioritura dell’anno successivo.

Eppure, tra il clangore delle spade e il rombo degli spari c’è un’ironia feroce: i pirati di Hachinosu, convinti di essere furbi come volpi in un pollaio, decidono che è il momento giusto per fare carriera ammazzando leggende.
Errore numero uno: non si cerca di uccidere l’apocalisse quando è di cattivo umore.
La risposta infatti arriva in una doppia pagina di violenza pura che avrebbe fatto piangere di gioia un macellaio texano.

Preparatevi, mes amis, perché questo capitolo è un requiem per i sogni infranti e un inno per quelli che, nonostante tutto, continuano a bruciare.

E’ il momento dell’Elzeviro

L’haiku del caos

Oggi abbiamo sia una Color Spread che la mini avventura, divise tra ironia e cultura radicate nella tradizione giapponese. Diciamocelo, è imprevedibile dove voglia andare a parare questa cover story, quindi preferisco usare un tono da cronista che ha smesso di credere alle storie ma non alle promesse.

La Color Spread è un circo sghembo dove la ciurma di Cappello di Paglia si accapiglia davanti a un crane game, creando un’immagine vivace che contrasta con la drammaticità degli eventi di God Valley. Come se il One Piece fosse diventato un peluche di Shanks da due soldi.
Ma è il significato dopo la prima occhiata che conta davvero.

Sanji stringe un grappolo indefinito di donne dalle quali è attratto, Luffy e Nami si contendono l’equivalente della loro infanzia attraverso un Chopper farlocco, Zoro giace sdraiato su un pupazzo di Shirahoshi, mentre la renna – ormai canonicamente ridotta a portachiavi anche per l’autore – smadonna incastrata nella macchina, cercando di attirare l’attenzione di un Usopp convinto di fare centro e una Robin che non vede altro che il pupazzetto di Clover.
Sopra tutto questo, svetta un motto: What we hold in our hearts is ours forever. Pende come l’insegna di un bar chiuso. Se per un istante la nostalgia ti ha sopraffatto, poi ridi, perché sai che il cuore non è solo un baule di giocattoli rotti.

Salto di scena: un santuario di Wano dove Yamato, Kin’emon e Momonosuke si inginocchiano, circondati da una ventina di lanterne di carta. Chōchin bianche che sussurrano nomi come un vento che non sa dove andare: Kozuki Oden, Toki, Izou, Ashura Doji, Yasuie, e quella nota che sa di Kurozumi e puzza di trappola narrativa.

Non è decorazione fine a se stessa. Oda pesca dritto da Obon, quel rito d’agosto dove i giapponesi accendono lanterne per chiamare i morti a casa – chōchin o tōrō, di carta o pietra, che brillano per tre giorni, finché Toro Nagashi non le affida ai fiumi con messaggi che dicono “torna l’anno prossimo” o “perdonaci”.
È un’eco shinto-buddhista, un rituale che in Giappone è memoria viva. Non a caso, lo Oda trasforma in omaggio senza piegarsi al sentimentalismo.

Mentre ridiamo ancora della ciurma che litiga come bambini, accendiamo un lume per un messaggio doppiamente intelligente: in questo mare di carta, anche i peluche e le lanterne ci ricordano che il vero tesoro è ciò che ci ostiniamo a non mollare.
Ma qui si aggiunge un dettaglio che esce dalla cultura nipponica stessa.

A Wano, queste lanterne non galleggiano: stanno ferme, legate al santuario.
Come se l’autore volesse dirci che gli eroi non se ne vanno. Mica male.

Tempo di cambiare registro e tuffarsi nel Ventre del Caos.
Oggi si parla di Ying – un banchetto di violenza e nostalgia – e di Yang, un delicato haiku sporco di salsedine. Ma comunque un timer collegato al DNA stesso di One Piece, e quando detonerà, i pezzi ricadranno su tutto quello che pensavamo di sapere.

Signore e signori: capitolo 1161.

Angeli e Demoni

È stato allora che ho capito che dovevo cambiare.
Così, ho fatto una lista di tutte le cose cattive che ho fatto e, una per una, le riparerò tutte. Una per una, rimedierò a tutti i miei errori
.’

My name is Earl

C’è un momento nella serializzazione di un manga in cui l’autore smette di giocare a scacchi e inizia a giocare a poker. Il capitolo 1161 è questo momento. Oda ha deciso di mostrare le carte, finalmente, e quello che emerge dall’arazzo di Elbaph non è solo trama orizzontale ma un’anatomia del potere che fa tremare i polsi.

Tre questioni si presentano nella sola apertura: una falla narrativa che puzza di cover-up istituzionale, uno sviluppo di trama che trasforma ogni certezza in sabbia mobile, una questione caratteriale che spacca la morale in due emisferi inconciliabili.

I Marine si ritirano dalle navi. Almeno inizialmente. Quelli che sorvegliavano i civili durante i “giochi” sparivano discretamente, lasciando il palcoscenico pulito per lo spettacolo. Ma questi soldati che vediamo ora non appartengono a un altro capitolo del manuale: sono probabilmente gli scaglioni precedenti richiamati a bordo, o le guardie personali dei Tenryūbito. Oda ci tiene all’oscuro degli equilibri interni della Marina come un prestigiatore che nasconde l’asso nella manica.
Ma l’impossibile matematico resta: questi soldati sanno cosa sono davvero i “giochi”. Come a Mary Geoise, anche qui ci sono megaschermi e telecronache dal vivo, neanche fossero al Derby di Epsom. Solo che i purosangue sono esseri umani e il premio finale è restare vivi.

Se i giochi si ripetono ogni tre anni, quanti Marine hanno il sangue sotto le unghie? La domanda mi perseguita perché la logica è ferrea: o sei cieco o sei complice. Non esistono sfumature quando organizzi safari umani per divertimento.
Facciamo i conti in tasca alla corruzione. Chi ha le mani sporche per vocazione sono i fanatici della CP, da Lucci che uccide sorridendo ad Alpha, sorella di Khalifa con la passione per la sofferenza altrui. Ma la CP sono commandos, non divisioni corazzate. Il copione dovrebbe essere lineare, i Marine preparano il set, poi evaporano mentre i padroni si scatenano.

Invece la regia è più sporca.
Ho controllato svariate traduzioni, il dialogo tra Tenryūbito e Marine non lascia dubbi. Il Drago Celeste esplode perché aveva puntato uno dei “premi”, il soldato lo scorta verso la zona sicura e si assume la responsabilità di “recupero”. I Marine hanno quindi protocolli standard per salvaguardare e recuperare esseri umani umani. Ci rendiamo conto? Neanche fossero pacchi smarriti alle Poste invece che persone in fuga per la vita.
Benson echeggia nella mia testa: “Ma voi mi state pigliando per il c**o?

Ora, non dico che sappiano tutto per filo e per segno – mi rifiuto di crederlo – ma che un bel po’ di gente abbia la coscienza sporca, questo sì.
Per pura inferenza logica, ditemi voi: è più plausibile che sia esistito un solo uomo giusto in 900 anni, ossia Dragon?
O piuttosto che i conti non tornassero a molti, moltissimi, eppure era più semplice darsi motivazioni di circostanza, convincendosi di stare dalla parte del giusto?
Vorrei tanto chiederlo a Kizaru.

Che momento indimenticabile sarà, quando l’ammiraglio dirà ad alta voce: “Ora basta.”

E la S.W.O.R.D.?
La vignetta del marine appena mostrata non evidenzia forse l’idea che tanti ufficiali si siano posti dilemmi morali come Dragon, per poi optare per una scelta meno radicale della sua? Senza descrizioni prolisse, cos’è la Spada?

Si parla di un’unità segreta della Marina composta da ufficiali che hanno formalmente presentato le dimissioni, così che l’organizzazione possa disconoscerli in caso di necessità. Agiscono in modo indipendente, senza vincoli gerarchici diretti, affrontando missioni ad alto rischio e operazioni che richiedono la massima segretezza. Come vari fanatici e corrotti si sono trovati un cantuccio comodo nel libro paga del governo, altrettanti hanno deciso di non voltare lo sguardo.
Questa idra ha due teste: Aokiji e Dragon.
Occhio, non sto dicendo che ne fanno parte, bensì che le persone negli anni si siano rese conto, e che la faccenda li abbia spinti ad agire.
L’altra faccia della medaglia morale: mentre i corrotti hanno colonizzato gli uffici governativi, i dubbiosi hanno scelto il contrabbando etico. Dragon che sfascia tutto pubblicamente, Aokiji che mina dal sottosuolo.
Due strategie per la stessa insurrezione silenziosa.

La seconda vignetta sembra circostanziale, ma non lo è. Apre invece strada alla consapevolezza che siamo solo all’inizio della bagarre. Shakky è tra le braccia di Rayleigh, d’accordo, ma ci sono innocenti da salvare – 500 dei quali verranno aiutati solo da Kuma con il suo frutto. Per non parlare della presenza di Saturn, del tradimento di Xebec e di ciò a cui assisterà Teach, dell’intervento di tutti gli altri Cavalieri di Dio, la separazione dei due gemelli con tanto di Shanks messo appositamente in uno scrigno, la mina vagante in vestigia umane quale è Gunko in quanto vettore di Imu che potrebbe manifestarsi, e l’inspiegabile motivo per il quale due “buoni” come Roger e Garp debbano coalizzarsi verso Xebec.

L’uomo che si sta scatenando con l’obiettivo più nobile in assoluto: salvare la propria famiglia. Questo, richiede un ragionamento a parte.

Oda ci sta cucinando la rivelazione più velenosa, il motivo per il quale, pur vedendoli in gruppo, Saturn cercò di uccidere immediatamente Robin, salvata poi dall’intelligenza emotiva di Nami, parlo di qualcosa di cui sentiamo parlare letteralmente da sempre: la storia ufficiale è una menzogna confezionata dai vincitori.
God Valley non è nostalgia ma un’autopsia dell’etica. E potremmo scoprire che il cadavere era già putrefatto prima ancora di morire.

La terza vignetta ci restituisce un Roger ancora sospeso tra sogno e sentimento. Non ha rinunciato a Shakky — il cuore dei pirati batte sempre per qualche chimera — eppure l’amicizia con Rayleigh lo spinge a diversi gesti da amico fedele, come intuire il dolore di Shakky al bar, successivamente fare subito rotta su God Valley, e… bloccare il bisento di Newgate. Ray, come abbiamo visto chiaramente, soffriva in silenzio piuttosto che forzare la mano del suo capitano.

Desidero vedere il flashback di Roger post-alleanza con Garp perché qui stiamo guardando un uomo diviso a metà. In questi ricordi vediamo un pirata immaturo che corre dietro a un’amazzone, il ragazzo deciso a circumnavigare il globo inseguendo riflessi di gloria. Non ancora l’uomo che si imbatterà nei segreti del mondo e, pur potendo intervenire, lascerà l’eredità della pirateria perché altri scoprano la verità. La maturità probabilmente si innesta proprio in questo momento, come… un innesto che cambia per sempre la pianta.

Garp mi delude, e vi spiego perché senza giri di parole. Anche lui porta addosso il peso dell’immaturità giovanile. Tre capitoli ci martellano lo stesso concetto: Xebec è il nemico pubblico, una cometa di fuoco che ha attraversato i mari seminando terrore, più feroce e implacabile dello stesso Gol. Eppure Garp resta immobile, finché non sente nominare il rivale. Non è vanità — non è un vanesio innamorato del proprio mito — né cattiva fede marinara. Bensì gioventù, quella che rende ciechi anche gli integri.

Ecco perché questo capitolo suona come il primo canto dell’Inferno dantesco. Due uomini simili si alleano contro un padre che vuole soltanto salvare i suoi cari, e nell’urto con questa realtà scopriranno l’imprevedibilità dell’umano: il perdono non si concede a comando, gli esiti sfuggono ai calcoli, il bene compiuto genera talvolta nuove, inattese complessità. Il paradosso annuncia uno dei picchi drammatici più alti mai raggiunti da One Piece. Garp e Roger impareranno a convivere con la consapevolezza che ogni scelta è un dialogo — spesso aspro — con l’infinito intreccio delle vite altrui. E scommetto che la loro rivalità scivolerà lentamente nel rispetto reciproco, poi nell’amicizia che abbiamo conosciuto.

Fino al momento in cui un pirata potrà chiedere al proprio nemico di proteggere il bene più prezioso: un figlio.

Su Eris, moglie di Teach, diciamolo senza infingimenti: no.
Non mi lancerò in fantasiose ricostruzioni né in intrecci gustosamente improbabili. Rispetto onestamente la vostra intelligenza — e la mia — per simili acrobazie ermeneutiche. Un nome da solo non costruisce alcuna narrazione credibile; serve il contesto, un qualsivoglia indizio, serve quella coerenza interna che perfino Oda tiene (spesso, non sempre) da conto.

Volete divertirvi con il vostro cronista di fiducia?
Eris affonda le radici nella mitologia greca e porta con sé il peso semantico di “discordia”, “contesa”. La dea che scatenò conflitti per puro capriccio, lanciando la mela d’oro con l’iscrizione “alla più bella” — gesto che innescò la catena di eventi culminata nella guerra di Troia. Xebec dice chiaramente di aver lasciato in patria la propria famiglia al fine della sicurezza .
Il termine Eris deriva dal greco antico ἔρις (éris), sostantivo che evoca dispute e lacerazioni. Ora, per logica narrativa e coerenza tematica, tale nome Oda lo avrebbe riservato a Shakky. Avrebbe avuto nettamente senso. L’ex imperatrice delle Amazzoni, figura magnetica capace di seminare scompiglio nei cuori — e nelle alleanze — dei pirati più temibili.
Lei, non certo la fantomatica consorte di Barbanera di cui abbiamo a malapena visto il viso. Del resto, mi conoscete: qualora emergesse il più tenue indizio, fosse anche impercettibile al primo sguardo, sarei il primo a seguirne le tracce.
Ma qui – ora come ora – non c’è mistero da dipanare, solo un nome gettato nel vortice delle speculazioni senza radici solide su cui attecchire.

Abbiamo nuovi elementi su un certo rivoluzionario però, e qui, fidatevi, lavorerò con la cura di un orologiaio che smonta e rimonta un meccanismo di precisione, pezzo per pezzo, senza perdere nemmeno una vite.

Tagliamo subito la testa al toro. Dragon finisce nel mirino del fandom — ci scherzo anch’io, per carità — ma è vittima delle circostanze narrative. Oda aveva progettato un manga quinquennale; siamo al ventottesimo anno di serializzazione. Fate voi i conti. Il leader rivoluzionario restava prigioniero di eventi specifici, intoccabile fino al momento giusto. Nessun dramma: ora il sensei ce lo restituisce in forma smagliante.

La giustizia, nel suo universo interiore, non si risolve mai in un verdetto esterno. Si manifesta piuttosto nel coraggio di confrontarsi con il proprio passato, nel tentativo ostinato di lasciare il mondo leggermente migliore di come lo si è trovato.
Eccolo, il marine in sintesi.

Trovo i suoi ricordi perfettamente in linea con l’uomo, come lo ricordiamo nei rapporti con gli altri — perfino Sabo. Duro, intransigente, inflessibile.
Esattamente come giudica sé stesso.
God Valley è un lugubre jeu de massacre; l’ex marine si ritiene colpevole anche se ne era all’oscuro. È il personaggio che, più di tutti, desidera l’espiazione. Ora, essendo i soldati inconsapevoli sono praticamente innocenti. Ma vale comunque nel momento in cui inizi a nutrire dubbi verso qualcosa, eppure non alzi un dito? Non ti informi in merito?
Avvenuto qualcosa di spiacevole, qualcosa che avremmo potuto evitare, qualcosa di cui avevamo certezza vi fossero elementi poco puliti, riusciamo a perdonare completamente noi stessi?

Beh… Dragon no.

Poiché, ragioniamoci bene.
Si dichiara complice; quando Maffey sta per calare la lama dice a sé stesso che merita di morire. Suvvia. Non puoi pensare cose simili da innocente. La sua reazione eccessiva tradisce una consapevolezza pregressa. Le voci che giravano sui “giochi triennali” — se le aveva sentite Newgate, figuriamoci i Marine di alto rango. Il futuro leader sapeva, o almeno sospettava, e se così fosse, questo rende la sua colpa auto-inflitta tremendamente realistica.

Ecco che finalmente il personaggio acquista spessore.
C’è una dimensione kafkiana nel modo in cui processa la propria colpevolezza.
Cosa disse Sabo, appena raccolto moribondo? Vado a memoria, perdonatemi: “Vecchio… quelli dietro questo incendio sono la nobiltà e i nobili. Questa città puzza peggio del Gray Terminal. La gente qui è marcia fino al midollo. I cuori dei nobili sono più marci della spazzatura! Ho vergogna di essere nato come uno di loro“.
E che fa il rivoluzionario che non riesce a perdonare se stesso? Guarda il Regno di Goa e proferisce: “Guarda… guarda cosa hai fatto dire a un bambino innocente.
Brividi – è un transfer di colpa perfetto. Dragon proietta su se stesso la vergogna che Sabo prova per la nobiltà, perché si riconosce complice di quel sistema.

La spiegazione del carattere sta nell’essere un pacifista, prima lo era, il tratto più distintivo del soldato risiede nella sua capacità di mantenere un animo determinato nonostante abbia vissuto una delle esperienze più devastanti: realizzare il vero viso dell’istituzione nella quale credeva. Dove altri personaggi potrebbero essere stati corrotti dalla sete di vendetta, Dragon conserva quella che potremmo definire una “compassione rivoluzionaria” – un sentimento che lo porta a cercare una soluzione pacifica addirittura fino all’incontro con Vegapunk.
La purezza del suo senso di giustizia emergeva proprio da questa paradossale coesistenza: da un lato la determinazione assoluta nell’eliminare i predatori per proteggere gli innocenti, dall’altro una profonda empatia nel cercare di mantenere i suoi ideali. Era un ragazzo di buon cuore, e questo, fidatevi, non rappresentava debolezza, ma la massima espressione di forza morale: integrità.
Dragon rappresenta l’anomalia del sistema. Il glitch umano.
Colui che rifiuta il patto silenzioso della catena di comando e decide che alcune cose non possono essere obbedite, indipendentemente dalle conseguenze.

In definitiva, ha lati negativi e positivi.
La sua purezza negli intenti non è statica ma dinamica: si nutre del dolore, lo metabolizza e lo trasforma in una forza protettiva verso tutti gli esseri viventi, purtroppo questa forza nasce dalla durezza del cuore, l’abbiamo visto molte volte.
Ma, permettetemi di offrirvi un pensiero.
In un’epoca in cui molte narrazioni celebrano protagonisti moralmente ambigui o anti-eroi tormentati, il Rivoluzionario rappresenta un ritorno all’eroe puro – non ingenuo, ma purificato attraverso la sofferenza e reso più saldo nelle proprie convinzioni etiche.
Per la prima volta l’abbiam visto davvero umano.

La sua giustizia non è vendicativa ma redentiva – vuole “lasciare il mondo un po’ migliore di come lo ha trovato” proprio perché si sente responsabile di averlo peggiorato.

L’Eredità del Dubbio

‘Mai infatti un uomo simile ha scosso la mia lancia’

– Alcinoo, Odissea

In un manga che da oltre venticinque anni si nutre di segreti stratificati e rivelazioni centellinate, l’apparizione di un personaggio come Saint Maffey crea aspettativa. La sua entrata in scena, nel cuore della rievocazione dell’incidente di God Valley, non è soltanto l’ennesimo tassello in un mosaico narrativo smisurato: fa pensare che Oda ci lanci un rimando sulla natura occulta e spietata delle istituzioni governative.

Maffey non è introdotta con il fragore dei grandi villain, né con il carisma seduttivo dei pirati che hanno fatto la storia. È invece un’arma fredda, calibrata, calata nel momento esatto in cui la tensione tra Dragon e i Tenryūbito raggiunge un culmine. La sua funzione narrativa non si misura dunque in termini di longevità o complessità psicologica, ma nell’impatto devastante che la sua sola presenza genera.

Se i Nobili Mondiali incarnano la degenerazione del potere, i Cavalieri sono il loro braccio armato, pronti a eseguire ordini senza esitazione. Maffey si muove in questa cornice con la rigidità di chi non agisce per volontà propria, ma come ingranaggio d’un meccanismo secolare. Il suo colpo energetico, scagliato direttamente dalla bocca, evoca più una bocca d’arma che una bocca umana: un dettaglio che rimanda ai Pacifista e alla tecnologia segreta di Mary Geoise, come se il corpo stesso fosse stato piegato a strumento bellico.
Oppure è un frutto, il limite in questa epopea non è il cielo bensì la fantasia, ergo, di cosa stiamo parlando? Lei stessa è un alambicco sfuggito a uno scienziato ubriaco, corna da antichi giganti, dimensioni abnormi e zanne naturali. Non si capisce dove inizi l’ibrido, il fruttato o la specie, e dove finisca l’umano.

Eppure, dietro la brutalità dell’atto — l’attacco mirato a Dragon e al bambino che stringe — si cela un sottotesto più inquietante e netto. Cosa intendo? Semplice, che in poche vignette dimostra quel che Sommers ha esibito in svariati capitoli ad Elbaph.
Se quasi un millennio prima le venti famiglie magari ebbero degli esponenti nobili d’animo, la scelta di vivere tutti insieme ‘fascisticamente’ a Mary Geoise – che Nefertari Lili aggirò – funzionò fin troppo.

Il suo destino, tuttavia, è segnato dall’irrompere di Newgate, che paradossalmente si fa scudo per la sopravvivenza di un futuro rivoluzionario. È quasi una parabola manichea, ma filtrata dall’ambiguità che Oda ama: nessun puro eroe, nessun puro mostro, solo forze in collisione che plasmano la storia.
Qui possiamo supporre solo una svolta, come Sommers nel Warland e i 5 Astri di vecchiume a Egghead, anche lei è protetta dal potere di Imu.

Qui viene il bello.
Un potere simile non si elargisce al primo signor nessuno, i Cavalieri sono tasselli chiave per comprendere i meccanismi che hanno insanguinato God Valley. La sua appartenenza alla famiglia Satchel accende inoltre il sospetto che queste casate nobiliari siano depositarie non soltanto di un titolo, ma di strumenti bellici e retaggi tecnologici che riscrivono l’equilibrio tra potere politico e forza militare.
E, in controluce, suggerisce che i Cavalieri di Dio non sono entità mitologiche intoccabili, ma uomini e donne trasformati in armi, strumenti sostituibili di un potere che li divora alla prima disfatta.

Un’immagine che richiama certe distopie letterarie, da Orwell a Zamiatin, in cui l’individuo smette di parlare e diventa ingranaggio del sistema. Intanto però Dragon sopravvive per la rivoluzione.
E ora, parliamo dei Rocks.

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Deliberatamente malvagi, sboccati, egoisti, bugiardi e traditori per vocazione.
Ma hanno anche dei difetti.
I Rocks mi fanno sempre pensare a Danny De Vito ne I Gemelli

Vincent: “Una famiglia? Intendi, tipo, con un albero di Natale, e la cena del Ringraziamento? E tu e io, e la mamma, e… e un cane, e tutte quelle sciocchezze?” Julius: “Sì, tutte quelle sciocchezze.”
Vincent: “Sempre?”
Julius: “Anche quando sei stato cattivo.”
Vincent: “Oh, sì, sì, sì. Sì, sì, ooh”

Non fraintendete, non desidero santificarli, gente come Kuma ha vissuto l’inferno in terra e ha tratto sempre il meglio da se stesso e dal prossimo, ma rimane pur vero che Kaido ha sempre avuto aspirazioni nobili, tipo quando urlava da bimbo ‘Io non sono una pedina politica!’ a chiunque lo volesse come marionetta del potere; che Big Mom rimane una bambina abbandonata da tutti, e anche se realizzato tramite tirannia, l’idea del Tea Party rimane aspirazione di inclusione massima, un luogo dove nessuno deve sentirsi solo, diverso, rifiutato; per non parlare di Newgate, un uomo che poteva mirare al One Piece, ma preferisce avere una famiglia di orfani.
Orfani del mondo, diventati feroci, indomabili e ribelli, ma questo sono i Rocks.

Vi ricordo inoltre che in questo momento Xebec se ne frega di tesori e fama, e sta correndo dai suoi cari.

La scena in cui gli stessi pirati di Hachinosu attaccano i Rocks gode di fierezza pirata, e non solo. C’è uno strato, più filosofico: la differenza tra il gesto eroico e il gesto di mera performance. La leggenda si costruisce su una durata, sulla durata degli sforzi, sui molti fallimenti che precedono la vittoria — non sull’effimera vetrina dell’uccidere per farsi notare. I pirati d’Hachinosu incarnano l’antitesi: cercano il colpo che dia loro nome e corona, senza aver sopportato il peso della storia. Per questo vengono consumati visivamente; per questo la tavola doppia non è solo massacro, ma catechismo: impari la misura o verrai annientato.
Mettete in sottofondo Domination dei Pantera e riguardatela:

Non voglio però ridurre tutto a una morale semplice.
Se il messaggio è “non sfidare il mito”, la scena è anche ambigua. Chi difende — Newgate, Shiki, Kaido, Big Mom — non sono santi; la loro violenza è altrettanto feroce. Ecco l’ironia maggiore, il mondo che punisce l’arroganza lo fa con armi che a loro volta legittimano il dominio.
Chi guarda la doppia pagina assiste alla liturgia della distruzione. E la liturgia dice che la leggenda si conserva anche uccidendo i dilettanti.
Insomma, se la sò cercata.

E poi diciamocelo, è bello vederli coalizzati per schiacciare gli scarti. Che teneroni (a modo loro, s’intende).

Apro una breve parentesi sul bernoccolo di Shanks, perché ho sentito ogni sorta di teoria a riguardo. Si è parlato di uno scambio di gemelli, di perdita di memoria. Il nome del gemello è irrilevante, tanto è cresciuto con Roger. Quanto alla memoria, cosa può ricordare un infante nella culla?
Praticamente nulla.
Un bambino così piccolo potrebbe aver dimenticato i primissimi ricordi della famiglia o di un fratello accanto a lui. Magari erano sempre insieme, e questo ricordo potrebbe esistere, ma si tratta comunque di una memoria limitata e in gran parte non cosciente, a causa dello sviluppo cerebrale ancora immaturo. Nei primi anni di vita, i ricordi permanenti sono principalmente impliciti (non consapevoli) e si basano su esperienze sensoriali, emotive e associative, piuttosto che su fatti espliciti e dettagliati come quelli degli adulti.

Vi faccio un esempio pratico: Shanks potrebbe ricordare la madre in termini di ripetizione. A quell’età, un genitore prende continuamente in braccio il figlio, lo coccola, lo accarezza, gli canta canzoncine. Questo tipo di esperienze potrebbe plausibilmente lasciare una traccia nella memoria.
Attendiamo ulteriori dettagli.

Poi arriva Garp-boy, ahi.
Avendo recentemente scritto diverse cifre stilistiche che evidenziano le sue carenze morali, ora lasciatemi descrivere cosa vedo nel Marine in questa scena, con onestà.

C’è qualcosa di primitivo, di selvaggio, non è solo disegno su carta – è pura violenza distillata, cristallizzata in inchiostro nero su bianco come sangue rappreso su una lama arrugginita.

God Valley. Il nome stesso suona come un epitaffio inciso sulla pietra tombale della storia. Ed è qui, in questo cimitero di ambizioni e sogni infranti, che abbiamo finalmente visto l’Eroe dei Marine non come leggenda, non come mito sussurrato nei vicoli bui di Water 7 o nelle taverne di Sabaody, ma come quello che è sempre stato: un demone vestito da santo, un mostro che indossa l’uniforme della giustizia.
Immaginate la scena: tre imperatori – Barbabianca, Big Mom, Kaido – creature che hanno fatto tremare il mondo con il loro solo nome, bestie che hanno costruito imperi sui cadaveri dei loro nemici. E poi c’è lui. Garp. Un solo uomo che trasforma questi giganti in bambini spaventati.
So cosa pensa qualcuno di voi ‘si, ma ce l’avrebbe fatta contro tre di loro? Dicono che sarebbe solo una perdita di tempo’, vero, verissimo.
Fatto sta che è il marine ad inseguirli e loro a scappare, sudando copiosamente.

Quando Garp colpisce il suolo, non parliamo di un pugno – ma del giudizio divino che si abbatte sulla terra. Carta canta. Il terreno si spacca come le costole di un dinosauro, e questi tre mostri, questi divoratori di epoche, fanno l’unica cosa sensata che gli rimane: scappano.

Oda non ha disegnato Garp come un eroe in quel pannello maledetto. L’ha disegnato come quello che è sempre stato sotto la vernice dorata della propaganda marina: un predatore perfetto. La sua silhouette non è umana – è demoniaca, mostruosa, un’ombra nera che inghiotte la luce e la speranza con uguale facilità.
Ed è moralmente attrattivo, perché parliamo della stessa giustizia trasmessa a Dragon: se sei forte, è tuo dovere proteggere i deboli, la forza non è privilegio.
Guardate bene quel disegno. Guardatelo fino a quando non vi fa male agli occhi. Quella non è l’aura di un uomo giusto – è il miasma di chi ha camminato attraverso fiumi di sangue e ne è uscito sorridendo.

È l’emanazione di qualcuno che ha guardato negli occhi la morte così spesso che lei ha distolto lo sguardo per prima.

Garp viene generalmente sopravvalutato, ha i suoi scheletri nell’armadio, ma tutti mancano il punto centrale nella sua analisi, la verità nuda e cruda che Oda ha servito su un piatto d’argento: il marine non è invincibile perché è forte.
È invincibile perché in quanto disposto ad andare dove altri non osano nemmeno guardare. Il predatore che cacciava i predatori, la tempesta che spazzava via le altre tempeste.
Ora capiamo perché Luffy è quello che è.
Ora capiamo perché Dragon è diventato il criminale più ricercato al mondo.

Il sangue che scorre nelle loro vene non è sangue normale – ma liquido incendiario, ciliegina sulla ciliegina della torta?
E’ la stessa sostanza che ha fatto storcere il muso a Xebec quando vide sedere sul trono del mondo chi diede la caccia al suo clan.

L’amore ai tempi di God Valley

‘Ehi tu, porco, levale le mani di dosso’

– Rayleigh al ballo ‘Ti schianto sotto il mare’

Cinematograficamente perfetta, intendo la regia dell’incontro tra Rayleigh e Shakky in capitolo. Il Re nella sua reaction del venerdì ha detto ‘absolute cinema’, beh… questo mi ispira il tono del paragrafo.
Ora ci divertiamo.

“La canzone d’amore che soffiò attraverso la pioggia di frecce”, ha quella poetica malinconia che appartiene ai grandi film del nostro cinema italiano, quando ancora sapevamo raccontare l’amore senza vergognarcene.
Shakky… scusa se sono in ritardo. Ma sono venuto a prenderti!!!” – ecco la battuta che ogni donna dovrebbe sentirsi dire almeno una volta nella vita, pronunciata da un uomo che attraversa un pandemonio per raggiungerla. Rayleigh che porge la mano a Shakky rappresenta l’archetipo del cavaliere che arriva quando tutto sembra perduto. Un tantino trito? Ok, va bene. Ma – personalmente – volevo assolutamente vedere come nacque la scintilla tra loro.

Troviamo un Oda furbo, conscio che il melodramma puro stanca, che la commozione senza ironia diventa presto retorica. E così ci regala Roger e Gaban che piangono sullo sfondo, con i loro cuori spezzati dalla gelosia, trasformando la tragedia greca in commedia all’italiana, il sublime nel ridicolo, secondo quella legge eterna per cui ogni grande emozione ha bisogno del suo contrappunto grottesco.

Che poi, diciamocelo: Rayleigh che arriva in ritardo è il più umano dei difetti, quello che ci fa perdonare tutto il resto. Non è l’eroe perfetto che salva la situazione all’ultimo secondo – è l’uomo che sbaglia i tempi, che si scusa, che ammette la propria inadeguatezza davanti all’immensità dell’emozione che una donna più adulta di lui manifestava già apertamente.

È Charlie Chaplin che inciampa sui propri sentimenti, Vittorio Gassman che nel film ‘Il sorpasso’ accelera sconsideratamente i tempi.
È Marcello Mastroianni che arriva sempre nel momento sbagliato ne ‘La dolce vita‘.
Finora.

E Shakky che scoppia in lacrime?
Ma cosa c’è di più vero, di più cinematograficamente puro del pianto liberatorio di chi finalmente può smettere di ostentare forza? In quel momento non è più la macchina d’affari imperturbabile delle Sabaody, e nemmeno il desiderio di ogni uomo che vede solo la superficie delle cose – è semplicemente una donna innamorata che ha aspettato troppo a lungo di sentirsi dire le parole giuste.
Arte del timing narrativo.

Ma prima che l’amore trionfi, Oda ci costringe ad attraversare l’incubo. E quale incubo: San Sommers, nobile mondiale la cui raffinatezza aristocratica nasconde un sadismo che farebbe impallidire il Marchese de Sade stesso.
“Ogni tuo residuo di speranza scomparirà!” – ecco la filosofia del potere assoluto distillata in una battuta che rivela l’essenza più pura del male sistemico. Sommers non tortura Shakky per informazioni, non per vendetta – la tortura per il piacere metafisico di cancellare l’ultimo barlume di umanità dalla sua vittima.

“Ti ucciderò in cinque colpi, assicurati di provare l’angoscia! In ognuno di essi!” – le parole hanno la precisione chirurgica del carnefice aristocratico, la fredda metodicità di chi ha fatto dell’eliminazione della speranza altrui una forma d’arte perversa. È il sadismo elevato a sistema di governo, la crudeltà come espressione della superiorità di casta.
Qui, Xebec e Teach rischiano davvero di diventare degli eroi.

Parliamo realmente di un animale che aspira a qualcosa di raccapricciante, ossia vedere svanire la speranza dal volto di Shakky, e poi contorcersi nel dolore coloro arriveranno in ritardo per salvarla – e qui Oda raggiunge vette di realismo psicologico agghiacciante. Sommers ride della disperazione che ha creato, si nutre letteralmente della sofferenza come un vampiro emotivo. Non è follia – ma l’estetizzazione della tortura, il godimento voyeuristico della disperazione altrui. Non riesco più a ridere delle idiosincrasie di Sommers, è un rifiuto umano: raffina la violenza fino a renderla arte, trasforma l’oppressione in spettacolo per il proprio diletto.

Ed è proprio quando tutto sembra perduto che arriva Rayleigh – non come cavaliere splendente, ma come angelo sterminatore che porta la morte ai carnefici.
Non lo nascondo di certo: ho goduto la scena fino all’ultima stilla di inchiostro.
Il messaggio di Oda sta nell’aver mostrato che il sadismo sistemico va punito, stop, che la malvagità gratuita è qualcosa di semplicemente inaccettabile.

“Sono venuto a prenderti!” – parole che toccano le corde più segrete dell’anima universale.
È il mono no aware, la consapevolezza della fugacità di tutte le cose belle.
Poiché God Valley non è solo il luogo dove nasce un amore – è anche il posto dove tutto finirà, dove i sogni si infrangeranno contro la realtà, dove la storia separerà per sempre questi personaggi. Oda lo sa, noi lo sappiamo, e questa consapevolezza rende ogni sorriso più prezioso, ogni lacrima più vera.

Quel che desidero farvi cogliere è la perfetta orchestrazione emotiva di questa sequenza. Non è sentimentalismo da soap opera – ma cinema puro, è quella capacità tutta autoriale di far commuovere senza manipolare, di toccare il cuore senza costringere l’intelligenza.
In fondo, quello che Oda ci ha regalato è un valzer perfetto: Rayleigh e Shakky che si abbracciano al centro della pista, mentre attorno a loro il mondo esplode in una guerra che cambierà ogni cosa. È il ballo di fine impero, l’ultimo momento di grazia prima che la storia riprenda la sua corsa inarrestabile.

Detto questo, come sempre vi consiglio il video del Re, in medias res tra una storia d’amore disegnata e la potenza universale di certi archetipi narrativi, nonché… certe previsioni future.
A voi!

Il catalogo delle illusioni

Spero di avervi intrattenuti, spinti a ragionare e riflettere.

Confido che ognuno di noi sappia che la vera oscenità non si trova nei bordelli ma, talvolta, in alcuni salotti ‘bene’. La verità più semplice?
Il volto del male si presenta con le credenziali giuste e maniere raffinate.

La civiltà è una vernice che si scrosta alla prima pioggia acida del potere assoluto. Allora… forse è questo il senso del capitolo 1161: in un mondo dove i mostri hanno curriculum vitae impeccabili e i santi vengono processati per insubordinazione, l’unica sanità mentale possibile è quella di chi rifiuta di normalizzare l’abominio.
Di chi dice “no”.
Anche quando il prezzo è elevato.

God Valley non è una metafora della Storia – è la nostra Storia, quella vera, che si ripete identica da millenni: i potenti che si divertono con la sofferenza altrui mentre i giusti arrivano sempre un po’ troppo tardi.
Ma arrivano.
E questo, in un mondo che ha fatto della speranza un prodotto da supermercato, è già una piccola rivoluzione.

Godiamoci il viaggio, genti

‘I said, are you gonna be my girl?’

– Jet

Stefano ‘Cenere’ Potì

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