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One Piece 1153: Ida, l’amore bandito; Estrilda; vizi di sangue (blu); Loki, il silenzio delle cicatrici

del pirata Stefano 'Cenere' Potì

Wild boys fallen far from glory
Reckless and so hungered
On the razors edge you trail
Because there’s murder by the roadside

– Duran Duran, Wild boys

Non riesco, mes amis.
Le recenti immagini di Loki proprio non vogliono uscire dalla mia mente — non mi riferisco di certo al trickster sprezzante, bensì a un figlio rinnegato, traumatizzato e scagliato negli Inferi da una profezia che puzza di elitarismo puro e follia (soprattutto, follia). Con questo capitolo, Oda torna a orchestrare un teatro mitologico che mescola Edipo e Sigfrido, Freud e Norreno. Non sovviene antagonismo puro, ma genealogia spezzata, amori amputati, e un silenzio che pesa a distanza di anni.
Oggi, la bruma vichinga si dirada su uno scenario inquietante.

Loki non vi ricorda la furia disperata di Sauzer, in Hokuto no Ken?
Questo capitolo brucia. Di buio, ma brucia.

Il 1153 è una “origin story” che rivela un affresco crudele, composto di selezione del sangue e ambiguità del potere. Harald nasce re, ma regna da allievo. Come immaginavamo è la gigantessa Ida, esule e poi regina senza corona, a riscrivere la sua traiettoria morale. Estrilda al contrario incarna la degenerazione cortigiana: splendida, superstiziosa, manipolatrice, crea un’architettura di simboli (tra Feng Shui dispotico, rituali tirannici e finestre da chiudere) che trasforma il diritto di nascita in un incubo. Poi c’è lui: Loki.
L’unico personaggio che in silenzio, in ogni vignetta parla.
Sale l’Albero del Tesoro, ferito, disarmato, già inseguito da una maledizione.
Quello che ci viene mostrato non è un villain in divenire, ma una colpa vivente.
Ricordate Twin Peaks? Anche il fiore più candido può nutrirsi di radici marce.

Abbiamo tantissimo di cui parlare, avviamoci.

E’ il momento dell’Elzeviro

Il gusto per le ombre (e le penombre)

Pare che Oda abbia abbandonato la camomilla per la caffeina.
Dalla ricostruzione maniacale, quasi patologica, della tragedia di Page One e Ulti — scandita da un ritmo sincopato, lentissimo — siamo piombati in un addio fulmineo ad Hakumai e Ringo, liquidati in tre vignette.
C’est la vie.

Si torna alla distribuzione dei foderi come daimyo di Wano, e, credetemi, Kiku la vedo perfetta per guidare Ringo. Il confronto con Shimotsuki Ushimaru è impegnativo, ma la guerriera possiede la forza d’animo necessaria. Vi spiego perché. Durante la saga del Paese dei Samurai, i sentimenti nobili scarseggiavano. L’aristocrazia prosperava in un rigido sistema di caste che tollerava la morte per malnutrizione e confinava i più indifesi in una miseria indegna. Urashima — fratello del lottatore di sumo umiliato da Yamato — e i suoi amici altolocati non esitarono a bollare di “volgare” chi non poteva permettersi la vita dorata della capitale.

Ricordate cosa fece Kiku? E, soprattutto, cosa disse?

92 minuti di applausi.

Ringo poi, è legata a doppio filo a Yamato, quando da bambina di otto anni, assistette all’esecuzione pubblica di Kozuki Oden, la sua esistenza si spezzò in un punto di non ritorno. Non solo l’orrore del rogo o l’eroismo dell’uomo bollito vivo per salvare i suoi compagni: era la forza di una volontà che sfidava l’oppressione stessa. Quel giorno, Yamato raccolse il diario di Oden come un’eredità spirituale.
Kaido ovviamente la vedeva diversamente. La rinchiuse incatenata in una grotta di Onigashima insieme a tre samurai catturati nella campagna repressiva contro il clan Kozuki.
Quel che sembrava una condanna si rivelò un rito fondativo.
Tra i samurai c’era Shimotsuki Ushimaru, ex daimyo di Ringo e discendente di Ryuma.
A un samurai la fame è sconosciuta”, dissero porgendole l’unico pasto. Nei dieci giorni di isolamento, Yamato lesse ad alta voce le imprese narrate nel diario di Oden.

Sapendo che la bambina non sarebbe sopravvissuta a lungo, decisero di darle una possibilità.
Quel gesto di silenziosa ribellione e sacrificio fu la scintilla che accese la futura rivolta. Yamato non lo dimenticò. Nei samurai anonimi agli occhi del mondo, ma immortali nella memoria, trovò la prova che anche in un regno di terrore l’onore e la lealtà potevano persistere.
In quella caverna scavata nella pietra, lontano da occhi indiscreti, nacque l’erede più pura della volontà di Oden. Quindi, Ringo ha mille possibilità di colpi di scena, compreso un giretto da Ryuma, staremo a vedere.

Ma è tempo di dedicarci alla consueta analisi.
Il capitolo non urla le sue intenzioni: soffia le ipocrisie di Elbaph come venti freddi tra i rami di Yggdrasil. Il “gigante più forte del mondo” altri non è che il superstite più silenzioso.
In questo dialogo tra passato e futuro, tra leggenda e realtà, Oda ci offre una riflessione sulla natura del potere e sulla capacità dell’individuo di cambiare il corso della storia.

Signore e signori: capitolo 1153…

Marco Aurelio

‘La forza non produce diritto!’
– Gea, Il baluardo impazzito

Se Gea vi è ignota, rimediate subito: è un fumetto di Luca Enoch, pubblicato da Sergio Bonelli Editore tra il 1999 e il 2007—un autentico gioiello.

Il primo aspetto che balza all’occhio in questo capitolo è la struttura sociale di Elbaph e dell’intero popolo dei giganti in One Piece. Finalmente aggiungerei – perché, per quanto nelle analisi precedenti ne avessi tracciato i contorni, nulla è come vederla sancita dalla matita dell’autore.
Solo così le nostre teorie acquisiscono concretezza. Ed è da lì che si comincia:

  • Il Warland rappresenta la patria di tutti i giganti, con Elbaph che ne costituisce l’epicentro e la culla delle tradizioni guerriere. Abbiamo visto come ogni villaggio abbia un tema collettivo ben definito — i fabbri, i cacciatori — e proprio lì si trova il potere centrale, affidato a una monarchia.
  • A governare (oltre il re) sussiste un concilio di anziani: alcuni, come Jorl e Jarl, mostrano una mentalità aperta, mentre altri restano ancorati a dettami ormai superati, e molto elitari.
  • Probabilmente la scelta dinastica dipende da precise modalità e tempi. I discendenti degli antichi giganti erano dotati di stazza, forza e status, caratteristiche indispensabili per emergere come guerrieri. Per questo motivo la popolazione ha riconosciuto una linea reale di sangue, conservando questa tradizione che, sotto una patina arcaica, si avvicina quasi a un dogma.
  • Con il passare dei millenni, la selezione naturale ha privilegiato geni più regressivi rispetto a quelli degli antichi giganti. Il motivo è semplice: Oars, un gigante tutt’altro che sapiens, era convinto di poter sopravvivere nei ghiacciai indossando solo un perizoma. Così la natura ha favorito versioni meno potenti ma più intelligenti, pur mantenendo i geni originari.
  • Nel Warland i vichinghi si mostrano fieri ma ignoranti, come il capitolo ci conferma più volte. Tuttavia, nell’ultimo secolo sono avvenuti eventi cruciali: Harald ha promosso una politica di pace, Madre Carmel ha salvato i giganti dal patibolo, forse fornendo al Governo un pretesto per contattare il sovrano. In seguito, Lin Lin ha incrinato i rapporti con i vichinghi, mentre Dory e Brogy si trovano a Little Garden.
  • I giganti esterni sparsi nel mondo — Ida ne è un esempio — si sono evoluti, conoscono la Red Line, sono informati e civilizzati, rispettano le leggi di Elbaph, ma mostrano meno superstizione.

Qual è il problema di Re Harald?
Come si chiama la condizione che lo affligge fin da bambino?
Orbene… era uno s*****o, puro e semplice.

Una conversazione pre-Ida tra Harald e Yarl doveva essere… vediamo… ah, avete mai visto il film Hancock? Immaginate che Il re fosse il protagonista e l’anziano Ray Embrey:

Ray Embrey:
«La mia diagnosi di fondo è… vuoi sentirla?»
Hancock:
«No.»
Ray Embrey:
«Sei uno s*****o. Lo so. Lo dico chiaramente, però. Non è un crimine essere uno s*****o, ma è molto controproducente. Non è un crimine, ma sei uno s*****o – non credi?»
Hancock:
«Fai attenzione.»


Harald sorge nella narrazione come l’incarnazione di un nichilismo aristocratico: cresciuto nel pantheon di potere dei giganti antichi, interiorizza fin dall’infanzia l’idea che la propria volontà sia legge inappellabile. Questo senso di “diritto” si traduce in una tracotanza congenita, un’aberrazione morale simile a un paradosso beckettiano, pretende il rispetto e la sottomissione non come conquista, ma come tributo dovuto alla sua sola esistenza.
Già, era pieno di boria.

Sul piano emotivo, il giovane re mancava di empatia: è privo di quella risonanza affettiva che media il confine tra azione e conseguenza. Ogni atto crudele – dal calcio sferrato al proprio sottoposto ridendo, l’arroganza scatenata sui suoi stessi villaggi – appare in lui una dimostrazione di supremazia ontologica. È come se avvertisse il mondo esterno come un palcoscenico su cui rappresentare la propria onnipotenza, senza riconoscere a nessuno di essere un soggetto meritevole di dignità. Questo… fino a Ida.

Siori e siore: la cinquina che qualcuno avrebbe dovuto dargli molto tempo prima.

Attenzione, il monarca non è malvagio, bensì un adolescente irresponsabile e viziato. C’è molta differenza. Quando vede un appartenente al suo popolo trattato come fenomeno da baraccone interviene, quando gli anziani diranno di non sposare il suo amore, ubbidirà alle tradizioni. Questa è la vera cifra stilistica di Harald, per quanto crudele e abietto, sa benissimo che un re non è al di sopra della legge.
Bene, è in questa scena che accade qualcosa di ancora più importante.
Comprende, forse per la prima volta, che non è nemmeno al di sopra degli altri.

Qui la regia è superba, niente viene messo in scena per caso. Tema: il passaggio dall’adolescenza alla maturità. Il capitolo si apre con un’immagine che rilegge la mitologia nordica attraverso la lente della crescita, l’infanzia condivisa tra Harald, Dorry e Brogy non è solo un retroscena, ma un’inquadratura simbolica sull’innocenza dei legami e sulle gerarchie precoci. Harald nasce “più grande degli altri” — dettaglio che va ben oltre la fisicità: è una condizione che lo separa dagli altri fin dalla culla, conferendogli uno status speciale che si rivelerà tanto un dono quanto un’imposizione.
l vizio che lo accompagna sin da bambino non è soltanto totale libertà in eccesso, ma un’educazione alla superiorità. Attenzione, fate molta attenzione allo schiaffo, perché il Re era a un passo da diventare un animale fuori controllo, volete le prove?
In questa cornice, il gesto apparentemente eroico — la liberazione di Ida — si trasforma in un atto di autolegittimazione mascherato da altruismo. Harald distrugge una città non per pietà, ma per difendere l’onore dell’idea che si è fatto di Elbaph e, soprattutto, di sé. Si erge a paladino, certo di interpretare il bene perché così gli è stato insegnato.

La frase: “Dopo tutto, sono il re di Elbaph!!” è emblematica: il titolo precede l’empatia.

Ed è qui che entra in scena Ida, personaggio che rompe con molte delle convenzioni visive e narrative dell’universo di Oda. Il suo aspetto — lentiggini, labbra carnose, una coda di cavallo — segna una discontinuità rispetto agli standard estetici delle figure femminili di One Piece, troppo spesso uniformate secondo archetipi che strizzano l’occhio al fanservice, o infantili. Ma è soprattutto il suo ruolo a essere innovativo: non è la damigella da salvare, ma la figura maieutica, colei che ridimensiona il re. Voi direte, a pizze in faccia? Si, a pizze in faccia. Perché non è che un uomo.

Si narra che Marco Aurelio durante i momenti di trionfo fosse accompagnato da un servo incaricato di sussurrargli all’orecchio: «Sei solo un uomo». Questo richiamo aveva lo scopo di mantenere viva la consapevolezza della propria umanità e mortalità, evitando che la gloria offuscasse la sua modestia e lucidità. Ecco, quella cinquina ha avuto quel preciso effetto.

Lo schiaffo che infligge a Harald non è solo fisico, ma culturale. Ida sovverte la narrazione dell’eroe salvatore con una verità scomoda: “Ero alla deriva, e loro mi hanno salvata”. Così facendo, infrange due miti: quello del gigante oppresso dagli umani e quello dell’onnipotenza del sovrano di Elbaph.
Non solo: denuncia l’equazione tossica tra forza e superiorità. In poche battute, smonta l’intero impianto etico su cui Harald ha costruito la propria identità.

L’umiliazione pubblica, accompagnata da un’espressione buffa di Harald (Oda qui gioca sapientemente con la caricatura per bilanciare, infatti abbiamo un tiranno tenerissimo), non ha un intento comico: serve piuttosto a mostrarci che persino chi è stato allevato come divino può e deve ridere di sé.
È questo, in fondo, il primo passo verso la crescita.
Il lascito più edificante del capitolo sta proprio nella trasformazione interiore di Harald. Grazie a Ida, non diventa semplicemente “più buono”, ma più curioso. Comincia a interessarsi ad altre culture — una rivoluzione silenziosa, ma profonda, per un personaggio nato nel cuore etnocentrico dell’opera. In un mondo in cui le razze sono spesso stereotipate o segregate (dai Dosundada ai tritoni, dai Mink agli uomini-pesce), l’apertura intellettuale di un gigante è un segnale narrativo forte.
Soprattutto se si parla di un Re.
Soprattutto se quel Re era uno s*****o.

Ida risparmia al mondo uno scenario da incubo, un Harald assolutista che fa comunella con il Governo Mondiale, leggete qui, è l’adattamento della traduzione del Re

Ida: Ero alla deriva, e loro mi hanno salvata e mi hanno fatto lavorare… grazie alla loro gentilezza, sono riuscita a guadagnare abbastanza per mangiare e riprendermi dalle ferite!! “Bamboline”… che diavolo significa?! Sei soltanto nato grande!! La tua forza è un capriccio del fato!! Non illuderti di essere migliore degli Umani, arrogante disgraziato!! È per queste sciocchezze che tutti noi Giganti veniamo sempre accomunati a voi selvaggi di Elbaph!!

Ecco qui, tra l’altro, quest’ultimo è il motivo per cui sono il fan n°1 dell’Haki, quasi la totalità dei frutti è ingerita per ‘capriccio del fato’. Ida è sul livello di Othoime, tanto per capirci.
Non credete?

E’ con “La tua forza è un capriccio del fato!!” che la riflessione tocca una vetta più universale. Ida ci obbliga a distinguere tra potere e merito. Nascere forti, belli o privilegiati non è una conquista: è un caso biologico. Il gigantismo di Harald — come ogni tratto identitario essenzializzato — non giustifica né il comando né l’orgoglio. È proprio l’illusione di un merito intrinseco nella propria natura a rendere “arrogante” chi governa in base al lignaggio o alla muscolatura.

Qui Oda fa parlare il personaggio in un modo che ho amato, ossia, come se stesse demolendo ogni mito nazionalista. “Non illuderti di essere migliore degli Umani” è una frase che potrebbe essere pronunciata contro ogni élite etnica o razziale che giustifica la propria presunta superiorità in nome di origini, tradizioni o genealogie. La frase successiva è ancora più dura: “È per queste sciocchezze che tutti noi Giganti veniamo sempre accomunati a voi selvaggi di Elbaph!!”. In una sola battuta, Ida separa l’identità biologica da quella culturale. Essere giganti non significa essere come Elbaph. L’appartenenza al popolo non basta a definire chi sei. Il tribalismo, in altre parole, non è destino.

Ida è, dunque, la prima figura gigante a de-eroicizzare la narrazione mitologica del suo stesso popolo. La sua accusa a Harald suona come una versione aggiornata del Know thyself socratico: conosci i tuoi limiti, riconosci l’arbitrarietà dei tuoi privilegi, non confondere la forza con la giustizia. In questo senso, Ida non è solo una voce morale, ma un elemento strutturale della modernità che Oda sembra voler introdurre nella saga di Elbaph: la rottura del ciclo epico attraverso una coscienza storica.
Questo capitolo è puro piacere impiacentito.

In questo momento della lettura ho pensato ‘ah, Oda ha messo il meglio all’inizio, peccato’.
Mi sbagliavo.

Il cambiamento di Harald e dei giganti gode della massima credibilità, perché non lo fa attraverso uno artificio forzato, ma con qualcosa di molto più sottile: una pedagogia dell’esperienza, fatta di sapori, tessuti, linguaggi e conoscenze tecniche. I giganti assaggiano le spezie, osservano l’ordito dei tessuti umani, si lasciano stupire da forme architettoniche che non avrebbero mai concepito. E in questo scambio semplice, quasi quotidiano, si apre un varco.

Come un Marco Polo rovesciato, Harald scopre che l’altro non è il barbaro, ma il portatore di forme di sapere insospettate. Il valore di questa scena non è solo narrativo, ma politico: la civiltà non è un attributo razziale, è un processo. E il “selvaggio”, come mostra con ironia Ida, può nascondersi proprio là dove si presume superiorità. L’affermazione “La distruzione di qualsiasi cosa in questo mondo è uno spreco” è una lezione filosofica racchiusa in una frase semplice: il mondo non si conquista, si custodisce.
Datemi pure del sentimentale, ma la cosa mi ha commosso un tantino.

Il salto di Harald è anche geografico. Nell’ultima parte del dialogo, si scopre che Ida non è originaria del Nuovo Mondo, ma del South Blue, e che ha attraversato la Red Line — il “Serpente Intriso di Sangue”, ricollegandosi pregevolmente alle parole di Dory e Brogy anni orsono. Quando le propone di tornare con lui, non è un atto di conquista, ma il primo gesto veramente politico della sua vita: trasformare Elbaph da patria etnica a terra aperta.

Il cambio di scena è eloquente: i soldati stessi riconoscono che “Harald-sama è cambiato”.
Ida, da outsider, si fa ponte tra mondi. Harald, da monarca, diventa finalmente uomo.
Inizia a cambiare il Warland, e finalmente vediamo come avvenne la cosa:

L’opinione pubblica la prese benissimo. A pensarci, era tornato qualcuno che sembrava uscito da un incrocio fra Terminator e Ricky Bobby — se Ricky Bobby avesse imparato a contare fino a uno e deciso, d’un tratto, di farsi perdonare tutto.
Un re coscienzioso, affabile, con idee espansionistiche e un sorriso gentile: chi non sarebbe stato contento?
E lo erano, infatti.
Dory e Brogy — due vecchi cuori — hanno sempre avuto buoni rapporti con gli umani. Harald parla al popolo, promette che non rinunceranno a essere guerrieri, ma che alcune tradizioni — quelle troppo insanguinate, troppo ottuse — andranno ridimensionate.
Yarl e Yorl si stringono nelle spalle e sorridono. Letteralmente: la loro espressione dice grazie a Nika, ha finalmente messo la testa a posto.
Tutto sembra andare bene.
E allora perché sento questa crepa, sottile ma insistente?
Perché qualcosa dentro di me si rifiuta di crederci del tutto?
Ah, giusto.
Questo.

Sapete che frase mettiamo qui, a fianco? Toh, abbiamo quella perfetta…

Osservate bene il peso delle scelte, mes amis. All’epoca di Harald, nessun pirata sfidava davvero il Governo — o meglio, nessuno aveva ancora risvegliato Nika. Nettuno, tra l’altro, nasceva proprio allora: niente Shirahoshi, niente arma ancestrale. E intanto — che pacchia — i giganti restavano chiusi nei loro confini, trogloditi isolazionisti che, quando osavano uscire, facevano abbastanza danni da inimicarsi il mondo intero.
E ora?
Che succede?
Stringono alleanze, intrattengono rapporti commerciali, forse — orrore! — iniziano a essere rispettati. La gente comincia a non temerli più. E se, in futuro, decidessero di allearsi davvero con qualcuno?
Eh no, questo è troppo.
E allora immaginateli, Imu e i Gorosei, mentre si guardano in faccia e decidono che no, non è il caso di affrontarli sul campo. Troppo rischioso. Meglio usare l’arma più potente che possiedono: la burocrazia.
Terra Sacra, giurisdizione sovranazionale. Un colpo di penna, una direttiva.
Harald dice ‘ci hanno messo di nuovo i bastoni tra le ruote… perché le nazioni non possono essere libere?!
E a quel punto si apre tutto un ventaglio di scorrettezze. Legali, sia chiaro. Codificate, firmate, ratificate. La mano che strangola mentre finge di offrire una stretta civile.

Probabilmente non fu neanche Madre Carmel, sapete perché? Beh, non li avrebbe prontamente informati della scuola della biblioteca? Della saturazione della violenza nella società?
Del fatto che Harald si fosse strappato le corna?
Riflettete un istante, ci manca uno scarto temporale determinante, Il Re è passato dal ‘adeguiamo le nostre tradizioni più violente’ a voler insegnare ai bambini il totale rifiuto dell’aggressività.
E quel ‘ci hanno messo di nuovo i bastoni tra le ruote… perché le nazioni non possono essere libere?!
non è soltanto lo sfogo di un sovrano frustrato, ma una delle affermazioni più lucidamente politiche che Oda abbia mai affidato a un gigante. In questa frase si condensano tensioni globali, ambizioni di sovranità e il disincanto di chi si scontra per la prima volta con un suffragio silenzioso.

Ma abbiamo molto altro da analizzare.
Prima però vi rubo un istante, qualora apprezzaste il mio lavoro, e se foste interessati ad altre analisi su ulteriori  manga, vi invito a visitare il mio canale…

https://www.youtube.com/@Cenere_SG

Grazie per l’attenzione!
Proseguiamo…

Tra Milton e Dante

‘Ah, perché! Non meritava un simile contraccambio
Da parte mia, lui che mi creò così come sono.’
– John Milton, Il Paradiso Perduto

In genere, sulla struttura sociale si possono soppesare i presupposti storici.

Elbaph impone al proprio Re la linea di discendenza, e Harald accetta, presumibilmente consapevole della necessità di un’alleanza leale, soprattutto in un periodo di profondi mutamenti che sta introducendo al paese. Osservando la vignetta, emerge un dettaglio inatteso: contrariamente a quanto si credeva finora, il popolo custodiva Ida nel cuore, desiderandola come regina; furono altri a emarginarla.

Qui si cela una sottigliezza di rilievo: non viene mai esplicitato cosa si intenda esattamente con ‘sangue puro’. Si parla delle prime casate nobili, oppure del sangue originario degli antichi giganti? Nel primo caso, il concilio di Elbaph risulterebbe poco più che un simulacro evoluto del fanatismo di Mary Geoise; nel secondo, invece, questa distinzione diventa l’elemento cruciale che incrinerà il sistema interno del Warland. In tale scenario, Harald si strappa pubblicamente le corna, un gesto simbolico e ineffabile, che si configura come un formidabile motivo per accettare gli ordini del governo centrale e tradire il proprio sovrano.

Mmmh, e chi sarebbe a decidere?
Semplicemente… ‘loro‘.

Certo, si potrebbe pensare che si parla di figure inutili da mostrare ora, ma con sviluppi futuri, o più semplicemente… nel caso specifico dei mangaka che mostrano antagonisti anonimi come sagome nere con balloon (senza volto né identità), potremmo parlare di Figura simbolica:
Ossia, l’eliminazione delle caratteristiche individuali per rendere il personaggio archetipo. Questi antagonisti diventano incarnazioni dell’ingiustizia, della società corrotta, del potere cieco, piuttosto che persone specifiche.
Più informalmente, in ambito manga e anime, ci si riferisce talvolta a questa scelta come all’uso di una “silhouette collettiva” o “massa informe di colpevoli”, usata per trasmettere l’idea che il male non ha un volto unico, ma si annida ovunque.

Posso anche essere più diretto, in un singolo esempio

Vedete? Sotto possiamo intuire facilmente (dai capelli) si tratti dei Draghi Celesti, mentre sopra, gli aggressori di Kuma sono figure indistinte, di cui non conosceremo mai l’identità.

Nella scelta di attaccarsi alla superstizione per fuggire il disordine si cela una violenza più sottile: quella del controllo, della manipolazione affettiva, della sottrazione di verità.
Ecco l’incipit perfetto per inserire Estrilda.
Mettiamo subito un punto fermo: non è un personaggio giustificabile. Quello che infligge a Loki travalica ogni logica affettiva, è un gesto contro natura. Nessuna madre degna di tale nome avrebbe potuto abbandonare un figlio senza nemmeno tentare di comprenderlo. Lei, invece, lo condanna. Con le sue mani. Ma procediamo con ordine. Fin dalla sua prima apparizione, la regina rivela tratti ben delineati del suo carattere — superbia, rigidità, ossessiva fedeltà a un sistema di valori arcaico — ma non la minima traccia di autentica nobiltà d’animo. Vale la pena ricordarlo: tra le due donne che condividono il destino di Harald, l’unica davvero evoluta e civilizzata è Ida. A lui viene consegnata una creatura ammaestrata, plasmata per compiacerlo, intrisa fino al midollo di superstizioni e dogmi esoterici. Eppure, quella che dovrebbe essere una docile pedina, si rivela subito rapace: non perde tempo a protendere le mani verso il tesoro reale.

Estrilda è davvero malvagia? Non nel senso più profondo. Piuttosto, incarna un archetipo tossico: l’ignoranza accoppiata all’arroganza, una miscela micidiale. Un’anima chiusa, che scambia la propria miopia per verità assoluta. E che, nel farlo, trascina con sé rovina e rancore.

Tra l’altro vediamo il famoso cavallo reale, e non c’è molto da stupirsi, gli animali nell’oltretomba hanno quelle dimensioni, sono le otto zampe ad essere inspiegabili, secondo il mito classico Sleipnir è il cavallo leggendario del dio Odino, descritto come un destriero grigio con otto zampe, il più veloce e possente tra tutti gli esseri equini del mito norreno.
Non è solo un animale ma un ponte tra i mondi. Grazie a lui, Odino può viaggiare tra Ásgarðr (regno degli dèi), Midgard (regno degli uomini) e Helheim (regno dei morti). Questo lo rende un veicolo di conoscenza, transizione e morte. Alcuni studiosi lo vedono come:

Una psicopompo: guida delle anime nell’aldilà.
Un veicolo sciamanico: Odino è anche dio dello sciamanesimo e della conoscenza occulta.
Un simbolo di iniziazione: ogni viaggio su Sleipnir è anche un viaggio interiore.

La nascita di Sleipnir è uno dei passaggi più strani, ironici e “meta-mitologici” dell’Edda in prosa, scritta da Snorri Sturluson nel XIII secolo. Non scendo nei dettagli, ve la faccio semplice, pur di vincere una scommessa degli Dei, Loki distrasse il padre di Sleipnir per tre notti di fila.
Come fece? Trasformandosi in una cavalla. Già, ebbene si. Nel mito classico, Loki è la madre del destriero.
Amo i miti norreni, ma questa mi era sfuggita. Proseguiamo.

Circa settantuno anni fa, rispetto all’attuale linea temporale, Harald viaggiava come ambasciatore per scelta personale, muovendosi in autonomia. Gestiva scambi commerciali, assimilava usanze e conoscenze da popoli lontani, e incantava Elbaph con i suoi racconti di terre sconosciute. È dunque nell’ultimo secolo che il Governo ha cominciato a tessere i propri piani — e il re non è stato da meno. Ragioniamo con libertà, perché i dettagli in gioco sono stratificati.

Capitolo 910:

Capitolo corrente:

Il re è stato a Wano, o, almeno nei pressi.
Possiamo dunque presumere che da lì provenga l’agalmatolite utilizzata per forgiare le immense catene che oggi tengono prigioniero Loki. Naturalmente, il contrario è altrettanto plausibile: potrebbe essere stato il Governo Mondiale a intercedere — magari grazie all’influenza di Orochi, che in certi anni faceva il bello e il cattivo tempo — nel tentativo di guadagnarsi il favore del sovrano di Elbaph. Eppure, ciò che continua a sfuggirmi è il punto centrale: perché ricorrere proprio alle catene? Se la lavorazione dell’agalmatolite è un’arte esclusiva del paese dei samurai, perché orientarsi verso uno strumento di contenimento così specifico? Era forse un modo per frenare un principe sempre più ingestibile? Oppure, col passare del tempo Harald ha iniziato a temere che la sua stessa, colossale forza — ricordiamoci del Domi Reversi — potesse un giorno rivoltarsi contro il suo stesso popolo?

Per ora, sono ipotesi di pari valore.

Come vedremo più avanti, Estrilda perde la vita poco dopo gli eventi narrati in questo capitolo — sempre tenendo a mente che, trattandosi di una memoria scolastica, sarà il flashback a rivelarci i fatti autentici. Nel frattempo, Ida cresce Hajrudin in un villaggio del Warland. E immagino già cosa vi stia passando per la testa: l’ho pensato anch’io. È possibile che la prima moglie di Harald sia Mosa?

Hmm. Vediamo.
Loki non ha mai visto né conosciuto Mosa; Hajrudin non voleva che si incontrassero. ⛔

L’interlocutore usa desinenze verbali rivolte a un uomo, il che lo esclude del tutto — anche se va detto che non conosco il giapponese, che spesso è volutamente ambiguo. ⛔

Sono amici di lunga data che non si sono mai incontrati. Ida è l’empatia fatta persona: se ha sfidato un re per difendere degli umani, non aiuterebbe forse il figlio dell’uomo che ama? Un ragazzo abbandonato a se stesso e vittima di pregiudizi? ✅

Loki invitava Mosa a “distruggere chi lo impensieriva”: è un messaggio precedente all’attacco. Forse, nei decenni, alcuni nobili gli hanno davvero dato filo da torcere? Spiegherebbe l’astio di Hajrudin verso le disuguaglianze, ma non chiarirebbe la posizione di Ida. 🔄

Loki nasconde a fatica la propria affettuosità verso la figura. Ida, cogliendo la sua natura autentica, potrebbe essersi avvicinata con timore; e Loki, deluso dal padre e respinto da Estrilda, potrebbe aver riversato su quella figura tutto il carico emotivo che non sapeva gestire. ✅

La conversazione è cosa nota, e vi assistono Hajrudin, Goldberg e Gerd. Ma chi comanda in assenza del Re? Il buon Yarl. Fu lui a vedere come la gentilezza cambiò Harald: potrebbe dunque aver incoraggiato il dialogo tra i due, per risvegliare nel cuore di Loki la sua parte più umana? ✅

È tutto da vedere: Mosa potrebbe rivelarsi un colpo di scena amaro, più che una parentesi positiva. Forse c’è qualcuno che tira le fila nell’ombra, manipolando il confuso Yarl, oppure un personaggio già noto per mare, ma mai incontrato di persona. Nel contesto giusto, potrebbe benissimo essere una delle due figlie di Lin Lin, un retroscena davvero imprevedibile.
In questo capitolo scopriamo un aspetto fondamentale: a dividere i due fratelli è stata la società stessa, con aspettative imposte da ogni parte, tranne che dalle loro scelte. L’arroganza derivata dalle convenzioni sociali e una maledizione figlia della superstizione hanno creato una frattura. Il risultato? Due rancori diversi, due storie di emarginazione.

L’arroganza di casta, l’anatema delle profezie.

Il risultato? Due solitudini divergenti. Entrambi sono figli della stessa ingiustizia.
Due rancori forgiati da posizioni opposte nella scala sociale:
– quello di Loki nasce dall’esclusione imposta dall’alto,
– quello di Hajrudin, dalla lotta per farsi spazio dal basso.

Veniamo dunque a Loki.
Se la scena che lo riguarda ha avuto su di me un effetto simile a Sanji “padre, perdonami perché sono nato debole” — cioè, un cocktail esplosivo di frustrazione e commozione, lasciate che ribadisca ciò che sostengo da mesi: Loki è un antieroe, non un villain (opinione personale, ci mancherebbe).
E ribadiamo il concetto, antieroe non significa eroe cattivo o un tipo che fa ricorso a metodi spicci e brutali, alla Frank Castle o Wolverine. No, l’antieroe è un eroe imperfetto, incompleto, uno che si muove a metà tra la luce e l’ombra, con tutti i vuoti che questa condizione implica.

Ora, so benissimo dove le menti affamate di teoria e speculazione si dirigono per cercare la verità nascosta: cosa diavolo è davvero il principe?

  1. Oda potrebbe aver voluto rendere caricaturale la furia dei giganti? Troverei la scelta scontata e gratuita, un vezzo gratuito. Non fa per lui.
  2. Loki è marcio sin dalla culla? Nel contesto di One Piece sarebbe una beffa cruda e spietata. Non dimentichiamo che il primo gesto del principe, dopo il suo primo respiro, è stato cercare affetto.
    Un atto fragile, umanissimo.
  3. Il governo ha messo le mani sul feto, come accaduto a Ginney? Quindi, secondo questa ipotesi, Loki sarebbe già “nato geneticamente modificato”? A che pro?
    Ammettiamo pure: c’è un pentacolo nel castello di Aurst, ergo manipolazioni sono possibili. Magari c’è stato un contatto con le vecchie generazioni di Elbaph, spaventate da Harald che diventava una minaccia per la purezza del sangue. Ottima scena da tragedia shakespeariana, senza dubbio. Però, chi e come? La gente di Elbaph è un fenomeno nell’oceano, ma per il resto si diletta a prendersi a sassate e a prevedere il futuro sputando nel tè bollente, per poi berlo senza batter ciglio. Quindi, attendiamo con ansia di scoprire chi sarà l’introdotto a corte o il ribelle confinato a porte chiuse, passato da bifolco a manipolatore di DNA in meno di una stagione.
  4. Il principe ha un legame innato con Jormungandr o Fenrir? Bellissimo, anzi, grandioso! Ma come si spiega? Se la sala parto è rimasta attonita e terrorizzata, e sembra sia la prima volta, la questione si fa mistero profondo.
  5. Alla Will Ferrell: la sera del concepimento, Estrilda e Harald si sono presi una pausa dal caos guardando Ti voglio bene Denver e I Visitors?
  6. Oppure, la natura ha fatto il suo corso?
    Spesso vi parlo dei geni recessivi degli antichi giganti, e questo è un discorso che si basa su principi scientifici, anche se oggi sfocia in un’ipotesi… inquietante. Pur essendo recessivi, questi geni sono comunque presenti anche in assenza di manifestazioni evidenti, come le corna (Estrilda ne è priva).
    Sapete che nella riproduzione assistita, quando entrambi i genitori condividono una specifica variante genetica, può aumentare la probabilità che questa caratteristica si manifesti nel figlio? Volete sapere come? Pensate all’ossessione degli anziani nel mantenere la casata originale con un “sangue” considerato purissimo. In queste condizioni, dopo molte generazioni, se due individui portatori di quella caratteristica, più marcata rispetto alla media, generassero un figlio con una predisposizione genetica forte a esprimere quella particolare “tara” ereditaria, cosa accadrebbe?
    È possibile che, sia esternamente sia internamente, quel bambino manifesti fisicamente i segni di quell’eredità genetica.
    Ecco cosa potrebbe succedere.
    Quindi, Loki potrebbe essere nato con una corporatura simile a quella di Harald, ma con la più alta percentuale di sangue antico mai osservata, espressa appieno nella sua genetica.

In parole povere?
Estrilda è rimasta terrorizzata dal suo stesso corredo genetico.
Complimenti, madre dell’anno.

Le ragioni possono essere mille, ben diverse da queste, ma senza indizi plausibili, è la prima ipotesi che sento veramente concreta.

Didascalia: La creatura più infelice di questo mondo è colei che, nel momento stesso della nascita, vede la propria esistenza rifiutata dalla madre.


L’unica colpa (che colpa non è) di Loki è quella di essere nato diverso. Per poi crescere già giudicato e condannato. A priori. Il bambino sta risalendo quindi, ovviamente, ci chiediamo tutti con quali intenzioni.
Qui non posso fare proiezioni, ma solo usare il mio istinto:
Il Satana di Milton si presenta come figura coraggiosa, intraprendente e potente, nonché abile condottiero. Sfogliando l’opera, si giunge rapidamente a considerarlo quasi un eroe epico. Tuttavia, questa suggestione svanisce già nella terza fase: l’immagine iniziale si incrina, fino a tramutarsi in quella di una bestia.

La commedia dantesca ricorda l’epopea miltoniana: il Diavolo, immobile e incatenato nel ghiaccio, incarna un male passivo, speculare all’eroico Satana di Milton. L’obiettivo è indagare se possa rivestire i panni dell’eroe o piuttosto configurarsi come un altro tipo di protagonista.
Come Loki.
Così come Dante imprigiona nel gelo il suo principe infernale, e Milton lo esalta nella sfida titanica, il vero dramma si gioca altrove: nell’animo umano, custode del libero arbitrio.
È proprio la scelta, quell’atto sovrano e inattingibile, a edificare o a condannare; e se il Diavolo incarna la caduta o la rivolta (Loki), l’uomo rimane libero di elevare il proprio spirito o di trascinarlo nell’abisso (Estrilda). In questo spazio immateriale, ognuno di noi lettori può vederlo come buono o come cattivo, e, se volete conoscere la mia mes amis, il primo gesto del principe esprime un indole chaira:
plasmata dalla volontà di scegliere il bene.

Come al solito vi linko il video del Re, dopo il mio spaccato letterario, saggiatene uno storico, è qualcosa su cui vale davvero la pena riflettere. A voi!


Idromele&motoseghe

Spero di avervi intrattenuti, spinti a ragionare e riflettere.

Datemi pure del sentimentale, ma è stato difficile non commuoversi durante il flashback di Loki.
Il suo sorriso obliquo mi ricorda qualcosa. Qualcuno.
Ash Williams, forse? L’eroe scalcinato de L’Armata delle Tenebre, metà cialtrone e metà salvatore.
Mhh, dev’essere colpa di Estrilda: ha lo stesso sguardo indemoniato della strega che, nel finale, gli ulula «Ti strapperò l’anima!»
Ma no… non riesco a metterlo a fuoco.

Harald, invece, non fu un rivoluzionario. Ma fece qualcosa di ancora più raro: riconobbe la gabbia diplomatica. Può davvero una nazione scegliere il proprio destino, se prima non ottiene il permesso di un impero invisibile?
Nel volto lucido, stanco e consapevole del re, sta tutta la risposta.

Tornando a Loki.
Che cosa ci resta della sua nascita, della sua maledizione, della sua corsa nella neve? Un’eco gelida.
Perché lo sappiamo: non c’è maledizione più feroce di quella gettata su un bambino da chi avrebbe dovuto proteggerlo.
Ah — ecco perché quel sorriso mi è familiare.
E’ quello di chi ha già attraversato il trauma, ha deriso l’indifferenza, sopportato la gogna pubblica.
Ma ha capito che non vale la pena rimanerci male ogni volta. E allora sì. Quando la strega gli grida:
«Ti strapperò l’anima!», Ash mi ricorda Loki.
Perché non indietreggia. Sorride, solleva l’ascia e risponde:

Vieni a prendertela

Godiamoci il viaggio, genti

‘Wild boys (wild boys) never lose it
Wild boys (wild boys) never chose this way
Wild boys (wild boys) never close your eyes
Wild boys always shine’
– Duran Duran, Wild boys

Cenere

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