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One Piece 1154: l’eredità congelata; separati dal sangue; Xebec, il padre del buio

del pirata Stefano 'Cenere' Potì

Nato nel peccato in principio già marchiato
Dov’era il libero arbitrio quando mi hanno battezzato?
/Ormai ho già guardato in un disegno più grande
Più vanno nel mistero e più saranno le domande.

Nel nome del padre, del figlio e dello spirito
(Aspetta un momento, qua c’è un equivoco)’
– Kaos One, Pandemia

Abracadabra.
Nel meraviglioso The Prestige, Cutter apre la narrazione con una frase che sembra descrivere i 27 anni di micro-macro mitologia di One Piece: “Ora state cercando il segreto, ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati.”
Il capitolo 1154 non è un episodio qualsiasi, bensì un groviglio di verità taciute, un punto di torsione narrativa, un brandello di cronaca sospeso ai margini dell’inespresso. È Oda in persona a salire sul palcoscenico, sollevando con gesto teatrale il sipario su quel mondo che ha cesellato per decenni.

O almeno la versione che vuole indurci a far credere, di tale mondo. Teniamolo a mente.

Una madre indegna. Un padre per l’intera nazione. Due fratelli innocenti separati dal marchio infame del pregiudizio. Il codice dei Martelli Perduti. E… Xebec. Finalmente. Cinque verbi essenziali che segnano la parabola emotiva del capitolo. Lapidario e ritmico, con una sintassi da epigrafe storica.
Abbiamo molto di cui parlare, mes amis.

E’ il momento dell’Elzeviro

Ripetere l’anomalia

Questa mini-avventura proprio non ne vuol sapere di scendere dalle montagne russe.
Di certo non mi aspettavo un’epifania né una sequela di rivelazioni fastose e magniloquenti. No.
Ma almeno, che fosse ben raccontata? Questo sì.
Dopo un mid-tempo stilistico di tutto rispetto — con l’esplicita conferma che Wano abbonda di cibo, la redistribuzione della giustizia nel nuovo consesso dei Daimyo, la cessazione del ciclo di violenza attraverso il perdono concesso agli eredi dei Kurozumi — ci si arena in una stasi di inquadrature infinite (con Who’s Who), più lente della melassa a gennaio, che per poco non ci lasciava secchi.

Hakumai è svanita in un battito di ciglia. Curioso, considerando che avrebbe dovuto rappresentare il fulcro del viaggio. Eppure è a Ringo che finalmente l’orizzonte si increspa, lasciando intravedere un mistero degno di nota. Resta da vedere se si risolverà in un dettaglio sorprendente di trama o un flebile inside joke che farà sorridere solo i filologi del manga.
Chi mai potrebbe essere l’eroe nato nel “West Blue” ma cresciuto a Ringo?
Di certo non Ryuma-boy, generato e cresciuto a Wano 400 anni orsono, aggiungiamo in corsa che il Paese dei Samurai è sempre stato l’equivalente geografico di una porta chiusa a chiave. Negli ultimi anni, poi, grazie alla tirannia, esibiva fieramente un cartello da sobborgo di provincia: “Attenti al Kaido”.
A conti fatti, che opzioni restano?

Una vocina mi sussurra che non si parli di nessun personaggio noto finora nell’arco principale.
Trattasi di un nuovo eroe? Magari evocato unicamente nella mini-avventura di copertina del capitolo, e il suo nome – così come le gesta precise che lo hanno reso leggendario – resta un mistero da dipanare nei prossimi sviluppi. Di certo, Ryuma rimane l’emblema per antonomasia di Wano: samurai leggendario, figlio del Paese stesso, protagonista di racconti che odorano di acciaio e gloria.
Allora Clover? Ma quando mai. Brook? Gioca tutt’altro campionato. E quanto a Jigoro… davvero qualcuno l’ha proposto? L’eco è più paradossale che plausibile, un salto nel buio.

Lo ricordate, vero? Quello spadaccino mezzo marcio, a metà tra un incubo teatrale e un fantoccio troppo affezionato alla vita. Opera di Moria. Zoppicante, spiritato, completamente folle. C’era qualcosa, sì, che odorava vagamente di nebbie del Paese dei Fiori… Ma sandali di legno, un obi slabbrato e un Chonmage da vecchia illustrazione non bastano a farti samurai.
Tre le piste: A. personaggio ex novo, un piccolo ingranaggio per far girare una sottotrama più grande; B. una rivelazione talmente inaspettata da far impallidire il viaggio di Bilbo Baggins— uno di quei colpi di scena che riscrivono le origini di un volto noto, magari di un comprimario a cui non avevamo mai chiesto nulla. C. la terza… la più folle. Se davvero fosse Jigoro — quel Jigoro — allora non ci resta che aggrapparci al buon senso e alla comicità, per poi ridere fino alle lacrime.
Basta osservare il suo cartiglio:


Tutto può essere, mes amis, magari comico, forse delirante?
Assolutamente si, eppure tutto può essere (soprattutto in One PIece).

Ma è tempo di recensire un capitolo a dir poco straordinario.
Siamo alla soglia di una rivelazione al sapor di cosmogonia: Oda non solo disvela l’identità visiva di Xebec, ma lo colloca in uno scenario ancestrale, dove mito, dolore e potere si fondono. La parentela confermata tra lui e Teach richiama qual certa teoria della reincarnazione del caos, e forse dell’eredità genetica della distruzione. L’eterna ripetizione dell’anomalia.
Tenuta d’occhio perfino da Imu.

Signore e signori: capitolo 1154…

Galley… family

‘Qualunque sia il costo delle nostre biblioteche, il prezzo è basso rispetto a quello di una nazione ignorante.’
– Walter Cronkite

Il capitolo dà voce alla narrazione parlando di Lin Lin, la cosa è voluta, certo, velatamente, ma ha una funzione piuttosto specifica, che (a mio parere) inaugura la storia dei Galleyra, piuttosto che le disgrazie di Elbaph…

Come possiamo vedere, il tono riprende dicendo ‘quell’anno fu vittima di altre…’ quindi, che bisogno c’era di tirare in ballo Big Mom? Guardiamo la scena da un’altra angolazione…

Il gesto di Lin Lin ebbe un effetto globale per i giganti sparsi per tutto il globo, indicizzare la rabbia e il risentimento verso di lei. Il ‘cuore rivelatore’ del capitolo pulsa altrove, nel passato sepolto, nel mito sommerso dei Galleyra, giganteschi guerrieri-carpentieri scomparsi nel nulla. La loro sorte – essere stati forse congelati da un nemico mai nominato – evoca i racconti omerici degli eroi bloccati tra mito e storia. La loro ombra si rifrange fino a Punk Hazard, perché la storia di Elbaph è un continente sommerso di vicende incompiute, vittima della propria ignoranza.

Qui lavoreremo di fino, perché mancano interi frammenti di trama, sottotesti e i loro illustri protagonisti si rivelano assenti, però possiamo fare un esperimento valido, ossia ricostruire ipotesi plausibili in base a quel che conosciamo con certezza:

  • Lin Lin ci ricorda che, oggi, i giganti si dividono in due grandi categorie: da un lato il popolo di Warland, dall’altro coloro che si sono separati dall’isola — come quelli mostrati nella vignetta sopracitata.
  • Qual è la differenza sostanziale tra queste due fazioni? I primi sono una cortina d’acciaio, invalicabile per numero e tradizione guerriera. Una sentenza bellica vivente, che il mondo evita di disturbare per un solo, semplice motivo: la paura. I secondi invece vivono come vogliono, sparsi, mobili. Probabilmente stanchi di una cultura che non ha mai smesso di spingere in un unica direzione: aggredire, aggredire, aggredire.

Il vero nodo del Warland risiede in una sola, decisiva contraddizione, nonostante la loro longevità avrebbe dovuto consacrarli tra le società più illuminate, veri custodi di un sapere tramandato anche solo oralmente, però la loro indole feroce ha vanificato ogni tentativo di conservarne le origini. Attraverso la violenza hanno preteso ciò che desideravano, sia al proprio interno sia nei confronti del mondo esterno. Un divario sociale che si è rivelato un enorme vantaggio per Mary Geoise.
Le prove sono innumerevoli, i carpentieri della Galleyra si sono scissi dalla madre patria, per esempio.
O alla mancata esecuzione pubblica da parte della Marina— evitata solo grazie all’intervento ‘provvidenziale’ di Madre Carmel — che segnò un punto di svolta. Da lì, alcuni giganti finirono persino arruolati nel corpo militare, e ricordiamo che John Giant fu allevato e poi selezionato proprio da lei. Non è un caso che lo stesso Saul, ex viceammiraglio, definisca la popolazione di Elbaph “selvaggi ignoranti”.
E poi c’è Ilva, che in una sola vignetta suggella l’analfabetismo culturale del Warland:

Sommers ha scelto di colpire subito la scuola e la biblioteca, luoghi simbolo del sapere. Il suo obiettivo è preservare quell’ignoranza grazie alla quale persino il Re del Warland considera i Galleyra un mito, un’ombra di leggenda. Come si è giunti a questa dinamica nebulosa? Proviamo a decifrarlo.

Per estrazione sociale, come in svariate civiltà i vichinghi avevano clan specializzati in una specifica attività, ad esempio la caccia…

… O l’artigianato.

Tra l’altro, questi giganti hanno tutti martelli, e l’artigianato comprende una gamma molto varia di attività, quelli che vediamo potrebbero essere i diretti discendenti dei Galleyra.
Ad ogni modo, quando Harald incontra Ilva siamo a 105 anni dalla narrazione, quando parla dei carpentieri con Jarl siamo a 53 dal presente, quindi in quel momento il reggente aveva intorno al secolo compiuto, bene, benissimo: Jarl ne ha tipo 450.
Il che fa intuire due punti:
A – se un individuo sopravvissuto oltre il secolo classifica come «leggenda» un ramo esistito della sua stirpe, parliamo di eventi antichi.
B – è pratica dimostrazione che il Warland si adagia in un torpore culturale, indi per cui sarei veramente curioso di sentire che conoscenze abbiano Saul e Ripley, a proposito dei giganti artigiani.

Ma il quesito persiste, perché prendere il mare? Le motivazioni possono essere tra le più disparate, desiderio di affrontare la guerra, spinta all’esplorazione, oppure – come preferisco pensare – un’intima urgenza di allargare i propri orizzonti e conoscere. Persino i pirati-guerrieri molto tempo dopo (durante la catarsi di Harald) rimasero interdetti di fronte al livello architettonico e alla ricchezza culturale raggiunta dagli uomini.
Vale la pena sottolinearlo: non è affatto certo che la separazione dal Warland sia stata brusca. È documentato che inviarono una lettera per avvertire la madrepatria di una potenziale minaccia. Potrebbero, piuttosto, essere stati una colonia fiorita altrove, in un punto remoto del mondo, cresciuta con tradizioni e visioni estranee a quelle di Elbaph. In quest’ottica, le loro conoscenze – frutto di un’evoluzione autonoma – avrebbero potuto superare di gran lunga quelle di Ilva.
Entrambe le ipotesi possono suggerire un’interessante genealogia dei fatti.

Provate a immaginare un centinaio di guerrieri, vichinghi temprati dalla furia del Nord, tra cui si muovono antichi giganti. Figure immense che solcano i mari non per conquistare, ma per cercare. Una tale presenza mitologica suggerisce due possibili narrazioni: o si imposero come forze inarrestabili, predatori dal passo titanico, oppure – ed è questa la suggestione più affascinante – si mossero con discrezione, esploratori dall’indole schiva, determinati a non lasciare impronte troppo evidenti. In entrambi i casi appare inevitabile che il Governo li abbia ben presto etichettati come una minaccia da contenere, come accadde a Roger o a Xebec, i cui destini si intrecciano con “le verità del mondo”.
Ma perché scegliere questa interpretazione?
Onestamente, in tutta la sua semplicità priva di risvolti scatologici, emana un profumo autentico, ecco perché.

Ora, restando sul terreno scivoloso ma fertile dell’ipotesi, immaginiamo che da buoni elbaphiani, ignoranti come erano i Roger per ammissione di Rayleigh, avessero messo le mani sui progetti di Pluton, e si fossero accorti che il governo li intercettò, li sorvegliò, e infine puntò il mirino su di loro. Da qui il filo rosso che collega Elbaph a Water Seven, intrecciando mito e urbanistica, forza bruta e ingegno raffinato.
Occhio, la mia è una lettura che non cerca l’effetto narrativo, ma coerenza. Tipo questa:

Un nemico c’era — eccome se c’era.
Silenzioso forse, ma onnipresente, avvolto in manti d’istituzione e legittimità.
E allora, sarebbe davvero così azzardato supporre che i giganti, lungi dall’essere solo forza bruta, abbiano fatto due più due?
Forse fu qualcosa del genere:
“Siamo figli del legno e del fuoco, ma la creazione di una simile nave ci è preclusa. Gli uomini di Water Seven, quelli sì, sanno domare il mare con martello e scalpello. Andiamo da loro. E intanto, scriviamo. Mettiamo in guardia Elbaph: ciò che stiamo per vedere potrebbe cambiare tutto.”
Ve li immaginate? Io sì. Li vedo, mastodontici e fieri, chini su pergamene con sguardi carichi di gravità e pensieri nuovi, mai concepiti prima.
Water 7, da sempre crocevia dell’ingegno navale, divenne così — forse per la prima volta — anche centro politico, il luogo in cui due civiltà, tanto lontane per costituzione quanto unite dall’urgenza, trovarono un punto di contatto. Un’alleanza non fondata su simpatia o diplomazia, ma su qualcosa di più elementare e più solido: la necessità.

Fu in quel momento che i primi scricchiolii, gli smottamenti interiori, incrinarono secoli di obbedienza cieca. Qualcuno, tra i giganti, tra gli umani, tra gli ignari osservatori, cominciò a vedere il Governo non come un guardiano, ma come il Leviatano — l’antico mostro del potere cieco, che tutto abbraccia e tutto minaccia. Occhio, non sono io a dirlo.

E qui, vecchi cuori, entra in gioco Ohara.

Prima di proseguire nella teoria, la tragica epopea di Loki e nell’enigma di Xebec, mi permetto una brevissima digressione: se apprezzate questo tipo di analisi e desiderate esplorare altri approfondimenti sul mondo dei manga, vi invito a visitare il mio canale. Un’iscrizione o un like sono piccoli gesti, ma fondamentali per sostenere il progetto. Grazie per il vostro tempo.

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Procediamo ordunque. Un patto fu stretto, e il tatuaggio sul braccio del gigante a Punk Hazard ne sarebbe la prova più eloquente. So già cosa potrebbe balenare nella mente di qualcuno: “Ma la Galley-La Company esiste da appena una decina d’anni… com’è possibile che solo ora emerga un nome tanto legato ai giganti?”
Ebbene, Iceburg non è mai stato un uomo impulsivo. Determinato, sì, ma guidato da riflessioni profonde. È plausibile che abbia atteso di consolidare il proprio ruolo — è pur sempre il sindaco di Water Seven — per poi, a differenza del più prudente Wooslap, permettersi di smuovere le acque, forse persino in omaggio alla memoria di Tom. I vecchi giganti, intanto, svanirono senza lasciare tracce.

Ma se ne esistessero ancora i discendenti, non sarebbe quel nome — Galley-La — una sorta di dichiarazione silenziosa? Un segnale lasciato a chi sa leggere tra le pieghe della storia, un patto ancora vivo ma celato, che non sfida apertamente il Governo? Personalmente, lo ritengo più che plausibile.

Fin qui ci siamo, ma cosa successe ai giganti?
Furono obliterati da Imu&soci, ecco cosa…

Ho scelto questa vignetta perché, poco prima, Harald racconta di essere riuscito a sfuggire alle catene di Mary Geoise. Proprio in quel momento, Yarl si adira per l’imprudenza del Re e, senza soluzione di continuità rievoca i Galleyra: collega i due comportamenti, li sovrappone. Un’associazione che non è casuale. È probabile che i giganti abbiano compiuto un gesto avventato — e che, così facendo, abbiano attirato l’ira dei Nobili Mondiali.
Quando il vecchio guerriero afferma che nella lettera si comunica la loro cattura, mi sembra di cogliere una lieve stonatura stilistica, più che una notizia compiuta, dev’essere un avvertimento. Erano in procinto di essere catturati. D’altronde, riuscite davvero a immaginare un pirata che, poco prima di finire sotto l’obiettivo del governo, si premura di chiedergli: «Mi imbuchi questa, che avviso a casa?» Suvvia.

Certo, i fatti devono essersi svolti ben prima dell’ingresso in scena di Vegapunk, ma, non dimentichiamo che tra i Cinque Astri c’è sempre stato un Guardiano della Difesa Scientifica. E Punk Hazard, già allora, rappresentava un terreno perfetto: isolato, sorvegliato, destinato (forse) a diventare laboratorio ben prima dell’avvento del dottor Heinstein comprato su Wish.

Se cerchiamo una motivazione credibile, potremmo ipotizzare che l’élite di Mary Geoise non tollerasse l’idea che i giganti stabilissero alleanze con gli umani — né tantomeno che si avventurassero oltre le cortine di segretezza che proteggono il cuore oscuro del mondo.
La loro sola curiosità era letta come un crimine.
Quanto alla scelta di ingaggiare il devastante ‘ensemble’, la logica sembrerebbe paradossale solo in apparenza. Per quanto imponenti e temibili, cento giganti erano una forza più facilmente contenibile rispetto all’intera furia bellica del Warland. Bastava semplicemente mentire per attirarli in un luogo.
E se vi pare difficile immaginare come qualcuno sia riuscito a sottometterli, proviamo per un istante a visualizzare Imu, solo nella desolazione di una Punk Hazard ancora spogliata di scienziati e recinti, libero/a di scatenare il proprio potere. E di ricorrere al Domi Reversi.

Ci sono punti vacui? Si.
Perché i vichinghi, una volta appreso il contenuto della lettera, scelsero l’inazione? Perché, in un’epoca in cui la risposta standard era l’aggressività — come ci suggeriscono i racconti tramandati sui progenitori di Harald — non reagirono? L’idea che non si curassero delle tribù esterne non regge, lo dimostrano tanto l’indignazione collettiva per l’esecuzione di Jorl quanto la furia con cui Harald si scaglia alla vista di Ilva incatenata. Il senso di appartenenza dei giganti va ben oltre i confini territoriali: è un istinto arcaico, tribale. Dobbiamo quindi dedurre che qualcosa abbia paralizzato la loro reazione. La mia ipotesi è che non sapessero verso chi rivolgere la propria collera. Una vendetta cieca, senza bersaglio preciso, rischiava di diventare inutile — o peggio, controproducente. La nebulosità del nemico, l’assenza di un volto, di un mandante tangibile, dev’essere stata la chiave della loro inerzia.
Nessuna rabbia è utile se non puoi indirizzarla.

E qui emerge un secondo interrogativo, forse ancor più spinoso: com’è possibile che una lettera di tale importanza non sia stata custodita, tramandata, discussa? Perché Jarl viene a conoscenza del suo contenuto solo per una circostanza fortuita, quasi accidentale? È un nodo narrativo che suggerisce più di quanto mostri. Ossia, fu Harald ad istituire scuole e biblioteche. Proprio in questo ultimo tassello si inserisce chi voltò le spalle a Clover nel momento di massima necessità, colui che poi rifiutò a un Dragon in via di creazione del Fronte Rivoluzionario i mezzi necessari per adeguarsi allo strapotere del governo: Vegapunk.
Non sono quanto sapesse, non so se abbia giocato anche con la biologia dei giganti ibernati, ma so che qualcosa c’era, nel suo ‘serraglio privato’, guardate cosa sbuca poco sopra la scritta Punk Hazard…

Pane, burro, e marmellata di Dna. La poppata mattutina dello scienziato.
Ha combinato più disastri lui che tutta la pirateria messa insieme.

Ecco perché Oda intreccia volutamente piste fuorvianti, sottotrame ambigue, e quel fine gioco di specchi del “narratore inaffidabile”. Forse la mia è un’interpretazione sbagliata, ma non è questo il punto, poiché più dettagli si accumulano, più il lettore è messo nella condizione di formulare ipotesi coerenti.
E questa non è una critica bensì un elogio al sensei.
L’ambiguità non è un difetto, ma la spina dorsale di un worldbuilding vivo.

Homo homini lupus

‘Non è quello che sono, ma quello che faccio che mi definisce’
– Batman begins

Come in una tragedia scandinava, l’incipit si tinge di gelo: una tempesta di neve flagella Elbaph, ne congela i raccolti, e riduce alla fame una stirpe di giganti abituati alla lotta ma disarmati di fronte all’indifferenza climatica. È il castigo degli dei o l’ironia della natura? Poco importa. L’atmosfera richiama Ragnarök, ma è tutta umana nella sua desolazione.
Il paragone con una tragedia scandinava non è puramente estetico, bensì strutturale: nei miti nordici il gelo non è solo elemento atmosferico, ma principio cosmico, forza entropica che annuncia la fine. Il Fimbulvetr, l’inverno terribile che precede il crepuscolo degli dei, è l’emblema di un mondo che si spegne non per colpa ma per destino.

Allo stesso modo, Elbaph viene travolta da un freddo improvviso e incontrollabile.

Oda, che da sempre maneggia la materia mitica in maniera evidentemente teatrale, qui orchestra una scena che illustra la crudezza antropologica di una crisi alimentare. I giganti, che in altre saghe erano simbolo di forza e orgoglio, si scoprono fragili, quasi puerili di fronte alla fame: la loro grandezza fisica si ribalta in sproporzione tragica, in un’inadeguatezza materiale a reggere l’urto del cambiamento climatico. Qui tornano chiare e nitide le parole di Ilva: ‘sei stato solo fortunato a nascere potente, ma le tue scelte sono comunque deprecabili‘.
La forza, nella tragedia norrena, non basta mai.

La desolazione che il sensei mette in scena non è solo climatica, ma relazionale, affettiva.
È il gelo dell’incomprensione, dell’abbandono, dell’ottusità collettiva.
Elbaph si disgrega non sotto il peso della neve, ma sotto quello delle proprie paure.
I giganti sono un popolo primitivo, quindi una superstiziosa Estrilda impiega poco a far germogliare il seme della diffidenza verso un bambino nato con una anomalia, seppur innocente.
Il Warland che vediamo qui: con a capo il vecchio Harald non sarebbe sopravvissuto. Infatti la prima opzione contemplata è il saccheggio degli umani vicini, in modo pratico ma barbaro, il secondo passo involutivo è la guerra tra villaggi, senza predare gli umani si entra in guerra tra gli stessi fratelli, con conseguenze terribili.
Il terreno vichingo diventa una capsula esistenziale in cui le regole sociali evaporano sotto la pressione emotiva. La dinamica da “uomo contro natura” si trasforma presto in “uomo contro uomo”, dove il collasso della fiducia e la fame aprono le porte a rituali pagani e dell’orrore.
Il passo successivo è l’accettazione piena che il principe sia maledetto, tutti i lettori, nessuno escluso, hanno provato un moto di pietà ed empatia verso Loki, li trovo sinceramente i momenti più belli della community.

Purtroppo, nel frattempo, il Warland non fa una figura migliore di Mary Geoise.
Non osando attaccare la linea di sangue reale, il popolino sciocco riversa la propria rabbia sulla prima famiglia di Harald, generando esso stesso due scosse destinate a cambiare per sempre il futuro: A. l’irriducibile desiderio di Hajrudin nel voler unificare il popolo a prescindere dal clan di appartenenza; B. innesca la furia repressa di Loki, che fino a quel momento, badate, non aveva un bersaglio.

L’indifferenza climatica diventa allora metafora dell’indifferenza umana.
E qui, mes amis, Oda mostra un talento al calor bianco…

Forse la tavola più bella del capitolo.

Qui, i giganti capiscono quel che comprese Harald anni prima, ossia: la forza non produce diritto.
Questo è ciò che teme il governo tramite le parole di Gunko, verrà il tempo della guerra, e lo schieramento dei giganti farà pendere i piatti della bilancia nell’esito dello scontro. Se tutto fosse rimasto immutato, i vichinghi avevano fatto voto solenne riconoscendo ogni essere umano come fratello e proprio pari.

Purtroppo, come si conviene in ogni favola dark, ora inizia la parte più bieca del capitolo.

Alcuni sostengono che il re abbia semplicemente scelto di infischiarsene dei propri figli — Loki in particolare — come se si trattasse di un prezzo inevitabile delle circostanze. Personalmente, trovo questa lettura pratica, ma incompleta. Credo piuttosto che Harald sia stato sopraffatto dalle responsabilità e, soprattutto, dalla sua stessa ingenuità. Non era privo di cuore; parliamo di un sovrano convinto che l’ordine istituzionale potesse supplire alla fragilità dei legami individuali.
Eppure certe scelte restano ingiustificabili. Non avrebbe mai dovuto lasciare un figlio illegittimo in un paese in tumulto. Non avrebbe dovuto abbandonare il proprio erede in un’età così delicata, tanto più dopo la tragedia della madre. È questa la sua ‘colpa’ più grave: la convinzione, tanto nobile quanto miope, che un popolo ferito potesse maturare da sé.

Spinto dalle migliori intenzioni, certo, ma una parte dell’essere umano rimane irrimediabilmente stupida e meschina — soprattutto in una corte di nobili, dove l’orgoglio si traveste da tradizione e la diffidenza da virtù. In un mondo ideale, giganti giusti come Jarl avrebbero preso immediatamente i due ragazzi sotto la propria ala protettiva (cosa in parte avvenuta), li avrebbero sostenuti e difesi come figli propri. Oppure Harald stesso avrebbe dovuto fare l’unica cosa sensata: ignorare regole e protocolli, e portare con sé i suoi figli, senza preoccuparsi del giudizio altrui.

Invece, scelse di credere nella maturità collettiva. Fu una leggerezza imperdonabile, la dimostrazione che la bontà, quando è cieca, diventa la forma più pericolosa di debolezza.
Quante volte l’abbiam visto in One Piece? Tante, troppe, proprio come ora.

Vale per entrambi.

Confesso: il sangue mi ribolle, tuttavia nella prossima argomentazione adotterò il rigore del recensore.

Quando un adulto ferisce deliberatamente un bambino con le parole, non è semplicemente “cattivo”: sta proiettando il proprio disagio su un bersaglio che non può difendersi. Il bambino è inerme, malleabile, in ascolto assoluto, rappresenta proprio ciò che l’adulto ha perduto — ingenuità, apertura, speranza, ma anche il potenziale in assoluto più determinante: la scelta di non somigliare affatto a chi lo sta crescendo in maniera disfunzionale.
Per chi è stato umiliato, trascurato, o spezzato, vedere quella possibilità viva davanti a sé diventa insopportabile. E così, per non sentirsi inferiore alla promessa che quel bambino rappresenta, lo si spezza in anticipo. Non crediate stia giustificando chicchessia, attenzione, nessuno più di me prova disgusto verso un rifiuto umano capace di fare questo a un bambino.

Senza certi interventi esterni, datemi pure del sentimentale, Harald, Ilva, Hajrudin e Loki sarebbero diventati una famiglia meravigliosa, trust me.

Rimane un tasselo buio, nevvero?
Separati dal sangue, vittime degli stessi abusi, allora perché i due fratelli hanno reazioni agli antipodi?
La risposta ha un nome, Ilva.
Molto semplice e diretto, osserviamo diverse tavole in cui la vediamo affettuosa con il figlio, Hajrudin è cresciuto nella consapevolezza di essere amato: Loki no, è stato rifiutato dalla forza che gli ha dato la vita.
Semplice? Si, mostruosamente semplice.

L’inumanità del principe è uno dei fulcri più sconcertanti e radicali della saga.

Non piange alla morte della madre, ha già versato tutte le sue lacrime, la sua reazione consiste nell’incapacità — o nel rifiuto — di fingere ciò che non prova. Non odia, non ama, non soffre nel senso convenzionale; semplicemente va avanti, e osserva il mondo con uno sguardo spoglio di illusioni. In una società che non offre né parità di diritti né giustizia metafisica, Loki (a mio parere) adotta una postura radicalmente onesta, non cerca consolazioni. Non è crudele — è amorale nel senso letterale: privo di morali prefabbricate. fittizie, di facciata.

Il suo meccanismo di difesa sta nell’ostentare indifferenza verso il mondo che lo rifiuta. Paradossalmente, è lì che invece si compie la condanna da parte della società. L’inumanità che gli viene imputata non è tanto il crimine, ma l’incapacità di aderire alle norme emotive collettive, di fingere dolore, pentimento o redenzione.

Loki rifiuta l’ipocrisia della coscienza pubblica.

Così abbraccia fino in fondo i dogmi della sua cultura: la prevaricazione non è una punizione, ma la condizione universale. La sua freddezza si trasforma in accettazione pura… se nulla ha senso, allora tutto è ugualmente degno di essere vissuto senza fregarmene di niente.

C’è una sorta di gioia brutale e tragica quando desidera che molti lo odino, e che siano in molti ad assistere alle sue malefatte; è il culmine dell’ateismo esistenziale, un uomo che guarda in faccia il nulla senza tremare.

Ritengo il principe un personaggio tra i migliori mai scritti da Oda, magari penserete sia un sognatore, ma riesco a comprendere le sue ragioni, l’inumanità di Loki è, paradossalmente, una forma di purezza. Rifiutando ogni illusione, specchia se stesso nell’universo così com’è: vuoto, muto, ma meravigliosamente libero.
E’ l’unica cosa che poteva pensare un bambino con il cuore in pezzi, giudicato e condannato ancora prima di poter dire ‘perdonami madre, non posso farci niente, sono nato così’.

In ogni modo, perché gettarsi, e da dove vengono quelle lacrime?
Guardate la vignetta qui sopra, gli sguardi di odio fanno mordere al principe il labbro teso in un ghigno.
La punizione che si autoinfligge è una risposta morale profonda. Si riconosce “cattivo” perché percepisce un’incongruenza tra l’idea che ha di sé e ciò che ha fatto.
Sembra stia pensando: “Non sono come loro. Ma agisco come loro. Allora… cosa sono?”
Il rifiuto di Estrilda ha bloccato la possibilità di perdonarsi e crescere.
Ciò dimostra definitivamente che Loki ha una coscienza quindi si apre un baratro: comprende di essere diventato ciò che temeva e disprezzava. Il meccanismo è quasi mitologico, l’eroe che si specchia nel mostro che ha giurato di combattere, e scopre che il volto è il suo. Ha commesso atti gravi, certo, ma qui va onorato. Perché sta dicendo la verità su se stesso, quella che definirà il suo ruolo nella saga, la stessa che molti adulti di Elbaph non hanno mai il coraggio di pronunciare:

“Ho fatto del male, ma non voglio essere questo. Posso tornare a essere altro?”
Io qui, avverto puzza di eroismo.

Una goccia di buio

‘Le tue regole cominciano davvero a darmi fastidio’
– 1997: Fuga da New York

All’improvviso, quando un giovanissimo Loki devastato si getta nell’Oltretomba…
Si toglie la benda dagli occhi, e in quell’istante il suo sguardo si incrocia con la leggenda.
Una figura emerge. È Rocks D. Xebec, l’uomo che fino a oggi era solo spettro, minaccia sussurrata. Ora è lì, in carne e cicatrici, con un volto che è l’ombra speculare di Marshall D. Teach. Shiki, Newgate, Buckingham Stussy: la vecchia guardia del caos si stringe attorno al bambino maledetto.
Brividi.

La mia previsione si è rivelata corretta, Harald non era affiliato al Governo Mondiale. La sua richiesta, evidentemente, implicava un’integrazione con altri popoli, cosa che ai Gorosei risultò del tutto indigesta, poiché avevano bisogno di conservare i giganti come baluardo bellico per il futuro. Nel frattempo, l’omicidio perpetrato da Xebec gli offrì un’occasione perfetta per dileguarsi. Si delinea così un trittico di forze in gioco: Shanks intendeva avvertire il re di Elbaph, mentre Xebec lo bracca per ottenere qualcosa di specifico; infine, il Governo (presumo) ha deciso di intervenire direttamente, sfruttando i portali per raggiungerlo.

Cosa che avvenne in una fase intermedia? Il re fu ucciso quando Loki era adulto, infatti è lì che il figlio lo chiama ‘cane del governo’, senza contare che vedremo fatti a dir poco eclatanti, perché Harald disse al popolo di cambiare le abitudini più selvagge senza abbandonare la via del guerriero, invece poi arriverà a costruire scuole e addirittura a strapparsi le corna.
Non abbiamo ancora visto l’ora più buia.
Ad ogni modo, Rocks in che veste era al Reverie?

  • Infiltrato come il vichingo
  • Re di qualche nazione affiliata
  • Un componente della stessa società di Mary Geoise?

Al momento è inutile soffermarsi su questo, sono ipotesi troppo disparate per trattarle senza indizi precisi, ergo, analizziamo in base a ciò che sappiamo con certezza:

Questa era l’ambizione di Xebec, il che spiega il suo viaggio a Mary Geoise

Ed ecco il nodo cruciale.
Il pirata venne a conoscenza dell’identità di Imu? Questa domanda muta radicalmente la narrazione. Rocks si presentò con intenti esplorativi, alla ricerca di informazioni, oppure era già lì con un preciso obiettivo di assassinio politico?
Probabilmente stiamo parlando del combattente che più di ogni altro incarnava una fiducia assoluta nelle proprie capacità: capace di affrontare e uccidere un ammiraglio in duello singolo, di attirare contemporaneamente l’attenzione congiunta di Roger e Garp, di guidare una ciurma formidabile composta da Big Mom, Kaido, Shiki, Newgate… Bisogna essere una vera forza della natura per compiere anche solo una di queste imprese.

Troppi enigmi e implicazioni si intrecciano in questa trama. Proviamo allora a guardare la questione con occhi luciferini: Xebec apprende che il trono è occupato da Imu, dichiara guerra ai draghi assassinando un marine e inizia a plasmare i Rocks — il cartiglio lo definisce “futuro capitano”. Un simile rottamatore dell’ordine, un antagonista nato, poteva realmente scatenare un conflitto titanico mosso unicamente da ambizione personale? Sulla carta, assolutamente si.
Siamo a quarantotto anni dal presente narrativo; Barbanera nascerà otto anni più tardi. God Valley, che segna la caduta di Xebec, avviene trentotto anni dopo, così Teach avrebbe potuto incontrare suo padre — se davvero lo fece — per un paio d’anni soltanto.
Aveva solo due anni ma parliamo di un manga, avete visto come si comporta Loki cercando la madre?

L’iconica vignetta in cui piange di notte evoca il suo legame con Newgate, piangeva anche allora. Se mi seguite fin dai primi articoli, sapete che ho sempre interpretato le lacrime di Teach come un desiderio di vendetta. In passato, le attribuivo alla perdita di madre e sorelle, ricordando che le “epurazioni dei nativi” avvengono con cadenza triennale: la sua famiglia potrebbe esserci rimasta coinvolta.

Ora, però, le punte si smussano, le distanze si accorciano, il velo si solleva.
Comincio a credere che sì, Teach coltivi il sogno del “Mondo” — come ci ricordano con vigore Katarina e Van Augur — ma per ragioni ben diverse, più oscure.

Non fatico a immaginare Xebec alla scoperta di chi davvero regna sul trono.
Quel moto di ribellione — parte essenziale del suo carattere — che lo spinge a pensare: «Perché dovrei inchinarmi a chi non riconosco come superiore? Chi ha deciso per me cosa posso o non posso fare?
Se qualcuno deve portare la corona delle corone, quello sono io!».
Non credo nemmeno voi fatichiate a vederlo così.
Eppure, da Mary Geoise fugge, perché è in minoranza.
Forse, solo allora, comincia a radunare i peggiori tizzoni d’inferno per formare la ciurma più spietata. Come ripeto spesso, se Roger fu il Re dei Pirati, Xebec fu il Conquistatore dei Conquistatori.

Cercare Harald? Potrebbe essere coerente con le sue manie di onnipotenza.
Forse voleva opporsi alla Marina sfruttando la forza dei giganti. Tutto torna. Del resto, potrebbe essere proprio da qui che Lin Lin ha tratto l’idea. Una congettura plausibile.
Potrebbe essere perfino una fase eroica, poi forse accecata dalla sua smania ci comandare come schiavi e nullità chiunque gli sia vicino, per questo vedo Teach diverso, ricordando che lui e Luffy sono facce della stessa medaglia, il Nero forse è cresciuto nella sofferenza di aver perso chi amava, il Bianco è cresciuto a Foosha, amato e benvoluto da tutti.
Da una parte l’essere spietati, dall’altra la vita presa con leggerezza.
Eppure entrambi vogliono abbattere un sistema che ogni fibra del loro essere non riesce a tollerare.
Pensateci, mes amis, riuscite ancora a vedere Loki come un demonio, dopo aver conosciuto le motivazione che lo spingono?
Prepariamoci, da oggi One Piece non sarà mai più lo stesso.

Dimenticavo, somiglia anche a Buggy? Sì, per me richiama anche lui. E se anche non fosse così, resta da spiegare perché Roger affidò il compito a Shanks, escludendo l’altro figlio che lo amava profondamente.
Affideresti mai un segreto così cruciale a chi potrebbe risvegliare l’unica volontà in netto contrasto con la tua? Ve lo ripeto vecchi cuori, sono un sognatore.
Ma chest’è One Piece, sogni, non un’equazione da risolvere.

Come sempre vi lascio il video del Re, una visione trasversale, in cui non ha voluto nemmeno scrivere ma andare a braccio, vi stuzzica eh?
A voi!

Purezza sociopatica

Spero di avervi intrattenuti, spinti a ragionare e riflettere.

Se l’ipotesi di un’alleanza con la Galley-La si rivelasse fondata, vorrei vederla raccontata in un flashback.
Figure immense, tra le banchine e i moli dell’isola-cantiere, sguardi cupi rivolti a orizzonti inquieti. Una scelta che non nacque da strategie politiche né da convenienze tattiche, ma da umanissima necessità – quell’impulso primordiale che piega anche l’orgoglio più antico.

E poi… Xebec.
Mi sono bastate due vignette per adorarlo.
Un fuorilegge scolpito nell’ossimoro, una macchina dialogica perfetta: tagliente, ironico, ipercompetente, sempre un passo avanti rispetto al caos che lo circonda.
Un simile carisma, il dubbio te lo fa sorgere.
Si rivelerà un vero sociopatico? O forse solo un uomo, l’unico a intuire il terrore che cresceva nel sottosuolo della coscienza collettiva: sotto la maschera della stabilità, un demone muoveva le sue spire. Invisibile. Nutrito da secoli di obbedienza.

E Xebec non mutò.
Restò vigile.
E proprio per questo… condannato?

Godiamoci il viaggio, genti

‘La scelta è darci un taglio netto o trasformarci come loro
Però io non me lo metto il tuo guinzaglio, anche se è d’oro
/Già dal giorno uno tra le verità imposte
mentre mi consumo e qualcuno le ha già nascoste’

– Kaos One, Pandemia

Cenere

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