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#1160: Tali padri tali figli; God Valley nell’Olimpo Shonen; Cuore di Tenebra

del pirata Stefano 'Cenere' Potì

‘Che mondo è questo? Me lo sono chiesto molto spesso (troppo spesso)
difendo ciò che è mio con le unghie fino in fondo, ma non c’è fine al fondo
e questo tango non è l’ultimo che sto ballando mò nel fango…’

– Chef Ragoo, Punti Limite

Se il precedente capitolo aveva innescato la miccia, questo è l’esplosione che ridisegna l’atlante emotivo esplorato in 28 anni. Il sensei eleva Teach oltre le previsioni, coreografando un requiem per l’innocenza perduta, dove ogni tavola è un ematoma visivo che immortala l’istante in cui il mondo di un bambino si spezza, per poi ricomporsi sotto il peso di contraddizioni insostenibili per una mente così giovane.

Oda ha rischiato con la retcon Nika, le contraddizioni narrative esistono fin da Marineford, oh… certo, ma qui si vola. Dalla prima apparizione dell’Hito Hito No Mi abbiamo visto la luce? Bene. Ora tocca al buio.

La visione di Teach bambino – fa stringere il cuore – terrorizzato e protetto dalla madre mentre i Tenryuubito trasformano un popolo in alta macelleria, è un capolavoro di ironia tragica degno dei grandi classici. È l’ouroboros narrativo che si morde la coda: il clan Davy, stirpe maledetta e perseguitata, che genera sia la ribellione di Rocks che il terrore primordiale di colui che ne erediterà l’oscurità. La perfezione.

Nelle ultime tavole poi, Oda dimostra maturità cinematografica – dove Garp emerge come deus ex machina con il suo “Pugno Meteora” e un sorriso degno di All Might. Non so voi, ma ho percepito l’incarnazione stessa della giustizia che piomba dal cielo, mentre i Marine piangono di commozione come apostoli che vedono materializzarsi il loro messia.
E non a caso, erano così fieri di ciò che stavano facendo?

Si parla di architettura narrativa dove ogni rivelazione si incastra nell’altra come gli ingranaggi di un orologio cosmogonico, dove il passato spiega il presente, dove si consumerà la vecchia Era della Pirateria, dove ognuno di noi ha un posto in prima fila. Dragon che salva i gemelli neonati mentre God Valley brucia è catarsi aristotelica: l’eroe che nasce dalle ceneri del mondo che ha giurato di cambiare.

I flashback rischiano spesso di diventare pause narrative, vero? Oggi invece dimostrano come il ritorno al passato possa essere accelerazione pura verso il futuro – bando agli indugi dunque.

E’ il momento dell’Elzeviro…

Fin troppo labile

Yamato visita il santuario di Oden durante il suo viaggio attraverso Wano, in quello che rappresenta… il culmine simbolico?

Il pellegrinaggio rispecchia esattamente quello che Oden fece in passato, ma almeno non si tratta di pura imitazione. È piuttosto un atto di riconciliazione con la terra che il padre biologico di Yamato – Kaido – aveva devastato e che Oden aveva tanto amato. Il viaggio includeva la consegna della spada di Shimotsuki Yasuie al Santuario di Enma a Hakumai, trasformando il tutto in un rito di riparazione storica. Una cornice contemplativa.

Spero possa evolversi il parallelismo tra i vassalli di Oden e la possibile formazione di un gruppo di seguaci intorno a Yamato, particolarmente dopo aver salvato Ulti e Page One. Ragionandoci ho compreso come questo pellegrinaggio non è semplice ripetizione. Yamato non sta cercando di diventare Oden – sta diventando ciò che avrebbe potuto essere se fosse rimasto a Wano.
Onestamente, l’immagine lascia una bella sensazione.

In un manga dove l’eredità spesso significa perpetuare cicli di violenza, Yamato rappresenta la possibilità di un’eredità creativa. Non eredita il potere di Oden o la distruttività di Kaido: forgia una terza via, dove la forza serve la guarigione e la memoria diventa strumento di trasformazione.
La cosa mi ha fatto sinceramente ridere: mentre God Valley ci mostra come nascono i mostri, il pellegrinaggio di Yamato ci ricorda come nascono i santi.

Ma è tempo che mi dedichi all’analisi, quindi…
Dimenticatevi tutto quello che sapete su One Piece.
Dimenticatevi le interpretazioni simboliche, le allegorie geografiche, le metafore sulla crisi della civiltà.
Guardando Teach sotto shock, si capisce perché Oda ha scritto il più spietato survival horror del suo manga, che ci prende a schiaffi e non smetterà finché non avremo capito una verità semplice: il confine tra vittima e carnefice è fin troppo labile.
E’ la volontà, ciò che conta.

Signore e signori: capitolo 1160

Buio pesto

Mi sento cotto, ma è strano lo svolto
L’anima mi sanguina, non basta un cerotto!’

– Turi, Tiratemi Fuori

Premessa rapida, di solito affronto un tema in blocco unico, ma questa volta preferisco tornare più volte su Teach. Solo così si può restituire la complessità di un ‘villain finale’ degno del nome. Pazientate: ogni ritorno sarà un tassello in più. E sì, so che aspettate con fame tutte le prospettive sul Nero: oggi, vi prometto, non resterete digiuni.

God Valley, quarant’anni fa.
Oda ci mostra uno scenario duro come chiodi che sembra uscito dagli incubi di Lovecraft. Solo che qui non si trovano tentacoli cosmici: c’è qualcosa di molto peggio. Ossia Draghi Celesti che si sono liberati della maschera della civiltà e hanno scoperto quanto risulti divertente giocare a fare i demoni.

Le frasi in apertura scenario ci catapultano immediatamente nel vivo della trama orizzontale.

Sappiamo che la classe sociale è distinta: al vertice gli Astri, di seguito i Cavalieri, alla base i Tenryūbito. I primi e i secondi conoscono la visione d’insieme, e generalmente i Gorosei coordinano il braccio armato di Mary Geoise, anche se questi ultimi godono di ampia libertà sia gestionale che decisionale. Tenendo a mente che la sorella di Charloss non sa nemmeno cosa sia il Secolo vuoto, la nebbia si dirada e iniziamo a intravedere un minimo di struttura sociale.

Nella vignetta di cui sopra i nobili-base usano parole ben precise:

  • La famiglia Davy è il Clan più odiato.
  • Lasciarli vivere costituisce una minaccia attiva e concreta.
  • “In tutta la storia nessuno vi ha mai amato”, ossia la storia che i Draghi conoscono.

Anzitutto, i Davy sono anche Buccaneer? Furono alleati in qualche circostanza?
Per come la vedo io, potrebbero essere stati alleati o simpatizzanti. Dalle conversazioni emerse nel capitolo e negli ultimi mesi, i loro approcci sono totalmente differenti, come per gli Ebrei ribelli e le comunità ebraiche pacifiche sotto Roma (I secolo d.C.).
I primi: Durante la Grande Rivolta ebraica (66-73 d.C.), alcuni gruppi ebraici in Giudea — Sicari e Zeloti — combatterono attivamente contro il governo romano per preservare la loro autonomia religiosa e politica.
I secondi: Altre comunità ebraiche, pur mantenendo il loro culto monoteista e l’osservanza della legge mosaica, rimasero neutrali, cercando di sopravvivere senza conflitto diretto con Roma.

Insomma, sembra proprio che i Davy siano andati a cercare apertamente il conflitto con la Terra Santa. Da qui si possono formulare due ipotesi. Come ricorderete, nel precedente articolo ho osservato che Jones possa essere stato addirittura la prima D a seguire Joy Boy, ma anche se così non fosse, vi stendo due pensieri leciti in base agli eventi più recenti:
A. Entrambi i gruppi adoravano lo stesso Dio, ma la differenza stava nella strategia. Uno ribelle e militante, l’altro pacifico e dedito al culto, con un approccio non conflittuale alla dominazione Celeste, mirato alla semplice sopravvivenza.
B. I Jones divennero la frangia più violenta, incontrollabile e oltranzista del clan della pirateria. Due ideologie parallele ma impossibili da intrecciare; prendiamo come esempio Roger e Xebec. Il primo non attaccò mai Mary Geoise ma piantò i frutti affinché gli eventi si mettessero in moto da soli; il secondo scopre il Re segreto, lo minaccia, e diventa pubblicamente il suo incubo, preparando una Guerra.

Stesso clan, intenzioni agli antipodi.
Il pensiero corre a Luffy che prova diffidenza istintiva verso Barbanera…

Oppure, più semplicemente, si ignoravano reciprocamente. I Buccaneer vengono considerati pericolosi per le loro credenze; Slap — padre di Kuma — trasmette al figlio solo frammenti di folclore, senza mai dirgli “sopravvivi e fa’ rifiorire il Culto del Sole“. Stessa linea immaginaria per i Jones: pirati ferocissimi, categoria creata da Joy Boy in quanto capostipite, ma fino a quando furono davvero consapevoli dell’essere “D” e del significato intrinseco del simbolo?

Dopo quasi novecento anni di damnatio memoriae, ecco forse perché i Gorosei iniziarono a trascurare la caccia: avevano ridotto i più a gusci vuoti.
Tranne figure come Clover.
Tranne personaggi come Xebec.
O volontà pronte a ereditare: Shirahoshi, Vivi, Teach, Luffy.

Per ora teniamo presente ciò che il capitolo evidenzia, i Davy costituiscono un “Clan” che pratica il crimine più temuto dallo stato, apparentemente senza legami sanguigni, avendo persino ideato metodi per reclutare coercitivamente sconosciuti (il Davy Back Fight andava di moda); i Buccaneer rappresentano una “specie” che custodisce un passato che non deve assolutamente riemergere nella coscienza collettiva.

I Tenryūbito accusano i Davy di essere “anche” Buccaneer, ma dubito Teach lo sia. Certo, se l’antitesi di Luffy fosse un potenziale sacerdote del culto di cui il mugiwara è divinità, One Piece diventerebbe la Bibbia secondo Giobbe Covatta: puro spasso. Ma non vanificherebbe l’unicità del Nero nell’assorbire due frutti? E soprattutto, serve una costruzione drammatica di spessore considerevole, dato che il passato in bianconero sporco e allucinato del pirata suggerisce chiaramente una vittima del sistema.

E qui arriva il peggio… perdono, il pièce de résistance dell’orrore.
Vi siete concessi qualche minuto per osservare attentamente Teach?
Si trovava palesemente sotto shock; ho provato sincera pietà per lui — una lavagna su cui viene cancellato qualcosa (l’innocenza, la compassione stessa) e riscritto ciò che un bambino di quell’età non dovrebbe mai conoscere.
La vera genesi del Governo non ha niente di letterario. È puro massacro coloniale.
Teach vide cose che gli rimasero incollate addosso come catrame per il resto della vita. Famiglie gestite con tortura sistematica. Nobili che collezionavano vite interrotte come trofei. Villaggi interi trasformati in mattatoi per garantire la grandezza della corona nascosta al mondo.
Roba che farebbe nauseare un macellaio.

Il capitolo 1160 spalanca un vase de Pandore narrativo che rimette in discussione ogni certezza consolidata. Luffy resta il protagonista, destinato alla vittoria secondo i canoni del genere; Oda continua da tre saghe consecutive ad affilare la nostra repulsione verso i Draghi Celesti. Ok. Ma Teach?

La ferocia nauseante che permea il capitolo, unita alla psiche frantumata di Barbanera, compone un meccanismo di precisione. È legittimo domandarsi se possa fiorire un messaggio tanto sovversivo quanto amaro: l’accettazione che un innocente debba smarrire per sempre il proprio sorriso, contemplare inerme lo sterminio di chiunque abbia mai amato, patire crudeltà fisiche e mentali che imprimono nell’animo cicatrici indelebili — senza trovare forma alcuna di redenzione.

Un conto sono le saghe, ma, chi è il villain finale?

Il Nero dopo non essere riuscito a sconfiggere l’autentica malvagità, verrà per di più sconfitto da chi, come lui, vuol cambiare il mondo? La luce che trionfa sulle tenebre? Luffy che abbatte Teach? Bah.
Appartengo a quella sparuta minoranza che, da sempre, non trova edificante l’eventualità che Barbanera venga eliminato o semplicemente “sconfitto” da Luffy.
Dopo questa svolta storica poi, ne sarei addirittura disgustato.

Ora come ora? Sì.
Teach incarna l’antitesi assoluta dell’eroe tradizionale: non l’antagonista germogliato dal privilegio o dall’ambizione sfrenata, bensì il prodotto inevitabile di un sistema che fagocita l’innocenza. La sua metamorfosi non segue l’bildungsroman classico dell’eroe; al contrario, rappresenta un percorso invertito dove ogni esperienza lo allontana progressivamente dalla possibilità di redenzione. Ogni suo gesto documentato lo conferma. Osservando God Valley attraverso i suoi occhi, posso per ora concepire una formazione capovolta: non la genesi dell’eroe, ma l’embrione del mostro.

Il fanciullo che assiste ad tali atrocità non ne emerge solo temprando il carattere; ma ne viene invece corrotto.

Barbanera è colui che pronuncia la frase sublime del manga. la più bella: “I sogni degli uomini non moriranno mai!” — pura speranza allo stato liquido. Simultaneamente, però, rimane un giovane perturbato che considera lecito adottare i medesimi metodi dei propri aguzzini. Il parallelismo in tutta l’opera non è fortuito: genocidi, oppressioni sistemiche, violenze coloniali hanno generato individui irreparabilmente segnati. Alcuni sono riusciti a mutare il dolore in compassione (come Kuma), altri sono stati consumati dall’odio (si pensi ad Arlong). La narrazione sembra insinuare che non esiste formula magica per sanare l’anima ferita; talvolta, il male patito genera semplicemente altro male.

In questa prospettiva, l’eventuale sconfitta definitiva di Teach non rappresenterebbe un fallimento emotivo, bensì il riconoscimento di una verità scomoda: non tutti possono essere salvati. Non perché non lo meritino, ma perché il sistema che li ha frantumati si è rivelato troppo efficace nella propria opera distruttiva. Calma, tranquilli, non è quel che spero per il pirata, anzi…

Sapete benissimo che auspico il percorso di Barbanera si articoli ulteriormente — suvvia, gli manca solo un tassello cruciale. In questo scenario alternativo, la sconfitta non costituirebbe la logora vittoria del bene sul male, ma il riconoscimento aspro che la speranza esige un prezzo, e alcuni lo pagano con l’anima stessa. Forse, solo forse, in un mondo che spesso ricerca risposte facili a quesiti complessi, questa potrebbe rappresentare la lezione più preziosa che uno shōnen possa effettivamente offrire: l’accettazione della tragedia come componente dell’esperienza umana.

E se Luffy fosse il primo a porgere la mano a Teach, riuscendo a fargliela accettare?
Avremmo un precedente rivoluzionario nel panorama shōnen.
Qualcosa che nemmeno Kishimoto sensei, con Naruto e Sasuke, riuscì completamente a realizzare.

Il che, diamine, è tutto dire.

Horror Vacui

‘Il nobile è un parassita con genealogia’

– Aforistica del Movimento operaio internazionale

Il viaggio compiuto negli anni nello strato sociale Tenryūbito è strutturato come una discesa negli inferi in stile Dante, ma con un twist moderno: ogni cerchio dell’inferno è peggiore del precedente non solo per qualità metafisica del male, ma per quantità industriale di violenza. La prima stazione è incompetenza assoluta ma criminale, la seconda è corruzione burocratica, la terza è genocidio per hobby. Una progressione perfettamente calibrata per aumentare la tensione fino al punto di rottura.
Ossia God Valley.

In basso i fantocci base, appollaiati in alto come due avvoltoi troviamo Mimì e Cocò: Saturn e Figarland. Le parole dello scienziato sono di lode per il soldato, nel complimentarsi per aver trovato i “Davy”, Garling reagisce come se gli avessero portato il conto della lavanderia. Si rientra dall’idea che a God Valley fosse presente Uranus? Beh, i fatti lo dimostrerebbero.

Mettiamola così: la sottotrama del Clan di Xebec non delude di certo le aspettative, e il fatto che l’arma fosse già in possesso di Imu rientra perfettamente nel disegno delle sue origini.

Un particolare persiste — come mai era presente l’Astro della Difesa Scientifica? Diamoci risposte facili spiegate da ragioni semplici: Saturn fu informato dalla Marina della Rivolta a Sorbet, nessun fattore scientifico in gioco; successivamente ebbe voce in capitolo con Vegapunk per creare da Orso i futuri soldati-biologici, un movente scientifico. Dunque, i Gorosei hanno probabilmente fasce di competenza, sia in merito alle proprie capacità che come aree geografiche — pensandoci, è all’intero pianeta che devono badare.

Ad ogni modo, se vi siano seconde ragioni lo scopriremo a breve. Il Gorosei è sempre stato un esperto di biologia, potrebbe essere in loco per studio, supervisione, o puro divertimento. Immondizia in giacca e cravatta fatta e finita, se solo ripenso alle lacrime di gioia di Kuma quando seppe della possibile cura di Bonney.

Procedendo, il capitolo segna anche un framework interessante per la comprensione di Gunko-girl (della famiglia Manmayer), fornendo il primo contesto storico concreto per un personaggio le cui caratteristiche erano già emerse ma mai pienamente contestualizzate. Diamo inizio alle danze.

La presenza della guerriera nell’incidente di God Valley 38 anni fa conferma definitivamente varie intuizioni: la sua agelessness non è un dettaglio estetico, ma un dato di fatto canonico. Il flashback mostra Gunko identica a come appare nel presente, validando le teorie sulla sua condizione di ‘vettore’ creato da Imu. Questa rivelazione trasforma retroattivamente ogni sua apparizione precedente: non stiamo guardando una giovane donna, ma un essere bloccato nel tempo – o meglio, una coscienza congelata in un loop ideologico dove è convinta che la crudeltà sia dovere sacro.

L’”Ancella Lama” assume così un significato più preciso. Settimane di osservazione ci avevano mostrato i segni evidenti del lavaggio del cervello, e God Valley potrebbe finalmente spiegarci le origini. Come membro della famiglia Manmayer – di cui conosciamo solo lei e un altro personaggio – la sua presenza nell’incidente solleva domande interessanti. Ricordate quando la vedemmo invocare il padre vestita da guerriera? Gunko ha una doppia identità: nobile per nascita, ancella di Imu per funzione.
Questo mi fa pensare che sia stata vittima delle “precedenti edizioni” dei giochi, o che ci sia del sangue versato nella storia dei Manmayer. Conoscendo Brook, probabilmente è una vittima esterna al mondo dei Draghi, ma con questo manga non si sa mai.

Il dato interessante è che la sua immortalità la rende l’unica con memoria diretta di quegli eventi – anche se soppressa dal condizionamento. Un dettaglio narrativo che Oda non butta lì per caso. Probabilmente ne sa più di Garling e Sommers messi insieme.

Gunko rimane uno dei personaggi più affascinanti dell’opera.
Non vedo l’ora che riconquisti la sua coscienza.

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Procediamo.
In tutto il capitolo si svolge una narrazione a specchio tra il massacro e le azioni di Dragon. La fanteria base della Marina serve come manovalanza, li usano per raggruppare la popolazione incolumi, poi… vengono rimandati sulle navi. Vediamo il superiore di Dragon rispondere al proprio comandante se l’equipaggio sia al completo, per poi pensare: “Cosa gli passa per la testa? Non sarà rimasto sull’isola!” I giochi sono fatti in questo blindatissimo istante.

Dragon prese una decisione che come minimo gli costava la carriera. Voleva dare un senso alla sua presenza in una circostanza tanto irragionevole. I suoi pensieri sono particolari, oggi sto scrivendo senza la traduzione del Mala e il Re non essendo pronta, ma controllandone molte, in svariate lingue, quel che pensa il soldato risulta essere più o meno che la sua intera unità ne pagherà il prezzo. Il che non fa capire se parli di corte marziale o esecuzione diretta.

Il risultato di questa analisi è triste, veramente triste.
Facciata: i marine vengono rabboniti con ipotesi credibili e plausibili.
Realtà: sanno che ciò che stanno operando è marcio.
E tra poco vi spiegherò perché, opinione personale, non reagiscono.

Tra gli alti ufficiali di Gengis Khan vi era una frase codice ripetuta fino alla nausea, per dimostrare fedeltà assoluta e ferocia incomparabile: “Udire è Ubbidire” — un antico mantra che modernamente corrisponde al classico “signorsì”. Molti, moltissimi marine sospettavano ma non indagavano. E più sei dentro i giochi, fino ad essere magari grand’ammiraglio e portare l’enorme fardello che ora grava sulle spalle di Akainu, più devi guardare avanti ed avere fiducia in qualsiasi spiegazione illogica ti venga fornita, se vuoi dormire la notte.

Non credete? Quante volte questi soldati avevano l’incarnazione della malvagità di fronte e non hanno alzato un dito, mortificati e col capo chino?

Kizaru ne è uscito con la mente e il cuore in pezzi, tanto per dirne una.

E il motivo per cui non indagano, non reagiscono, non si oppongono apertamente, è il medesimo per cui Garp disprezza apertamente la Marina ma… non ha mosso un dito per anni.
Triste è la consapevolezza che emerge da queste vignette. Non si tratta di soldati ingenui manipolati da superiori machiavellici — si tratta di una piramide di complicità consapevole, dove ogni gradino sa abbastanza per intuire l’orrore, ma non abbastanza per giustificare una ribellione.

Questo spiega perfettamente due gesti estremi, ossia le scelte di Dragon e di Aokiji.
La Marina non riesce a togliere la benda che l’acceca, bisogna combattere per riuscirci.

Il destino sa essere comunque generoso, perché nell’azione istintiva di Dragon vediamo Mydoria quando si stupisce che il suo corpo si sia mosso da solo, di padre in figlio, Luffy pesterà Charloss con lo stesso principio, bruciando poi la bandiera del governo con estrema lucidità.
Ecco perché il pirata non cerca Akainu.
Che senso ha prendere a calci la ghigliottina quando qualcuno tiene la fune che fa calare la lama?
È una maturità strategica che spesso viene sottovalutata nel personaggio.
La vena poetica sta nella pietà di Dragon che salvò Kuma, il quale, pur non sapendo chi fosse il suo salvatore lo seguirà nella Rivoluzione, e un giorno osserverà da lontano i gesti di sfida al Governo che gli faranno maturare la decisione di lasciare un messaggio silenzioso a Bonney e Luffy, la nuova generazione.
In questo magnifico capitolo, l’autore ci sbatte in faccia il male puro, ma anche la dimostrazione che non deve sussistere una buona ragione per fare la cosa giusta, e che la gentilezza d’animo da essa stessa inizio a un percorso che la autoalimenta, capace di cambiare l’eco di un mondo distorto.
La gentilezza di Bilbo nel risparmiare Gollum aiuterà Frodo nel suo cammino, salvando per esteso tutta la Terra di Mezzo.

Ecco spiegata tutta la violenza concettuale del 1160…

I manga hanno il vantaggio di eccellere nello ‘show, don’t tell’, Oda ci presenta eventi ed emozioni attraverso scene concrete e dettagliate, piuttosto che attraverso spiegazioni dirette.
Semplicità narrativa, che cela invece un dispositivo allegorico di rara precisione, con il quale ci mostra il Cerbero che custodisce le porte dell’inferno.

I Tenryūbito.
La descrizione che ne fa Oda è da brividi: persone lascive, grassi come maiali, con gli occhi che brillano come quelli di un evangelista drogato. Parlano di qualità gastronomica, purezza di casate, ideali nobili. Poi escono di casa e compiono massacri con la stessa nonchalance con cui si ordina il caffè. I corpi lasciati al sole non sono simboli del male primordiale: sono souvenir di un hobby che è andato fuori controllo.

Shepherd.
Non viene detto come Sommers sia diventato quello che è diventato. Non c’è backstory, ma soprattutto non c’è trauma infantile, non c’è momento di follia. Perché sono tutti educati ad essere così, per loro è normale. C’è solo la logica implacabile di chi ha scoperto che può fare tutto quello che vuole senza conseguenze. È il sociopatico perfetto: intelligente, calcolatore, completamente privo di empatia.

Garling.
E poi, ecco lui, il vero protagonista del casino. Credevo fosse solo il simbolo della corruzione nobiliare, ma Oda stava descrivendo qualcosa di molto più semplice e terrificante: uno psicopatico che aveva trovato il posto perfetto per scatenarsi. Figarland non è peggiorato durante God Valley- la caccia ha solo liberato il mostro che aveva già dentro. È Charles Manson con un’educazione classica e una licenza di uccidere firmata dal re del Trono Vuoto.

Capitolo di transizione?
Really?
Andando appena appena appena oltre la patina arcaica del sociale, in un solo flashback, ci viene presentata la differenza netta e assoluta tra pirateria, rivoluzione e i Nobili Mondiali.
Senza freni, senza mezzi termini.
Dragon se notate, durante i suoi pensieri, si copre il viso per non dare di stomaco alla vista delle sevizie inflitte a intere famiglie. Mentre Sommers ride di cuore augurando ad un bambino di rovinare su un ammasso di rovi. Calma… calma, rammenta il rigore del recensore.

Eppure c’è chi parla nuovamente di “capitolo transitivo”.
Il sensei nel corso degli anni ne ha fatte di ogni, incongruenze, discorsi mostrati come indispensabili poi abbandonati senza spiegazioni, impietosi buchi di trama.
Ma non oggi, di quale transizione parliamo? Qui assistiamo non solo alla testimonianza letterale di tre archetipi del potere contemporaneo, scolpiti con la precisione chirurgica di un anatomopatologo. I Draghi Celesti non sono personaggi: sono un’autopsia sociologica in tempo reale, la dimostrazione pratica di come qualsiasi ideale degeneri quando la decadenza incontra l’impunità assoluta. Miserabili simulacri di umanità, parassiti dorati che si nutrono di sofferenza altrui con la stessa bramosia con cui un tossicodipendente cerca di appagare la propria dipendenza, rappresentano il fallimento antropologico della civiltà stessa.
E Oda, che maneggia la penna con la stessa consapevolezza del pennino, ci suggerisce di guardare negli abissi della natura umana attraverso gli occhi di Teach – lui che diventerà Barbanera, lui che incarnerà l’oscurità assoluta, eppure qui è l’unico a mostrarci un barlume di incredulità umana di fronte all’orrore gratuito.

Il quesito che pongo su Barbanera non nasce dal nulla, è una riflessione necessaria che merita il nostro tempo e la nostra onestà intellettuale. Pensateci: se Luffy ha reagito alla presunta morte di Sabo con quella furia che conosciamo, Teach ha perso tutto prima ancora di sapere cosa significasse amare. Luffy è cresciuto coccolato da Dadan, protetto da Ace e Sabo, ispirato da Shanks – una rete di affetti che ha forgiato la sua fiducia nel mondo.
E Barbanera? Solo come un cane randagio, figlio di un pirata dipinto come l’incarnazione del male (che però, siate sinceri, al momento Xebec dimostra più umanità di Roger e Harald messi insieme), con una madre giustiziata per sport davanti ai suoi occhi. Erede di un clan temuto dal governo e odiato dal popolo. Se Ace soffriva per l’eredità di Roger, immaginate il peso che grava su Teach – moltiplicato per un milione.

Allora la domanda vera è questa: può davvero One Piece, il manga che ci ha insegnato il valore dell’amicizia e della seconda possibilità, condannare definitivamente una vittima del sistema che combatte? Non è retorica. Ma il cuore pulsante di tutto quello che Oda ci sta raccontando.

Non ho la pretesa di sostituirmi a Oda o di conoscere tutti i segreti di Teach – gli sviluppi futuri restano nelle mani del sensei, figuriamoci.
Ma una cosa, una sola, dopo questo capitolo posso dirla con certezza.
Siamo di fronte a un gioco di specchi narrativo da manuale: il futuro imperatore delle tenebre che si rivela più umano dei “nobili” autoproclamati custodi della civiltà.
Con le dovute scuse, direi che lo sfogo è stato servito: cronaca di un momento inevitabile.

Il Prezzo della Purezza

‘Tutto ha un prezzo. La grande lotta nella vita è affrontare qual è quel prezzo.’
– J. Paul Getty

Spero che i fan di Garp mi perdoneranno, per le contraddizioni che sto per sollevare.
Ma la sua ottica va rivista, soprattutto in virtù delle azioni che seguiranno God Valley.

Non ho mai digerito che il Marine si sia mosso solo per la presenza di Roger, pur intuendo del marcio a God Valley, e per quanto ami il personaggio, due punti incontrovertibili sollevano in me disprezzo e poi lo elevano al contempo come essere umano.
A. Garp rimane seduto mentre il ragazzo che ha cresciuto come un nipote viene giustiziato davanti ai suoi occhi. Non interviene nemmeno quando Luffy – suo nipote biologico – rischia la vita per salvare il fratello.
La sua frase a Luffy “Se vuoi salvarlo, superami!” suona come uno scaricabarile. Invece di assumersi la responsabilità della scelta morale, la mette sulle spalle di un diciassettenne.

B. Allora perché incassa i pugni di Dadan?
Perché sa di meritarli. Quindi, i fatti mostrano anche altro: Garp non è lì per caso.
È lì perché ha scelto di esserci, sapendo perfettamente cosa sarebbe successo. Poteva inventare una scusa, fingersi malato, rifiutare l’incarico. Invece si presenta. Quando dice a Luffy “superami”, non sta scaricando responsabilità – sta dando a suo nipote l’unica possibilità che può dargli senza distruggere completamente il fragile equilibrio che tiene insieme il mondo.
Se Garp si fosse mosso, avrebbe scatenato una guerra civile nella Marina che avrebbe fatto sembrare Marineford una schermagliata.

Ecco il dilemma interiore di un uomo comune.
Il giusto che evita più morte e distruzione di quella che sta cercando di prevenire, e il codardo che lascia morire chi ama per non rischiare tutto (ma Aokiji, invece, ha quel tipo di coraggio).

Le lacrime di commozione dei Marine di fronte al “Pugno Meteora” raccontano una storia più complessa di quanto sembri. Quei soldati non piangono solo per l’arrivo del loro eroe – piangono perché finalmente vedono materializzarsi un ideale di giustizia in un mondo dove la giustizia è spesso solo una parola vuota? Mmmmmmmmmmmh.

La critica più severa verso Garp spero abbia risposta proprio grazie a questo flashback: come puoi disprezzare apertamente un sistema e continuare a essere il suo braccio armato più efficace? La contraddizione è stridente. Garp odia i Draghi Celesti, rifiuta la promozione ad Ammiraglio proprio per non doverli servire direttamente, eppure per decenni ha combattuto per mantenere il loro potere.
God Valley rappresenta il momento cruciale di questa (apparente) ipocrisia. Voglio vedere il marine testimoniare con i propri occhi l’oppressione sistematica dei Buccaneer, di famiglie sterminate per sport nobiliare, al massacro di innocenti – e poi i suoi pensieri verso gli oppressori.
Perché è impossibile che non si accorga del reale significato dei ‘giochi’.

Poiché noi tutti meritiamo una risposta del lamentarsi a bassa voce mentre continua a servire chi disprezza. Credo sia una lettura fondata, ma che cattura… solo metà della verità.

Garp non è un ipocrita qualunque – è un uomo intrappolato in una contraddizione che rispecchia quella di milioni di persone nella storia reale. Quanti hanno servito sistemi che disprezzavano perché credevano di poter fare più bene dall’interno che dall’esterno? Quanti hanno scelto di essere il male minore piuttosto che lasciare il campo al male maggiore?
La sua “giustizia personale” non è un alibi – è una strategia di sopravvivenza morale. Quando salva Ace nonostante sia il figlio del criminale più ricercato al mondo, quando protegge Luffy e Dragon dalle maglie della Marina… Garp sta facendo quello che può nel sistema che ha scelto di non abbandonare.

Recentemente, online ho letto chi lo vede come un codardo mascherato da eroe e chi lo considera un pragmatico che ha capito una verità scomoda: la purezza morale assoluta è un lusso che pochi possono permettersi.
Ma, riflettiamo.
Se avesse lasciato la Marina per coerenza, chi avrebbe fermato i pirati davvero mostruosi? Chi avrebbe protetto i civili innocenti? Chi avrebbe fatto da contrappeso agli elementi più corrotti della Marina stessa?
La sua presenza nel sistema non lo legittima – lo contamina. È la differenza tra Akainu, che crede ciecamente nella giustizia assoluta della Marina, e il Pugno, che sa benissimo quanto sia sporca ma sceglie di sporcarsi le mani per limitare i danni.

Il capitolo 1160 ci mostra un Garp che arriva a God Valley e trova l’inferno in terra. Il sorriso sornione, il pugno che spacca la roccia, il modo in cui i Marine lo guardano come un messia – spero che tutto questo racconterà di un uomo che riuscirà a capire fino a che punto si è spinto l’orrore.
Estremamente mitizzato per la sua forza e fibra morale, questo sì, alla fine della fiera il Pugno non è né santo né ipocrita – ma solo tragicamente umano.
Le lacrime dei Marine a God Valley non sono solo commozione – le vedo come riconoscimento. Riconoscono in Garp quello che loro stessi vorrebbero essere: qualcuno che riesce a trovare un barlume di giustizia anche nel posto più sbagliato del mondo.

E forse, alla fine, questo basta per chiamarlo eroe.

Come sempre vi lascio il video del Re, 30 minuti di sincero ragionamento tra i fatti estremamente contraddittori di questi ultimi capitoli, più l’annuncio di un video molto particolare.
A voi!

Il cuore al buio

Spero di avervi intrattenuti, spinti a ragionare e riflettere.

Oda non è uno psicologo, ma sa che il vero orrore non ha bisogno di effetti speciali: basta mostrare quello che gli esseri umani sono capaci di fare quando nessuno li sta guardando.
One Piece non è un classico della letteratura: è il manga per eccellenza sulla speranza, la libertà.
Ma sa ricordarti che siamo tutti a tre pasti di distanza dall’anarchia, e che la civiltà è un velo sottile sopra abissi di cui è meglio non conoscere la profondità.

Il Cuore di Tenebra di Teach non è solo uno dei fattori della nuova Era ma un ingranaggio necessario, fondamentale, che (forse) desidera un antidoto all’ipocrisia e all’indifferenza collettiva. Per quanto nero, quello del pirata potrebbe essere un desiderio giusto. Un desiderio che, come in tutte le epopee degne di tale nome, non si limita a raccontare una storia, ma cambia per sempre il modo in cui guardiamo il mondo e… noi stessi.

Godiamoci il viaggio, genti

‘Il mio respiro si fa pesante, il cuore batte più velocemente
mentre mi riparo nel mio niente, un sogno ricorrente,
la scena del delitto e sono l’unico passante…’
– Chef Ragoo, Punti Limite

Stefano ‘Cenere‘ Potì

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