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#1159: la vera Storia di One Piece; il Clan Davy; Genesi di un Rivoluzionario

del pirata Stefano 'Cenere' Potì

Io non vivo, sopravvivo, sto… ancora in piedi
Quindi trattengo il respiro e sto… ancora in piedi
Io sto sul fondo perché è l’unico riparo
Sono sopravvissuto nella pancia dello squalo

– Salmo, Nella pancia dello squalo

Esistono capitoli che riscrivono la storia di un manga, e poi c’è questo capitolo. Eiichiro Oda ha detonato una bomba narrativa che risuonerà per il resto della serie, orchestrando un flashback di pura maestria shonen.

La rivelazione che Rocks D. Xebec è in realtà Davy D. Xebec, discendente del leggendario Davy Jones e ultimo erede di un clan perseguitato da ottocento anni, non è semplicemente un plot twist, no, è la chiave di volta che fa crollare e ricostruire l’intera mitologia di One Piece. Una scossa tellurica emotiva che riecheggia tanto nel nome di Joy Boy quanto nelle note malinconiche del sake di Binks.

God Valley non era solo un campo di battaglia, ma il sancta sanctorum di una stirpe che il Governo Mondiale ha tentato di cancellare dalla storia. E, con un pizzico di orgoglio, finalmente la mia teoria su Teach motivato da una strage trova conferma.

Ma è l’ironia del destino a raggiungere vette poetiche strazianti: Dragon, futuro nemico giurato del sistema, si prende cura dei figli di Garling – mentre qualcuno salva Barbanera, l’erede spirituale dell’oscurità di Rocks. È un paradosso narrativo di una potenza emotiva devastante, né Rocks né suo figlio, come speravo, sono dei ‘cattivi’. Kaboom.

L’umanità di Xebec apre una cicatrice morale: quest’uomo, dipinto come il male assoluto, rivela un desiderio puro e disperato di salvare la propria famiglia. E qui sorge la domanda che fa tremare le mie – già provate – sinapsi: perché mai un uomo integro come Roger avrebbe ingaggiato battaglia contro un padre che cercava solo di proteggere moglie e figlio? Fermi tutti.

Su God Valley sono state raccontate solo bugie?

Preparatevi mes amis, oggi si decifra uno dei capitoli più densi e rivoluzionari mai letti, dove Oda dimostra ancora una volta perché One Piece non è solo una storia di pirati, ma un’epopea sulla memoria, l’eredità e il prezzo della libertà.

È Il momento dell’Elzeviro…

La scacchiera

Lo ammetto, temevo che questa mini–avventura scivolasse in una cartolina pastorale, un “volemose bene” da fine corsa. E sì, un filo di delusione l’ho provato. Ma che critico sarei se mi fermassi al primo strato dell’immagine?

In fondo non serve neanche sforzarsi, se si guarda con attenzione questa vicenda apparentemente leggera, emerge un sottotesto che merita più di un sorriso distratto. Oda ci ricorda che nulla è mai “semplice” quando si tratta di simboli. Yamato riappare nella Capitale dei Fiori, stringendo in mano delle splendide mele: non uno spuntino casuale, bensì un segno che racchiude il senso del suo viaggio.

I frutti ci parlano di tutto fuorché di gusto: parlano di Ringo, la provincia che in giapponese porta già nel nome la mela stessa, e di un Giappone reale — Aomori — che di quelle coltivazioni ha fatto un orgoglio. L’immagine di Oda piega la percezione in forma di origami, trasformando il gesto di mordere un frutto in un atto rituale, quasi un’offerta. È il ritorno con il raccolto, la chiusura di un pellegrinaggio che non era soltanto movimento nello spazio, ma percorso di riconciliazione.

Un dettaglio etnografico trasformato in metafora.

Yamato non rientra a mani vuote: porta con sé la prosperità delle province, il sapore di un raccolto che, dopo anni di carestia, ricomincia a scorrere dal margine al centro. Nel passo leggero e nei frutti addentati come un viandante c’è un messaggio inequivocabile: Wano non è più un mosaico frantumato, ma un corpo unico ricucito dal gesto di condivisione.

La guerriera ha attraversato terre, ascoltato storie, raccolto identità. Quando partì era erede di un tiranno, oggi ritorna figlia di un paese che la riconosce.

Come si fa a non sorridere davanti a questa trasformazione?

Ma, so che siete qui per ben altro. Una storia di vendette, sangue e oscurità. Xebec, Dragon, Garp, Luffy, Teach – sono poi così diversi tra loro? Al di là delle scelte opposte, al di là delle alleanze contrastanti, c’è un filo rosso che li unisce tutti: l’incapacità congenita di piegarsi al sistema.

Da oggi, la scacchiera cambia.
Signore e signori: capitolo 1159

30 denari

‘Il tradimento è solo una questione di tempo e occasione.’

– Niccolò Machiavelli, Il Principe

39 anni prima della narrazione attuale.

Don Marlon e soci sono stati massacrati, Shakky rapita. Le reazioni si dispiegano agli antipodi: sgomento e tristezza per la marmaglia generale, ira funesta per Xebec e Newgate, disperazione di Gloriosa. Ochoku ghigna scrollando le offerte su Steam.

Dove si annida davvero la lealtà quando il potere corrompe tutto? Semplice, da nessuna parte.

Un gruppo elite deve aver compiuto l’operazione, ma la mossa del traditore ha colto di sorpresa quello di Marlon. Qui abbiamo l’ennesima conferma: ai tempi Gloriosa voleva fare breccia in Roger, considerando ancora Shakky una sorella. E soprattutto, ci viene levato il velo dagli occhi.

Oltre ai siparietti comici e alle bevute al bar, i Rocks si rivelano bestie allo stato brado: Shiki che tenta di uccidere i propri compagni a intervalli regolari, Ochoku pronto a vendere anima, sogno e ideali del capitano per trenta denari. Sporchi del sangue dei loro stessi compagni.

La reazione di Roger fa sorridere. Con Shakky ad Hachinosu il suo cuore era in subbuglio, ma almeno poteva dormire sonni relativamente tranquilli, tutti adoravano l’amazzone, protetta da un’intera isola di pazzi sfrenati guidati dalla progenie dell’inferno, i Rocks. Il senso stesso delle parole «come ha potuto lasciare che accadesse» lo suggerisce. In quel preciso istante deve essere successo qualcosa dietro le quinte: Rayleigh, tutt’altro che distaccato suda freddo, stringe febbrilmente il giornale pronunciando il nome dell’ex regina.

È possibile che realizzare la possibile perdita di Shakuyaku gli abbia fatto comprendere quanto in realtà ne fosse innamorato? Squisitamente shonen, cosa ne dite?

Da qui si passa al secondo traditore, da cui prende il nome il paragrafo. La figura del padre di Shanks merita tutta l’attenzione che la mia tastiera intende dedicargli. Allacciate le cinture, mes amis.

Figarland Garling: Anatomia di un Mostro – Le Contraddizioni del Male Assoluto

Nel mondo shonen, dove persino i villain più efferati nascondono spesso cicatrici emotive o motivazioni comprensibili (la lista è lunga), Saint Figarland Garling emerge come un’anomalia inquietante.
È un tipetto da seinen, lui.
Il capitolo 1159 non si limita a svelare le sue atrocità; ci offre uno spaccato psicologico di una mente che opera secondo logiche tanto perverse quanto internamente coerenti. Qui non siamo di fronte al classico antagonista mosso da vendetta o ambizione smisurata, ma a qualcosa di più sottile e terrificante: un predatore che ha trasformato la manipolazione in arte raffinata.

Parliamo probabilmente di un sadico.

La questione più sconcertante riguarda l’apparente contraddizione ideologica che permea le azioni del nobile. Come può un Drago Celeste, custode della presunta purezza del sangue divino, generare deliberatamente figli con una “miserabile dal sangue sporco”? La risposta risiede in una comprensione più sofisticata della psicologia aristocratica nel mondo che leggiamo da 28 anni.

Che, fin’ora, mancava completamente di riscontri.

Possiamo finalmente ipotizzare che i Tenryūbito non operano secondo una logica razziale classica, bensì secondo un criterio di utilità dinastica. Shanks e Shamrock non rappresentano una contaminazione, ma piuttosto un investimento strategico. Nel sistema nobiliare dei Draghi Celesti, la legittimazione del sangue impuro attraverso il riconoscimento paterno trasforma quello che sarebbe un’aberrazione in uno strumento di potere. È la versione perversa dell’adozione aristocratica: questi bambini diventano pedine preziose, portatori di una lealtà inscritta nel DNA dell’abbandono materno.

Al netto di mirabolanti  – ma con Oda sempre possibili – elementi esterni di trama, Garling comprende istintivamente che figli cresciuti nell’ignoranza delle proprie origini, ma educati nella convinzione di essere stati “salvati” dalla loro condizione plebea, svilupperanno una devozione assoluta verso il padre-salvatore. È psicologia del controllo allo stato puro.

Ma perché procreare con una donna di God Valley mentre si pianifica di conquistare Shakuyaku nei giochi?

La donna nativa rappresenta il banco di prova. La povera madre di Shanks diventa inconsapevole cavia di un esperimento destinato a culminare con la conquista del vero obiettivo? No, non è andata così, personalmente credo sia cattiveria, di quella fin dentro l’animo. Avete letto la frase ‘dei gemelli? Che carini…

Ecco la mia visione dei fatti: Garling voleva un erede. Nella visione pratica di un classista come lui, si è tolto lo sfizio con una donna attraente sul momento, certo che il suo status avrebbe provveduto ad una di facciata per un ganzo al top di gamma come lui. Insomma, immondizia. Di certo non ama Shakky, semmai ama il pensiero che lui possa essere invidiato dai Tenryūbito, di mostrarsi superiore a tutti anche in quel campo: avere la preda più ambita del pianeta.

Ti prego Oda, dammi un momento nel flashback tra lui e Rayleigh, congela un istante in cui il pirata gli fa capire di quanta spazzatura emotiva dovrebbe ripulirsi Figarland,  prima di ricominciare a sentirsi un uomo.

Ok, mi sono sfogato, procediamo.

L’omicidio della madre dei gemelli assume connotati ancora più sinistri quando analizzato attraverso questa lente. Garling non uccide per rabbia o per eliminare un testimone scomodo. Elimina quella che percepisce come una zavorra emotiva. La donna, con le sue suppliche e i suoi ricordi condivisi, rappresenta l’unico legame potenzialmente autentico della sua esistenza; per questo va eliminata.

È un gesto di purificazione psicologica. Uccidendola, il Drago si libera di ogni residuo di umanità che potrebbe intralciare i suoi piani futuri. È la versione aristocratica dell’omicidio terapeutico: eliminare il passato per assoggettare i figli. Ecco la macchina emotiva di Mary Geoise.

Garling incarna perfettamente la degenerazione psicologica che otto secoli di potere assoluto hanno prodotto nella classe dominante mondiale. I Tenryūbito hanno sviluppato una forma peculiare di sociopatia istituzionalizzata, dove l’empatia viene sostituita da calcoli strategici e l’amore diventa semplice strumento di controllo.

La sua capacità di compartimentalizzare le emozioni – amare, mentire, uccidere e pianificare senza che questi atti si influenzino reciprocamente – rivela una mente che ha trasformato ogni aspetto dell’esistenza umana in una partita a scacchi. Non esistono persone nella sua prospettiva, solo pezzi da muovere.

Non è casuale proporre questa prospettiva esattamente in questo capitolo. Dove si muove Dragon, dove viene palesemente mostrata l’umanità di Xebec.

Ci viene messo sotto gli occhi il prodotto inevitabile di una struttura sociale che per otto secoli ha permesso a un gruppo ristretto di individui di considerarsi letteralmente divini, creando quello che potremmo definire un Herrenmenschen-Komplex di dimensioni mitologiche.

Nel contesto del manga contemporaneo, questa caratterizzazione rappresenta un’evoluzione significativa rispetto ai tradizionali archetipi. Mentre autori come Naoki Urasawa in “Monster” o Kentaro Miura in “Berserk” hanno esplorato le profondità del male umano attraverso personaggi come Johan Liebert o Griffith, ossia profondamente umani, Oda sceglie una strada diversa: quella dell’orrore sistematizzato.

Garling è tanto vittima quanto carnefice di un sistema che trasforma gli esseri umani in macchine del potere prive di scrupoli morali, creando una forma di alienazione che entra di diritto nelle distopie più pessimistiche della letteratura moderna.

Ora, mi e vi chiedo di tenere a mente la freddezza di Shamrock e la rabbia di Shanks. Gli antipodi. Troppo piccoli per ricordare, oh si, ma porteranno il peso inconsapevole di quella violenza primaria? Diventando portatori di una ferita che plasmerà le loro personalità future? Ricordate come sono cambiati Dexter e Brian, quando ricordarono cosa successe alla madre nel container.

A meno che Oda non ci riservi un plot twist di proporzioni titaniche — e la quantità di tessere mancanti parla chiaro — le parole del sensei sono spietatamente semplici.
Garling segna il punto di non ritorno.
Nel manga, è il fiore all’occhiello di una società classista.
Per noi lettori, invece, è uno dei villain più odiosi di sempre.

Non c’è redenzione possibile per un uomo capace di uccidere la madre dei propri figli con tanta freddezza.

Ma ci aspettano altri argomenti da capogiro, procediamo dunque.

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La morte dei miracoli

‘L’atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l’inizio della ragione.’

– Eric Fromm

Insoliti e diversi, da sempre calati in uno spoglio bianconero morale, ammirevoli nel rifiuto da stereotipi tipo ‘salverò il mondo’. Dragon, Ivankov, Ginny, Morgans.

Dopo ventotto anni di narrazione, Oda ci regala finalmente uno spaccato dell’anima di Monkey D. Dragon. Non il rivoluzionario implacabile, non il “criminale più ricercato al mondo”, ma l’uomo che si trova davanti ai civili inermi e scopre fino a che punto è disposto ad arrivare per i suoi ideali.

Si presume fresco di nomina per via della giovane età,  ma dotato sicuramente di basi solidissime, viene impiegato a God Valley, mica a Shirop. Questo è l’uomo pacifista, la versione malgiudicata da Vegapunk, eppure, così intransigente e incorruttibile che accanto a lui, ai tempi del proibizionismo,  Elliot Ness passava per un cliente abituale con lo sconto fedeltà sul bourbon.

È un momento che ridefinisce completamente la nostra comprensione del personaggio. Per quasi tre decenni, Dragon è rimasto nell’ombra, una figura leggendaria più mitologica che umana. Lo conosciamo attraverso le azioni indirette: il salvataggio di Luffy a Loguetown, gli attacchi strategici alle basi governative, la guerra dichiarata al sistema mondiale.

Ma mai, mai lo avevamo visto confrontarsi direttamente con la sua umanità.

La scena con i civili rappresenta quello che potremmo definire il “test dell’anima”. È facile essere rivoluzionari quando si combattono soldati armati, quando si attaccano simboli del potere, quando si ha davanti un nemico chiaramente identificabile. Ma cosa succede quando il confine tra giustizia e crudeltà si assottiglia fino a scomparire?

Dragon inizia a stupirsi dell’arresto dei civili, giustamente si chiede se i suoi superiori mostrino segni di demenza senile, che razza di esercitazione sarebbe, sparare narcotici su persone innocenti e arrestarle? Semplice buon senso.

Pur essendo ancora un pacifista, credo che ci siamo: questo momento segna la transizione definitiva di Dragon da idealista a pragmatico. Non sarà più il giovane marine che credeva nella giustizia assoluta, e non ancora il rivoluzionario romantico che sogna di cambiare il mondo solo con la forza della volontà.

Una via di mezzo.

Oda è maestro di giustapposizione come infiorettauta narrativa, avete visto l’espressione del giovane marine, nella sua mente il paradosso intrinseco è limpido. Un soldato combatte per liberare i civili dall’oppressione, ma ora si trova nella posizione di doverli potenzialmente danneggiare per raggiungere obiettivi poco chiari. È la classica situazione del “sporcarsi le mani” che trasforma gli idealisti in leader.

L’Armata Rivoluzionaria “rappresenta tutti i diseredati e gli oppressi, e i suoi membri preferirebbero morire piuttosto che piegarsi al Governo Mondiale”. Ma cosa succede quando proteggere alcuni oppressi significa potenzialmente danneggiarne altri? È qui che il suo cervello deborda.

Vi siete mai chiesti perché, quando salva Luffy, proferisce certe parole?
Un pirata, eh? Va bene, va bene anche così‘.
Sussiste una differenza fondamentale tra Dragon e Luffy, e oggi la vediamo nettamente. Mentre figlio agisce sempre d’istinto, seguendo un codice morale intuitivo che non ammette compromessi, il padre ha imparato che cambiare il mondo richiede scelte impossibili.
Dragon non ha il lusso dell’innocenza di Luffy. Non può permettersi di salvare solo i suoi amici, di aiutare solo chi gli sta simpatico, di combattere solo quando si diverte.
Ha la responsabilità di un movimento che coinvolge milioni di persone, e questo peso trasforma ogni sua decisione in un calcolo tra mali minori.

Questa scena con i civili non è solo character development – è una dichiarazione di intenti narrativi. Oda ci sta dicendo che siamo entrati nella fase finale della storia, dove le scelte facili non esistono più e dove anche gli eroi devono confrontarsi con i propri demoni interiori.

Non è più il misterioso rivoluzionario che appare all’orizzonte come una tempesta salvifica. È un uomo con le mani sporche di sangue, un leader che ha sacrificato la propria innocenza sull’altare della libertà collettiva. E forse, paradossalmente, questo lo rende più eroico di prima. Perché ci vuole più coraggio a continuare a combattere dopo aver perso l’illusione della propria purezza che a iniziare quando si crede ancora di essere nel giusto assoluto.

Avete notato la fascia che porta al braccio?
È lo stesso motivo cucito sui pantaloni nella scena con Vegapunk, identico al simbolo che più tardi gli marcherà il viso. Coincidenza? Improbabile. Non per un personaggio simile, non per un uomo che sacrifica l’affetto del figlio pur di proteggerlo (oggi parleremo anche di Xebec, e sarà fuoco e fiamme), non per chi accetta di farsi braccare come un cane in nome della giustizia.

Chi mi segue da tempo lo sa: questa teoria la coltivo da anni, l’ho scritta più volte. Un individuo con quel peso sulle spalle non si sveglia un giorno con la voglia di tatuarsi per capriccio.

Continuo a pensare che dietro ci sia un significato, una tradizione, un’eredità da tramandare. Vegapunk potrebbe essere stato il punto di svolta, l’istante in cui Dragon passa da semplice pacifista a rivoluzionario vero e proprio. Da lì il segno non rimane più su un tessuto, ma viene inciso sulla pelle. Il perché preciso ci sfugge, ma… resta la mia idea.

Perché è come con l’uniforme: se indossi una maglietta con scritto “viva l’esercito”, stai simpatizzando. Ma se ti arruoli e porti i gradi sul corpo, ne sei parte.

Non a caso, poco dopo, è il suo partner in crime a salire in proscenio.

Dicevamo che c’è un momento preciso nella vita di ogni rivoluzionario in cui l’accettazione passiva si trasforma in ribellione attiva. Per Emporio Ivankov, quel momento è cristallizzato in una vignetta che vale più di mille discorsi politici: quando gli altri prigionieri lo implorano di non fare azioni avventate per evitare punizioni, e lui si inalbera con una furia che trascende la semplice frustrazione. Applausi.

“Vedo che non ha perso il morale…” osserva Kuma, con affettuosa ammirazione. Ma non è questione di morale – è questione di dignità umana. È il rifiuto categorico di accettare che la sopravvivenza valga più della libertà. Questo capitolo è una meraviglia.

Fu Ginny a trasmettere a tutta la pirateria l’approssimarsi dei giochi di God Valley. Non è un dettaglio marginale – ai Tenryūbito non importava niente di Xebec e della Pirateria. Mentre gli altri schiavi pregavano in silenzio per la salvezza, marine costringono altri marine alla corruzione, Roger canta sulla Oro Jackson ‘sooonooo piccoli problemi di cuore…’ e Garp pensa all’abbronzatura… Ginny prese l’iniziativa e trasformò la loro disperazione in un richiamo alle armi globale.

Bonney, hai di che essere doppiamente fiera.

È geniale nella sua semplicità: se non puoi liberarti da solo, fai in modo che il caos arrivi da fuori. Se non puoi combattere i tuoi oppressori direttamente, attira i cani più grossi della discarica sulla loro isola. È il primo esempio di quella che diventerà la strategia classica dell’Armata Rivoluzionaria: trasformare la debolezza in forza attraverso l’informazione e l’organizzazione.

Vegapunk: vai a nasconderti.

“Vogliono ucciderci, bvutti imbecilli! Vi lasciate trascinare chissà dove…” urla Ivankov contro i suoi compagni di prigionia. “Sperando che compaia qualcuno a salvarci!”

In quelle parole c’è tutta la filosofia rivoluzionaria condensata in una frase. Non aspettare la salvezza – creala. Non sperare nel cambiamento – provocalo. Non subire il destino – prendilo a pugni e costringilo a piegarsi alla tua volontà. E se non funziona: riprovaci.

È quel che le D ricorderanno, vogliamo scommettere? La rabbia sacra di chi si rende conto che l’accettazione passiva è complicità. Che ogni giorno di sottomissione silenziosa è un voto a favore del sistema che ti opprime. Che la vera sconfitta non è morire combattendo, ma vivere in ginocchio.

E ora, il terzo tassello del dissenso.

Per anni si percepisce Morgans come il tipico magnate dei media: detiene influenza come editore di notizie e imperatore del Sottomondo. Plasma l’opinione pubblica essendo il primo a riportare gli eventi globali, anche se può esagerare per intrattenimento. Personalmente continuo a sperare che dietro quella facciata sensazionalistica si nasconda qualcosa di più profondo.
La decisione di pubblicare la notizia sui “giochi” di God Valley non era solo caccia allo scoop. Era un atto di guerra informativa contro il sistema più oppressivo del mondo. Morgans sapeva esattamente cosa sarebbe successo: ogni pirata degno di questo nome si sarebbe precipitato sull’isola, trasformando un massacro programmato in un caos.

Non trovate ironico il fatto che l’uomo che vive di sensazionalismo abbia compiuto l’atto giornalistico più nobile possibile: dire la verità quando contava davvero.

La propaganda in One Piece influenza significativamente la percezione della realtà delle persone. I giornali, consegnati dalle News Coos, sono centrali nella costruzione del mondo. Morgans lo sa meglio di chiunque altro. Controlla l’informazione mondiale, e con essa la percezione che le persone hanno della realtà.

Ma a God Valley ha scelto di usare questo potere per il bene. Non ne ho certezza, mi piace pensarla così.

Ogni sistema distopico ha dalla sua l’informazione. Senza la decisione di rendere pubblica la faccenda, quanti schiavi sarebbero morti in silenzio? Quante atrocità sarebbero rimaste nascoste? Quante vite innocenti si sarebbero perse nell’indifferenza generale? Per il popolo fu così, ma non per un manipolo di pirati folli.

Quante vite, con le epurazioni dei giochi triennali, si sono perse nel nulla? È questo che Oda mi ha trasmesso con questa scena.

Mai sottovalutare il quarto potere. Dopo questa rivelazione, ogni articolo di Morgans assume una luce diversa. Quando ha pubblicato le gesta di Luffy, quando ha sfidato il Governo Mondiale rifiutando la censura, quando ha scelto di raccontare la verità su Marineford invece della versione ufficiale – in tutti questi momenti stava portando avanti l’eredità di God Valley.

In un modo o nell’altro.

Il resto del flashback sarà leggenda. L’anima di Dragon, qui, è in procinto di spezzarsi. A God Valley assisteremo a spettacoli duri, ma anche edificanti – in quanto fu il laboratorio dove si forgiarono i rivoluzionari del futuro. Ginny che trasmette l’informazione ai pirati, Ivankov che si ribella all’accettazione passiva, Kuma che osserva e impara.

Ognuno di loro trasse da quell’esperienza una lezione diversa, ma tutte convergevano verso lo stesso punto: il mondo non cambia da solo.

Dal fondo

‘Sacrifichiamo il nostro oggi affinché i nostri figli possano avere un domani migliore’

– A. P. J. Abdul Kalam

Qualcuno diceva che finzione e teatralità sono strumenti potenti, beh, aveva ragione.

Grazie a Ginny, le belve sulla cima del mondo prendono finalmente coscienza dei fatti. Ma dietro le loro azioni si celano motivazioni più profonde e complesse di quanto la superficie narrativa lasci intendere. Articoliamo una analisi su tre segmenti, interpretando la vera natura psicologica di questi titani.

A – L’urto pedagogico
È impossibile che una figura influente come Garp non sapesse dove prestasse servizio il figlio. Se a questo uniamo la conversazione con Kong, dove il Vice Ammiraglio dimostra di essere parzialmente a conoscenza di eventi come God Valley, sorge spontanea una domanda notevole: come può starsene tranquillo in vacanza mentre suo figlio marcia verso l’inferno?
Conoscendo il personaggio, le possibilità sono due:

L’ignoranza impossibile: Non era a conoscenza della destinazione di Dragon – scenario altamente improbabile data la sua posizione.
La pedagogia necessaria: Decise deliberatamente che il figlio dovesse vedere con i propri occhi, rifiutandosi di mentirgli e permettendogli di forgiare autonomamente la propria strada morale.

La seconda ipotesi è terrificante nella sua lucidità. Garp, che mantiene rapporti cordiali con Dragon negli anni successivi e nutre un disprezzo mal celato per il Governo, potrebbe aver spinto inconsciamente la nascita del futuro rivoluzionario. Dragon salva vite umane – questo è lunico dogma che Garp riconosce e accetta incondizionatamente.
Aokiji rappresenterà un nodo ben più doloroso da sciogliere: le ragioni sono ben diverse.

B – L’Altruismo Mascherato
Roger non è l’egoista che sembra. Vuole salvare l’amica – certamente ne è ancora invaghito – ma agisce principalmente per aiutare Rayleigh ad accettare ciò che l’amico non riesce a confessare nemmeno a se stesso: essere perdutamente innamorato di Shakuyaku.
L’evidenza è cristallina: quando la ciurma accoglie con un boato la proposta di salvataggio urlata da Gol, l’espressione di Silvers non ha nulla del temerario pirata che conosciamo. Sembra un liceale otaku che trova finalmente il coraggio di dichiararsi alla ragazza dei suoi sogni.
Roger ha già iniziato questo processo di comprensione. Nel capitolo precedente, vedendo l’Amazzone dispiaciuta per l’assenza di Rayleigh, pensa: “Perché quell’imbecille non è venuto con noi?”. Un menefreghista non avrebbe simili pensieri – non vi è mai capitato che un amico capisse il vostro interesse per una ragazza prima di voi?

C – La Maschera del Potere
La nostra comprensione globale di One Piece viene stravolta da un solo uomo: Xebec. Esteriormente trasuda sicurezza mentre ordina di fare rotta verso God Valley, ma internamente sta vivendo una tragedia personale.
Non è più innamorato di Shakky – questa è solo la copertura perfetta per mascherare la propria angoscia dietro la consueta boria alla “don’t f**k with Rocks”. La sua vera missione è disperata e personale: salvare moglie e figlio da un destino che lui stesso, con le sue scelte passate, ha contribuito a creare.
L’ennesima riprova della sua fiducia cieca verso Harald emerge dal fatto che si guarda bene dal rivelare i veri motivi alla propria ciurma. Solo con l’amico può permettersi di essere vulnerabile, di essere semplicemente Davy – un padre in pena che corre contro il tempo per proteggere la sua famiglia.

Nelle pagine più recenti della saga si dipana un racconto che trascende la forza del sangue, il peso del nome, la ciclicità della storia. La rivelazione che Rocks D. Xebec nascondesse la sua vera identità dietro un nome falso, ci pone dinanzi a una riflessione profonda sulla natura dell’identità e della persecuzione.

L’ironia più sottile del racconto risiede nella scoperta che il pirata più temuto della sua epoca, colui che ambiva al trono vuoto del mondo, si muovesse in realtà spinto da sentimenti profondamente umani: l’amore per una moglie e la protezione di un figlio. La sua rivelazione a Harald – che God Valley fosse la sua terra natia, il rifugio sicuro dove aveva mandato la sua famiglia – trasforma completamente la percezione del personaggio.

Non più solo l’antagonista assoluto, ma un uomo che lotta per proteggere ciò che ama, utilizzando la propria reputazione terrificante come scudo per nascondere la propria vulnerabilità.

Volete la mia teoria – anche solo embrionale – su Davy Jones e Joy Boy? Sedetevi comodi, mes amis.

Pur appartenendo al medesimo clan (parliamo della D, non dei Jones), abbiamo figure con aspirazioni e modalità d’azione profondamente divergenti. È proprio questa varietà a sottolineare il trionfo del libero arbitrio.

Fin dalla comparsadi Rocks mi pongo una domanda: Xebec, Dragon, Garp, Luffy, Teach… sono davvero così dissimili tra loro? Immaginiamoli entrare nella sala di Imu, a ognuno di loro sarebbe bastato un attimo per rendersi conto di avere un guinzaglio invisibile. Gli sarebbe andato a genio? La risposta è categoricamente no.

Ma Xebec rappresenta un’eccezione. Lui brama anche vendetta. Quando dichiara a Imu «sai, sono un grande estimatore di Davy Jones…» in realtà sta comunicando: «Ah, quindi sei tu ad aver perseguitato il mio clan». E come facciamo ad averne certezza? Grazie al capitolo recente, dove il pirata confessa ad Harald «nascondo un nome segreto», esattamente come Clover seppe perfettamente di dover celare il suo al mondo (quando eliminarono il fratello).

Ecco spiegato perché Imu — come sostengo da sempre nei miei articoli — conserva ossessivamente le fotografie di Luffy e Teach. Perché entrambi, seppur attraverso vie apparentemente difformi, stanno puntando a mandare all’aria l’intero sistema.

Davy Jones è una D — e questa rivelazione cambia radicalmente il nostro modo d’intendere il significato di quella lettera misteriosa. Non è solo “Dawn” o “Dream” — che diamine, potrebbe semplicemente essere “Davy”. Il nome del clan che ha sfidato gli dei per ottocento anni. Non è solo una questione anagrafica. È la rivelazione che trasforma il “criminale più ricercato della storia” nel discendente diretto del pirata più leggendario mai esistito: Davy Jones, il corsaro maledetto che secondo la leggenda fu condannato dal diavolo a risiedere eternamente sui fondali marini. Vivere sul fondo degli abissi non corrisponde forse, togliendo l’aura esoterica, alla damnatio memoriae che esercita il governo? Imu non viene ormai raffigurato come il diavolo?

Tutte le leggende condividono un tratto comune: contenere un fondo di verità.

Inizio a pensare che Joy Boy fu il primo vettore di Nika, e Jones… la prima D? Partiamo da basi solide.

Luffy e Teach sono facce della stessa medaglia, ma è il primo ad avvertire istintivamente diffidenza verso il secondo, lo si coglie nel loro primo incontro, quando Barbanera si mostra molto più aperto e gioviale verso il giovane pirata, riconoscendo in lui un sognatore. Un suo pari. La violenza narrativa sopraggiunge a Impel Down, dove Teach lo saluta sfrontatamente dopo aver fatto catturare Ace. Gesto che manda definitivamente Luffy su tutte le furie.

Inizio a capire le azioni di Teach; no, non le possiamo perdonare. Ma le possiamo comprendere.

Distruggere la stirpe infame che sta macchiando questo mondo e ha sterminato la sua famiglia, ha la priorità assoluta — anche se Ace era un bravo ragazzo, anche se Luffy sarebbe potuto essere il migliore amico di Teach, alleati in battaglia contro il governo. Erano incidenti collaterali, necessari, inevitabili per un ‘bene superiore’. Quindi, Davy Jones era Joy Boy? Assolutamente possibile. Oppure fu il primo Morgania disposto a tutto mentre il ‘ragazzo gioioso’ il primo Pieceman? Il primo Roger, il primo Luffy? Ragioniamo in termini di secoli: a Imu è bastato rendere gusci vuoti le D, dare loro la caccia, sì, ma non con la forza distruttiva della persecuzione dei Davy.

Clan diversi che inseguono il medesimo sogno, ma che utilizzano metodi agli antipodi. Sarebbe affascinante se Joy Boy fosse stato Davy, ma credo che il primo vada visto una figura come Hashirama, e il secondo Madara.

Entrambi partono da un sogno identico: spezzare il ciclo di sangue che aveva insanguinato generazioni e creare un villaggio capace di proteggere i bambini dalla guerra. È l’immagine più commovente della loro eredità: due guerrieri cresciuti nell’odio che desiderano, per i figli dei loro figli, un futuro diverso. Hashirama incarna l’ingenuità luminosa della speranza: crede che la pace sia possibile attraverso il dialogo, il compromesso, la fiducia reciproca. Madara, invece, guarda al medesimo obiettivo ma attraverso il dolore e la sfiducia; è come se avesse interiorizzato la convinzione machiavellica che il fine giustifica i mezzi, abbracciando la violenza e l’inganno pur di garantire quell’ordine che altrimenti non sarebbe mai risultato stabile.

Capite dove intravedo il paragone? Il loro confronto è tanto narrativo quanto simbolico. Hashirama e Madara sono Giano bifronte, due facce di una stessa medaglia: l’eroe “classico” che costruisce e l’eroe “oscuro” che distrugge per ricostruire. Come Roger e Xebec, come Teach e Luffy.

Altrimenti, se fossero identici, come si spiegherebbe la diffidenza istintiva che il mugi prova verso il Nero? La stessa persona che veniva definita gioiosa, la stessa che scrisse promesse di pace agli uomini pesce, che fece ridere di cuore Gol a Laugh Tale… è la stessa che inventò il sadico Davy Back Fight? Al fine di creare ciurme sempre più violente ma dai rapporti insani, atte a minare le certezze del governo?

Sulla carta sì, Joy Boy fu il primo pirata della storia, le D divennero i suoi alfieri, ma, moralmente, Jones non richiama esattamente l’indole spensierata di Gol e Luffy, bensì quella spietata di Barbanera. 

Dispongo ancora pochi elementi, ma questa diventerà una delle mie maggiori teorie. In conclusione, due pensieri, sto bramando la storia di Dragon, si potrebbe intravedere la ciclicità di Shanks che si prese cura di Luffy come il rivoluzionario si prese cura di lui,  prima che il frutto ci mettesse lo zampino, per quanto riguarda Teach invece , rivendico con convinzione le mie recenti teorie:

‘… la mia non è una giustificazione per Xebec quanto una speranza per Teach. Sapete come la penso: padre e figlio non coltivano esattamente il medesimo sogno. Perché c’è un senso estetico in questa scelta d’apertura — Oda preferisce il gesto che sospende a quello che spiega. La rapina all’ente di ‘beneficenza’ non ci rivela solo chi sono i corsari, ci indica cosa il loro apparire intende fare al mondo: mostrare dove le certezze scricchiolano e, col rumore, imporre un nuovo ordine di visibilità.

Una parte di me spera che il sogno di Marshall sia più nobile: poiché chi controlla la narrazione… riesce spesso a riscriverne anche la morale.

Ora pensate a Teach con le manette, in lacrime. Mi sa proprio di averci preso.

Qualora voleste argomentare, contattemi su instagram genti, e ne parliamo!

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Come sempre vi lascio il video del Re, un deliquio shonen di 50′ minuti che ci ricorda un fattore determinante: le cose non sono mai come sembrano. A voi!

Il vero tesoro

Spero di avervi intrattenuti, spinti a ragionare e riflettere.

Il destino, in One Piece, non è mai una strada a senso unico. I figli non sono condannati a ripetere gli errori dei padri, ma portano comunque il fardello delle loro scelte. Teach appare qui come un bambino innocente tra le braccia di una madre che gli sussurra parole di sopravvivenza. È un’immagine che stride con la figura del pirata spietato che conosciamo, ma che ci ricorda come ogni villain abbia avuto, un tempo, un volto umano.

Un antieroe non è l’eroe cattivo, ma l’eroe imperfetto.

In questo caleidoscopio di rivelazioni, emerge una verità che trascende la finzione: la storia non è mai quello che sembra in superficie.

Dietro ogni leggenda si nascondono uomini e donne con le loro paure, i loro amori, i loro segreti. E forse è proprio questo il vero tesoro di One Piece: non l’oro o i frutti del diavolo, ma la comprensione che l’umanità sopravvive anche nelle circostanze più disumane, che l’amore può muovere montagne e che ogni nome, per quanto nascosto, porta con sé una storia che vale la pena di essere raccontata.

Godiamoci il viaggio, genti

Io non vivo, sopravvivo, sto, ancora in piedi
Quindi trattengo il respiro e sto, a-a-a-ancora in piedi
Io sto sul fondo perché è l’unico riparo
Sono sopravvissuto nella pancia dello squalo…’

– Salmo, Nella pancia dello squalo

Stefano ‘Cenere’ Potì

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