Home » Analisi Capitoli by Cenere » One Piece 1150: Elbaph vende l’anima; Mu scrive l’inferno; Oda rischia la credibilità?

One Piece 1150: Elbaph vende l’anima; Mu scrive l’inferno; Oda rischia la credibilità?

del pirata Stefano 'Cenere' Potì

I steal all your dreams, I feed on the light
Follow my call, you’ll be mine tonight
I steal all your dreams, I feed on the light
I drown your mind in the dark

– Electric Callboy, Revery

Salve genti, nuova analisi, capitolo 1150: Oda fa le pentole ma non i coperchi?

Di colpo, l’universo di One Piece si tinge di soprannaturale. Da oggi non è solo l’Haki o un frutto a dettare le regole, bensì un grimorio che vomita tridenti, fucili, pugnali, persino demoni. Quel libro magico spalanca una soglia finora impensata, un varco verso la magia in senso proprio, al di là delle certezze accumulate in ventisette anni di narrazione.

Mi conoscete ormai, ridurmi a darvi due nozioni semplici semplici sarebbe mortalmente noioso. Ergo…

Da un lato, la scena che mostra Gunko/Imu nelle vestigia da diavolo non è un semplice colpo d’effetto: ma il trionfo del patto faustiano, l’ampliare una struttura diegetica che aveva sempre stretto i poteri entro confini quasi scientifici. L’amante del (dark) fantasy che è in me esulta.
Eppure, come i più attenti ricorderanno, nemmeno Satana può sovvertire il libero arbitrio. Mmmh.
Dall’altro, mentre Imu scrive l’Inferno e l’esercito di giganti demoniaci si schiera di fronte agli ultimi indomiti, sorge spontanea una domanda: fin dove può spingersi Oda senza abbandonare le regole originarie del suo mondo, quelle che ci hanno tenuti incollati alle pagine per quasi trent’anni?
Una domanda più che lecita, anzi, necessaria.
Per il resto, come sempre mi occuperò di ogni singola pagina con la consueta attenzione.
Meglio mettersi all’opera dunque.

E’ il momento dell’Elzeviro

Gesti lenti

Settimane intere trascorse a registrare ogni mossa di Who’s Who nel suo rifugio. Un solo istante per giungere ad Hakumai. Va bene. Ok. Comunque
Siamo davanti al tempio di Enma. Non è chiaro se la spada sia già stata consegnata — e quindi i tre (Yamato, Page One e Ulti) siano all’esterno per un congedo solenne — oppure se la guerriera si appresti ora a compiere l’offerta. In entrambi i casi, ogni eventualità resta aperta. Potrebbe emergere un dettaglio storico mai colto prima, un incontro inatteso, un imprevisto qualunque, ciascuno potenzialmente intrecciato o meno alla nobile figura di Yasuie. Lo lascia intuire l’atteggiamento contenuto con cui vengono rappresentati. Persino Page One, l’irrequieto, lo osserva.

Niente di cui stupirsi, sono cresciuti a Wano, fa parte della loro cultura, nel Giappone feudale infatti, consegnare fisicamente un oggetto al defunto — specialmente se fatto da un discepolo, un alleato o un parente — aveva una funzione di legittimazione spirituale: si riconosceva così il valore del guerriero e si suggellava il legame con lui. Un esempio significativo può essere trovato nelle cronache degli Shinsengumi e nelle storie dei rōnin, dove spesso si narra di compagni che affidano una spada o un oggetto simbolico al corpo del caduto. Il celebre samurai Kusunoki Masashige, prima della battaglia di Minatogawa (1336), lasciò indicazioni affinché suo figlio ricevesse la sua spada in caso di morte, come simbolo di continuità dello spirito di lealtà all’Imperatore.

Ma non si trattava solo di un’eredità materiale: quella lama era un simbolo dell’ideale imperiale e di una fedeltà assoluta che, nella cultura guerriera, valeva più della vita.

Sapete perché paragono Yasuie a Masashige? Beh, entrambi agirono nella piena certezza che non ne sarebbero usciti vivi. Ma non rattristatevi, semmai, potete commuovervi (in termini metaforici, almeno).
La figura del samurai si fondava sul bushidō come ben sappiamo, un codice che univa etica, onore, coraggio e lealtà. Per questa ragione, la katana non era semplicemente uno strumento di combattimento: era la “mikazuki” (月), la “luna sicura” che illuminava la via del guerriero.

Insomma, per un vecchio cuore come Yasuie, ci sta eccome.

Il cammino di Yamato si dipana, per ora, lungo tre vie intrecciate, il cappello da consegnare a Kawamatsu, la misteriosa Ringo con i suoi segreti insondabili, e l’inevitabile incognita degli imprevisti, quegli scarti imprevedibili che un certo autore giapponese ama riservare. D’altronde, chi avrebbe mai immaginato di rivedere Who’s?
Ma, immagino stiate scalpitando, quindi…

Passiamo all’analisi di un capitolo cruciale, guidati dal carisma inquietante del suo indiscusso protagonista. Imu è un personaggio tematicamente ricchissimo, non vuole solo distruggere, ma conquistare l’anima, trasformare l’innocenza in complicità.
Il Domi Reversi dissolve le barriere tra il desiderio di purezza e il lato oscuro che vive in ognuno di noi?
Per ora penso al gesto lento con cui evoca il libro, poiché sembra suggerire la consapevolezza di chi sa di dover perpetuare un ruolo eterno.

Signore e signori: capitolo 1150…

Pedagogia del terrore

‘Klaatu… barada… nikto!’
– Ash, L’armata delle Tenebre

C’è un vecchio adagio che recita: il diavolo abita nei dettagli. Ma oggi più che mai sembra essersi fatto architetto — disseminando indizi, posture e simboli nelle pieghe di ogni vignetta, come se il capitolo stesso fosse un mosaico esoterico.
Di norma (chi frequenta queste pagine lo sa) preferisco dividere l’analisi in tre movimenti, come fosse una partitura. Ma non questa volta. Preferisco scandagliare pagina per pagina, preservando intatto il filo del ragionamento, per poi riservare un capitolo a sé stante alla questione che abbiamo sollevato in apertura: «Oda rischia la propria credibilità introducendo la magia?».

Molti lettori hanno espresso timori, alcuni li trovo legittimi, altri figli di letture un filo frettolose. Il mio compito oggi è anche questo: rispondere con cura, in quanto sarebbe una svolta che potrebbe davvero cambiare il tono dell’opera.
Iniziamo.

Anche questa settimana le vicende si svolgono come un unico piano-sequenza, eccezion fatta per il Regno dei Defunti — dove, presumibilmente, stanno facendo il loro ingresso Chopper e Gaban. Nel frattempo si scatena il caos: con l’arrivo dei giganti adulti che si precipitano verso i bambini, ed è subito dramma. Come previsto, le spine invisibili si rivelano un boomerang spietato, infliggendo ai vichinghi ferite gravi e profonde.
Intanto Imu, indomabile, rifiuta di non essere al centro dell’attenzione generale. Con facilità disarmante, scaglia un’onda di Haki simile a un maremoto, travolgendo buona parte degli astanti e lasciando il segno. Le prime rivelazioni giungono nette:
A. il sovrano (o la sovrana) della Terra Sacra detiene senza ombra di dubbio l’Haō-shoku, quella che vediamo… è la tonalità è dell’intimidazione; B. non si tratta di semplice possesso, bensì di maestria assoluta.

Prima conferma, Imu sa combattere, come vediamo dal brutale sfoggio di Haki e dall’utilizzo dei suoi poteri.

L’eminenza grigia dei Draghi, almeno in questo specifico contesto, è la personificazione del Male assoluto all’interno di una storia che rifugge la semplicità del bianco e nero. Oda lo presenta come un’entità che non è solo antagonista narrativo, ma principio primordiale che incarna la corruzione e l’annientamento dell’innocenza e della luce. Nel contesto degli anni post Secolo Vuoto, Imu emerge come simbolo inquietante e profondamente malvagio, un demone che vuole cancellare ogni traccia di speranza. Il suo credo non è banale: è forza cosmica, sadica e calcolatrice, una volontà di dominio che si alimenta della paura e della distruzione.
Senza mezzi termini.

E poi, in mezzo al marasma, nel frastuono cieco della confusione, ecco il dettaglio.

Quello di Yarl, non è lo sguardo smarrito di un vecchio né quello febbrile di un guerriero privo di lucidità, e neppure di chi sia stato colto di sorpresa. Ho scelto di mostrarvi subito questa vignetta, così da rivelare sin d’ora la precisa intenzionalità delle sue parole: ne riparleremo più avanti, in quanto scena conclusiva.

Intanto possiamo finalmente gustarci, se non la forma, quantomeno l’essenza di Imu Nerona…

Si capisce l’intento che l’immagine vuole comunicare, e lo fa secondo una poetica visiva e concettuale che rifugge ogni ingenuità. Mu nasce con l’ambizione di costruire un’epica della luce e dell’oscurità, traendo ispirazione dalle fiabe dei fratelli Grimm, dalla mitologia classica e dai quadri visionari di Gustave Doré e Caspar David Friedrich.
Oda vuole farci assaporare l’eco di ogni demone interiore, volto affascinante della perdizione. Il personaggio è come un’entità mitologica: non un semplice mostro, bensì una forza ancestrale. Funziona? Si. Diamine se funziona.

Avete osservato bene i suoi dialoghi?
Quel modo misurato con cui si rivolge ai cavalieri, la fermezza nelle istruzioni date ai vichinghi, e quel sottile compiacimento che affiora appena.
In questo capitolo si cela una miniera di informazioni: frammenti preziosi che finalmente squarciano il velo sul suo carattere e sulla sua mente.
Pur incarnando un Male crudele e implacabile, Mu non è una figura monodimensionale (grazie al cielo). La sua malvagità si mostra tanto nelle azioni quanto nella sua presenza scenica e psicologia. Seduce e minaccia, distrugge e comanda con freddezza. Il suo dialogo è scandito da una calma glaciale che rende la cornice più inquietante, perché mai eccessivo o irrazionale. Questa compostezza glaciale fa di lui/lei un antagonista perfido, che sa sfruttare la paura e l’inganno con un’intelligenza da barracuda.
Mu è la personificazione dell’egemonia assoluta e assolutista che è prima di tutto strategia e dominio del prossimo.
Sfido io, ha 900 anni di esperienza.

La struttura sociale di Mary Geoise si fa finalmente più leggibile, Kiringham e Sommers riconoscono all’istante la figura del loro signore. E ne sono visibilmente atterriti. Del resto, se Garling è effettivamente asceso al rango di Gorosei, è plausibile che la sorte toccata a Saturn sia trapelata in modo intenzionale, come monito generale. Un segnale lanciato nei corridoi ovattati del potere, affinché l’eco della punizione si propaghi tra i ranghi dei Cavalieri. Ma dubito fortemente che simili conoscenze superino quella cerchia: davvero qualcuno può immaginare un segreto millenario affidato alla discrezione – si fa per dire – di un imbecille come Charloss? No, grazie. Anche a Mary Geoise, certe verità non credo siano per tutti.

Molto semplicemente, Mu arriva e ne ha per tutti, senza distinzioni, sia alleati che nemici, non esistono amici, rapporti interpersonali, flebili tracce di sentimento.
Una pedagogia del terrore, per così dire.
La paura, d’altronde, è spesso lingua franca del potere.
Sono… elettrizzato da questo capitolo. Non solo per la vena dark fantasy che vibra in ogni vignetta, ma perché — finalmente — iniziamo davvero a capire come pensa e come si muove questo villain.
Ma parla appena“, diranno alcuni. Sì, d’accordo. Ma ciò che conta davvero non è quanto dice, ma appunto come lo dice.

Ma (giustamente) preferite i fatti alle allusioni, nevvero?
Ok, come direbbe Barney Stinson – Challenge Accepted!
Partiamo dal presupposto che esiste un universo intero nel tono, nella postura, nella scelta delle parole. Ed è proprio lì che possiamo iniziare a tracciare un primo profilo psicologico di Imu. Non tutto, ovviamente. Ma abbastanza per coglierne l’essenza.
Facciamolo insieme:

Cosa hanno in comune Sméagol, Doctor Doom, Mojo Jojo (sì, proprio lui, delle Superchicche), Darth Plagueis e il Dr. Male di Austin Powers?
A un certo punto, iniziano tutti a parlare di sé in terza persona.
Curiosi di sapere perché? Bene, ora ci divertiamo.

1. Dissociazione narrativa
Parlare di sé come di un altro serve a distanziare l’io dal sé. In psicologia, è spesso un sintomo di dissociazione, alienazione o disgregazione dell’identità.
🗹 Imu Check

2. Costruzione del mito
Chi adotta la terza persona, vuole più di un’identità: vuole una leggenda. Si auto-legittima come figura arcaica, quasi liturgica, che esiste al di sopra del tempo e degli individui.
🗹 Imu Check

3. Delirio simbolico di onnipotenza
Non sta parlando una persona. Sta parlando un’idea. Un simbolo. Una volontà.
Io non sono un nome. Sono un concetto.”
🗹 Imu Super Check

Quando un antagonista dice “Ultron è evoluzione”, non sta semplicemente vantandosi: sta suggerendo che lui non è più un individuo, ma un principio astratto.
È il punto massimo del narcisismo patologico, non sono più un soggetto, ma una legge della realtà. Questa torsione retorica consente di passare dal “voglio conquistare il mondo” a un più sottile e inquietante “è naturale che il mondo appartenga a…”
È il linguaggio delle religioni rovesciate, delle ideologie totalizzanti. Il villain parla come una forza della natura: ineluttabile, impersonale, sovrumana.

In questo senso, pensando al murale, parlare in terza persona è come scriversi il proprio vangelo mentre si agisce. Vi ricorda forse qualcuno, mes amis?

Ora un dettaglio forse sfuggito, ma curioso: il braccio di Sommers si rigenera. Il che ci porta a una biforcazione interpretativa.

Ipotesi uno: la presenza di Imu amplifica il potere del marchio, come una sorta di ripetitore psionico che intensifica l’effetto nel raggio d’azione del suo volere.

Ipotesi due: l’allontanamento da Gaban ha disperso la pressione del suo Haki, permettendo al corpo di Sommers di riattivare i propri processi rigenerativi.

In sé, potrebbe sembrare un’osservazione marginale. Ma c’è un dettaglio che cambia la prospettiva: Gaban non si è trattenuto. Quando ha lasciato la scena per raggiungere Kron, lo ha fatto nella piena consapevolezza di chi sa di aver colpito duramente — eppure non sa se sia bastato. Il punto è proprio questo, non abbiamo la conferma che Scopper potesse davvero ucciderlo. Ma se dovessi rispondere, direi di sì, il cavaliere era terrorizzato.
E ora, analizziamo i poteri di Mu.

Le tecniche usate sono due, il ‘patto col Diavolo’

E il ‘Domi Reversi’.

Magia? Frutti? O forse un’antica tecnologia che ai nostri occhi appare come arcano incantesimo? Tutto è possibile, se supportato da una sceneggiatura solida e coerente.
Ma il vero fulcro – al di là delle speculazioni sull’origine – è uno solo:
Imu agisce attraverso evocazioni e pentacoli.

Il primo lo evoca (apparentemente) tramite il forcone, mentre il libro semplicemente con la mano. Tramite quest’ultimo a sua volta richiama le armi, ma il secondo pentagramma lo traccia con le dita. Ora. Questi oggetti hanno una mera funzione offensiva? O stanno applicando qualcosa al gigante? Per logica, direi che Mu ha materializzato armi antiche o magiche, perché quelle comuni non potrebbero mai scalfire Brogy, riflettete, un guerriero simile che urla di dolore e molla la presa per un pugnale? Suvvia, siamo seri. No, il patto infernale blocca il vichingo, lo intrappola, difatti è risaputo fin dal Medioevo: le streghe lo usavano per evocare i demoni in sicurezza, proprio al fine di stringere un patto.
Da cosa capiamo che Brogy non è immortale?
Beh, ha ancora il braccio palesemente amputato.

Se vi steste chiedendo poi perché ogni tanto menziono la tecnologia, guardate le lettere interne a questi pentacoli, sembrano più codici che rune. Personalmente? Il vostro affezionatissimo preferisce sempre il soprannaturale e il magico come scenari, ma tra Vegapunk, Saturn che si assicurava che il progresso rimanesse inalterato e il Regno Antico con la sua scienza avanzata, proprio non lo possiamo escludere, ecco perché da mesi vi riporto questa frase «Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia», la Terza legge di Clarke.

Il Domi reversi è tutt’altra faccenda. Brogy, in un omaggio luciferino, ruota il corpo di 180° e paga il suo debito, quindi… ritorna

A parte le ali, le zanne e gli artigli: A. il braccio è al suo posto, certo, non attaccato, perché non tutti i contratti sono uguali; B. le sue dimensioni sono abnormi perfino tra i giganti, oltre l’immortalità è arrivata la forza promessa.

Fermi tutti, forse è il momento di fare il punto sui pentacoli estendendo il concetto di evocazione stessa, come pensavo già da tempo:

L’erudizione generale di Nami associa immediatamente il simbolo all’esoterismo, mentre il bagaglio culturale di Road lo colloca nel suo contesto funzionale, ossia l’evocazione di un demone. Il punto cruciale, però, risiede nella prospettiva di Oda, che sembra voler sottolineare l’essenza arcana e magica dei pentagrammi. C’è una volontà chiara di far pesare la loro origine soprannaturale, specialmente considerando che gli unici elementi mistici in questo mondo sono quasi esclusivamente legati ai frutti. Gli esempi esterni a tale fenomeno, infatti, sono pochi nel manga: si pensi all’ipnosi tramite disegno di Miss Goldenweek, o alla voce che ode tutte le cose.

Il legame tra il pentacolo e la figura di Imu diventa chiaro quando lo colleghiamo alla tradizione esoterica, dove il simbolo rappresenta la possibilità di accedere a forze che non dovrebbero essere risvegliate. La sua connessione con i Nerona e con l’antica tradizione di potere occulto è affascinante, ma inquietante. Imu, come figura dominante, è la rappresentazione di un potere che sfida il tempo, quindi le leggi naturali stesse, subentrando successivamente in un parallelo sociale con il Medioevo, se solo pensiamo al passato: riflettiamo su un’epoca segnata dal crollo dell’Impero Romano, dalla nascita di un momento storico segnato appunto dal collasso di una delle civiltà più avanzate dell’epoca.

Esattamente come il Regno Antico.

Dopo il murale del precedente capitolo, il pentagramma, elemento centrale di molte tradizioni occulte, sembrerebbe quasi il confine tra due realtà: da un lato l’ordine umano e il sacro, dall’altro, il caos dell’ignoto. La sua forma veniva usata per scopi che spaziavano fino alla connessione con il divino e il diabolico. Difatti le tre Ere parlano di Divinità e peccati.

In definitiva, in un mondo in cui il scienza e arcano si sovrapponevano (senza sapere chi fossero i buoni e chi i malvagi), il marchio esoterico, con la sua capacità di afferrare e contenere l’energia puramente cabalistica, diventava simbolo di potestà, ma anche di rischio, un segno tangibile di come il tentativo di ottenere un potere non destinato all’uomo e alla sua vanagloria. Ricordiamoci infatti che, quale che sia la ragione, Imu ha una volontà adamantina che neanche 900 anni di purgatorio hanno scalfito.

– Analisi capitolo 1139

Allora, forse ci siamo.
Nel dubbio che scorre tra tecnologia antica e potere puramente divino, la chiave completa prende il nome di Imu, e… finalmente è sceso in campo.
Invece, per quanto riguarda la classica iconografia europea, per non essere più specifici parlando di quella cristiana, perché chiede anni di vita al gigante?
Altro che Shanks, stavolta ho letto io nel futuro:

Anzitutto, i patti col diavolo richiedono sempre qualcosa in cambio. Questo tema è molto comune in letteratura e cultura popolare.
Caratteristiche tipiche dei contratti infernali:

Tragedia finale: In molte storie, il patto si conclude in modo tragico, con il contraente che alla fine si rende conto del costo del suo desiderio.

Scambio di anime o vita: Spesso, chi lo stipula deve sacrificare la propria anima o la propria vita in cambio di un desiderio o potere.

Prezzo nascosto: Il patto può includere un prezzo che non è immediatamente chiaro. Questo prezzo potrebbe manifestarsi in modi imprevisti o tragici.

Regole inalterabili: I patti sono spesso vincolati da condizioni specifiche che devono essere rispettate alla lettera, altrimenti il contraente potrebbe subire conseguenze gravi.

Corruzione: Il patto può portare verso la corruzione morale o la perdizione, riflettendo la tematica del decadimento attraverso il desiderio di potere o ricompense materiali.

Eccellente. Ogni punto richiama ciò che è successo a Saturn, ma il concetto di perdita e sacrificio è quello che affascina di più. Come ricorderete, ho già accennato al fatto che l’Astro si rigenerava a manetta, ma le sue cicatrici precedenti rimanevano intonse. Questo indica chiaramente che il potere è stato acquisito successivamente, trascendendo la sua natura umana.

E ora viene il bello. Siamo in un manga, quindi il potere è usato (per ora) come teletrasporto, ma il pentacolo serve a evocare il demone con cui stipulare un patto. Per chi non fosse familiare con le tematiche soprannaturali, consiglio di recuperare A volte ritornano di Stephen King. Spiega chiaramente l’uso del pentacolo, il tipo di offerta per stipulare il contratto, e soprattutto, i rischi e le conseguenze che ne derivano.

Il protagonista (Jim Norman) offre letteralmente parti del corpo per sigillare l’accordo. Due dita. Che rappresentano la volontà di compromettere la sua integrità fisica e morale. Esattamente come Saturn. Per ottenere ciò che desidera, presumibilmente il potere fine a se stesso. Rinunciare al diritto della propria vita (Imu poteva ucciderlo praticamente quando voleva), è un segno del suo impegno e della disponibilità a pagare il prezzo per il suo desiderio.

– Analisi capitolo 1125

Certi contratti soprannaturali hanno regole ferree.
Ergo, mes amis, c’è una cosa molto importante da tenere a mente.
Ricordate l’apertura?
Eppure, come i più attenti ricorderanno, nemmeno Satana può sovvertire il libero arbitrio. Mmmh.

Esatto, Brogy non ha mai accettato l’accordo, è stato un atto puramente coercitivo. Quindi, il libero arbitrio e la forza di volontà sono elementi diversi?
Il dibattito attraversa secoli: dai filosofi antichi (Aristotele, Agostino) fino ai neuroscienziati contemporanei. Alcuni modelli compatibili (es. Spinoza, poi Locke) cercano di conciliare determinismo e libertà. Allora buttiamola giù semplice, in termini assoluti: Il libero arbitrio è la libertà di scelta. La forza di volontà è la determinazione nel seguire quella scelta.
Una può esistere senza l’altra. Puoi avere libero arbitrio ma cedere ogni volta alle abitudini. O viceversa: puoi essere determinato, ma le tue scelte potrebbero essere condizionate da fattori inconsci.

Oda fa riferimento ai miti cristiani? Probabilmente si, ma invertendoli.
Quando Brogy viene pugnalato, rinato fra le fiamme e incapace di morire, quel “contratto del diavolo” non resta più semplice metafora: si fa carne nuovo codice genetico di Elbaph, un virus infernale che non infetta soltanto il corpo, ma soprattutto l’indole. Contamina la volontà, ne riscrive le leggi, imprimendo un marchio che è insieme maledizione e destino.
La Tecnica del Domi Reversi – già nel nome – richiama il latino domus (casa) e reversus (rovesciato): è una deformazione e non trasformazione, una regressione rituale, un’eco distorta del grembo originario che assume la funzione di un “ritorno invertito”, analogamente al ribaltamento cosmico del creato che, in molte tradizioni, segna il passaggio dal sacro al profano, dalla grazia alla perdizione.
Il pentacolo capovolto, del resto, non è simbolo neutro, nell’occultismo post-rinascimentale, l’inversione del pentagramma diventa il segno per dominare o evocare i demoni, poiché rappresenta la vittoria della materia sullo spirito, della bestia sull’uomo, dell’instinto sull’etica. È un sigillo di caduta.

Quindi.

Il capovolgimento fisico – come quello di Lucifero conficcato nel gelo del Cocito dantesco – è immagine di un ordine sovvertito, l’emblema del rovesciamento dell’armonia divina a favore del caos primordiale, un’eco del grido “non serviam” che risuona nel vuoto. In One Piece, il rito del Domi Reversi rovescia letteralmente l’eroe buono e ne fa un demone al servizio di Imu. Il gesto riecheggia la simbologia dell’umiliazione e della caduta dall’alto, la stessa che accompagna la rovina degli angeli ribelli, la stessa che inchioda Lucifero al fondo del creato, testa all’ingiù.
Sono la stessa cosa, sì. Ma con il bene e il male invertiti.
Come in uno specchio distorto ma che riflette la stessa immagine: punire il ribelle.

Lo sappiamo da sempre: in ognuno di noi convivono il bene e il male.
A fare la differenza è la volontà, il desiderio di scegliere – e compiere – l’azione giusta o quella sbagliata. Nel mito greco, Giacinto mutato in fiore rappresenta il bosco oscuro delle pulsioni represse. E ancora…
Avete mai letto questa frase di Charles Bukowski?

“Per ogni Giovanna d’Arco c’è un Hitler appollaiato dall’altra estremità dell’altalena. La vecchia storia del bene e del male.”

Bukowski suggerisce che, in ogni momento e in ogni luogo, l’umanità oscilla tra questi poli opposti, come se fossero bilanciate da un unico punto di fulcro. L’immagine evoca un senso di precarietà: finché Giovanna d’Arco è in alto, il lato del bene sembra vincolare l’equilibrio; ma basta un piccolo spostamento perché Hitler precipiti verso il basso, trascinando con sé l’altalena e risucchiando l’umanità nell’abisso. In sintesi, intende mettere in luce l’inevitabile dualismo morale: ogni atto di grandezza umana convive con la possibilità di un abisso altrettanto grande.

Quindi? Brogy è diventato malvagio? O peggio ancora, Imu ha rivelato la sua vera natura? Ovviamente no. Il “buono” esiste, certo, ma tende a sfumare quando sopraggiunge la sete di sangue o la furia bestiale tramite la maledizione che infetta anche la parte più civile dell’animo.

Il gigante non reagisce: semplicemente non può. È come voler scacciare il raffreddore con un pensiero positivo. Assurdo, no?
Ecco, Imu lo ha infettato.
La frase di Brogy — mi sento capace di qualsiasi cosa — non è un grido di guerra. È il riflesso di qualcosa che da sempre cova sotto la pelle. Nei giganti, la violenza è memoria genetica. Imu ha solo girato la chiave.

Un potere che abbatte il confine tra il sé cosciente e l’ombra primordiale che ci abita.

E questo ci porta alle D.
Solo tre cose teme il signore della Terra Sacra, i poneglyph, la presenza di Joy Boy e ,appunto, il suo esercito. Il capitolo in questione rispecchia, in ottica cristiana, il significato della lettera D come semplice strumento per riconoscersi tra perseguitati:

… vediamo la D da un altro punto di vista.

La lettera potrebbe essere un semplice simbolo. Non qualcosa ereditato dal ceppo primigenio di una antica famiglia. O Vivi e Luffy sarebbero lontani parenti. Lo sarebbero anche Law ed Ace. Saul non è forse un gigante? Più importante il collegamento di Robin che – ricordandosi dell’amico – chiede al suo capitano perché i possessori della lettera si ribellino e combattano.
In One Piece si parla della volontà della D.

Beh, è interessante. ἰχθύς si pronuncia Ichthys, e significa pesce. Il cristiani (durante i primi tre secoli della loro religione) furono barbaramente perseguitati, con assoluta violenza. Costretti alla clandestinità. Come si riconoscevano tra loro? Disegnandosi il simbolo di un pesce sul petto, con all’interno quel dato anagramma.

Beh genti, il principio è letteralmente identico.

Un simbolo (una lettera nel nome) è totalmente innocuo, e non identificabile, tranne per chi ne conosce il significato. Esattamente come i cristiani poi, il trucco è perfetto finché non viene scoperto. Perché da quel momento, ciò che era un codice segreto per riconoscersi: diviene un marchio che ti etichetta immediatamente.

– Analisi capitolo 1085

Esattamente come accadde a Clover e suo fratello, come ricorderete.
Se invece ci fosse proprio un retaggio genetico, e le D discendessero effettivamente dalla stessa famiglia… beh, ancora meglio, perché significherebbe che Mu teme tanto quella discendenza: probabilmente perché il loro sangue li rende immuni al Domi Reversi e gli altri poteri. In sostanza, Oda pesca non da un unico mito – quello luciferino dantesco o miltoniano – ma da un patrimonio simbolico più ampio: il pentacolo invertito come iconografia del diabolico e l’inversione spaziale come cifra del tradimento cosmico.

No, non esistono più capitoli ‘transitivi’, vecchi cuori.
In Oda c’è una sincerità quasi infantile, un desiderio evidente di creare meraviglia.
Imu, poi. È l’antagonista a contenere la carica drammatica più autentica, confermando che nel cuore delle fiabe… l’oscurità è spesso più intrigante della luce.

Freddo a Giugno

‘Il lettore è mio complice: io non ho nessun diritto di tradirlo.’
– Italo Calvino, Prefazione a “Il sentiero dei nidi di ragno”

Prima di concludere con la questione della magia, vi avevo promesso un pensiero su Jarl. Dal punto di vista narrativo, il gigante rappresenta un’eccezione coerente: perché non trema come gli altri?
Per quale ragione manifesta una fermezza quasi scolpita, rifiutando la fuga?
Ci possono essere spiegazioni apparentemente scontate come l’onore radicato nella tradizione, l’orgoglio di una vita retta da principi indissolubili, una dedizione incrollabile che riflette un coraggio temprato come acciaio. All’apparenza, potremmo bollare tutto come una tenacia di stampo norreno, un riflesso istintivo.

Eppure… nei suoi occhi scorgo, per la prima volta dopo tanto tempo, lucidità. Un’aura di consapevolezza che va oltre la mera ostinazione. In questa luce, forse è la sua esperienza, o un’intuizione antica, a suggerirgli non soltanto con chi hanno a che fare, ma anche come affrontarlo.
Ipotizziamo:

A – L’anziano era nel castello, forse nella sala stessa, durante lo scontro tra Harald e Loki. A giudicare da come si snoda il capitolo, è plausibile pensare che il Re si sia lasciato uccidere dal figlio. O, all’opposto, che Loki (sopraffatto dalla disperazione) abbia ingerito il frutto per fronteggiare una creatura così devastante. Entrambe le ipotesi hanno punti a favore e contro. Il castello per esempio non sembra abbastanza grande da contenere una bestia di quelle dimensioni; eppure, i primi commenti dei Mugiwara vertevano proprio sui segni di artigli giganteschi, come quelli di Dory e Brogy.
Ma allora, perché Jarl disprezza Loki? Perché non lo considera un salvatore della patria? Potrebbe essere arrivato nel momento sbagliato, fraintendere la scena, o essere stato legato da una promessa pronunciata da Harald nei suoi ultimi istanti — qualcosa come: “Mantieni il segreto. Elbaph non dev’essere trascinata in guerra.” O, al contrario, potrebbe essere stato Loki a giurare silenzio, e proprio questo silenzio, questo vuoto di spiegazioni, ha corroso Jarl. Forse vide qualcosa — un dettaglio, un’ombra — che all’epoca non riuscì a comprendere, e che solo adesso, alla vista dei “demoni”, comincia a ricomporsi nel quadro esatto. Sta forse ricordando cosa vide davvero?

B – Yarl ha circa 450 anni, mentre il Secolo Vuoto risale a circa 900 anni fa. La sua memoria storica, dunque, si pone su un piano diverso rispetto a quella di qualunque altro personaggio — persino rispetto tra gli stessi vichinghi. Considerando che la vita media di un gigante si aggira intorno ai 300 anni, con il padre la sua memoria storica arriverebbe sui 700, e ipotizzando la presenza di un nonno, si supera il millennio. Nonostante l’onnipresente politica del silenzio — ricordiamo Clover e suo fratello — Yarl potrebbe aver ricevuto qualche frammento di verità come monito tramandato oralmente o ascoltato in riunioni segrete di anziani. Oppure potrebbe aver letto antichi documenti in gioventù. Insomma, la fonte è indifferente, l’importante è che in lui un ricordo, forse assopito da tempo, sia riaffiorato.
Sempre se stia accadendo questo.

Mi fa ridere perché mi ricorda Gandalf, ehi, son serio.
All’inizio della storia, agli occhi degli hobbit, è solo un anziano bizzarro, famoso per i fuochi d’artificio. Un personaggio folklorico, forse fuori tempo (Uno stregone non è mai in ritardo, Cenere Baggins. … Arriva precisamente quando intende farlo. Ok, va beeeeeeeeene).
In realtà, Gandalf è già in allerta: il suo passo è già rivolto verso un orizzonte che gli altri ancora ignorano. E quando la minaccia di Sauron si affaccia nuovamente, è tra i primi a intuire che quello che tutti credono passato sta per ritornare. Nessun altro ha questa chiarezza: non Saruman, accecato dal potere; non Denethor, consumato dalla disperazione; non i giovani eroi, ancora ignari del peso della Storia.

Ora, visto che molti di voi hanno espresso preoccupazione o perplessità, rispondiamo alla domanda: fin dove può spingersi Oda senza abbandonare le regole originarie del suo mondo, quelle che ci hanno tenuti incollati alle pagine per quasi trent’anni?

Il nucleo centrale del discorso si concentra sul rispetto del patto narrativo — quell’accordo implicito che un autore stabilisce con il pubblico, garantendo coerenza interna e credibilità nello sviluppo della trama e dei personaggi. In particolare, il confronto tra Masashi Kishimoto e Eiichiro Oda mette in luce come due autori di manga iconici abbiano affrontato la costruzione dei loro antagonisti finali in modi molto diversi, con esiti profondamente differenti. Kishimoto, in Naruto, ha scelto di chiudere con Kaguya, una figura che ha lasciato molti fan perplessi, giudicata da molti un disastro narrativo; Oda, invece, con Teach ha costruito un villain graduale, sentito, credibile, con cui abbiamo potuto convivere per anni.
L’equivalente di Madara.

Immaginate se Kaguya fosse apparsa con anticipo, introducendo all’improvviso una tecnologia aliena avanzatissima in un mondo dove fino a ieri si combatteva con pergamene, katane e chakra.
È dissonante.

Ventisette anni.
È il tempo che ci separa da quel 1997 in cui One Piece ha preso il mare, in un mondo che sembrava sì strano, ma mai casuale. Tra rotte impossibili, frutti dalle proprietà stravaganti, creature gigantesche e tecnologie anacronistiche, Eiichiro Oda ha costruito qualcosa di più di un manga: ha edificato una mitologia coerente. Un world-building dalle leggi interne tanto ardite quanto fedeli a sé stesse, che ci ha insegnato a credere nell’assurdo, ma mai nell’arbitrario.

Ed è proprio questa coerenza il cuore del discorso.
Perché oggi, mentre il manga scivola verso la sua parte più oscura e ambiziosa, la figura di Imu — enigmatico, immanente, oltre — rischia di far perdere proprio quella coerenza?
Non perché sia potente. Non perché domini gli altri. Ma perché la narrazione sembra flirtare con un concetto che da sempre è stato tenuto ai margini: la magia.
Un equilibrio che non nasce dal realismo, ma da un tacito accordo tra autore e lettore: qualunque meraviglia può accadere, ma non infrangerò mai le leggi che ho creato fin dal principio.

Ora invece parliamo di una forza arcana, libera e onnipotente, che non risponde a limiti logici o fisici. Parliamoci chiaro. La magia — intesa come forza antica, slegata da regole interne — non è mai appartenuta all’universo di One Piece. I poteri hanno una matrice ben precisa: i Frutti del Diavolo, le Armi Ancestrali, l’Haki. Strumenti narrativi chiari (più o meno).

Assistiamo improvvisamente a qualcosa di diverso.
L’Abisso.
La rigenerazione istantanea.
L’invulnerabilità.
Il controllo mentale.
L’evocazione di creature non classificate.
La manipolazione diretta dell’essenza umana.
È come se tutti i poteri archetipici della letteratura fantasy fossero stati aperti come un mazzo di carte — tutti giocati assieme, in una singola mano.

Certo, il sensei ha sempre avuto una via d’uscita elegante (e molto comoda): i Frutti.
Un potere può essere spiegato con “uno fra questi, particolare”, un’espressione dell’immaginazione. È successo con Nika, con Law, con Bonney. Eppure, anche qui, ci sono limiti: il frutto crea, modifica, ma non trasforma il mondo in una favola (a meno che tu non sia il Dio del Sole).
Pare quasi che si stiano riscrivendo le regole.
E se non è magia, è comunque qualcosa che le assomiglia fin troppo.

Non è paura del cambiamento, quella che leggo nei vostri commenti.
Ma rispetto per il patto narrativo, ne sono certo.
Quando un lettore resta fedele a una storia per quasi trent’anni, lo fa anche perché quella storia gli ha insegnato che tutto ha una causa, tutto ha un prezzo.
Ogni salto evolutivo, ogni rivoluzione, ogni nuova rivelazione ha sempre avuto un seme piantato decine — a volte centinaia — di capitoli prima.

Tranquilli, non è un tabù insuperabile. Anzi.
Oda ha la maestria narrativa per reinventare, rivedere e aggiungere elementi senza tradire il nucleo. Tuttavia, per riuscirci, servirà un’introduzione che si integri organicamente nell’arco narrativo, che dia senso e radice a questa “magia”. Forse una rivelazione ancestrale, un’epoca perduta, un potere dimenticato che spiega le regole attuali e apre nuove prospettive senza cancellare le precedenti.
Se invece la magia si limitasse a diventare una “super arma” senza limiti né costrizioni, uno strumento onnipotente e svincolato, ecco, il peso di un deus ex machina troppo grossolano, che riscrive tutto in un colpo solo.

Ventisette anni di attesa e di investimento emotivo non sono un dettaglio da poco.
Quindi mai partire prevenuti, e diamo fiducia al Bianconiglio Shonen.
Sappiamo bene che Oda ci ha spesso spiazzati, e che il suo stile è sempre stato quello del lungo inganno: mostrare oggi ciò che aveva progettato vent’anni fa.
Se Imu è davvero la fonte della magia, il testimone ultimo del potere di Nika, allora la sua comparsa non sarebbe la violazione di un’alleanza, bensì il suggello di un cerchio narrativo iniziato secoli fa. In quel momento, la magia smetterebbe di essere un corpo estraneo e diventerebbe, piuttosto, l’ultimo capitolo di un patto mai davvero infranto: il potere dell’uomo e del Sole che torna alla luce, sottilmente presente ma mai completamente rivelato, fino a ora.

Non basta il mistero. Serve la logica del mistero.
Quella che ha reso One Piece il manga più amato del pianeta.
Quella che, se preservata, può farci accettare anche l’impossibile, purché sia impossibile alla maniera di Oda.
Spero di esservi stato utile.

Come sempre vi linko il video del Re, non scendo nei dettagli onde evitare spoiler.
Sappiate solo che ci sono 666 buoni motivi per leggerlo (muahahaha)
A voi!

E se foste interessati ad altre analisi su altri 
manga, vi invito a visitare il mio canale…

https://www.youtube.com/@Cenere_SG

Per sempre

Spero di avervi intrattenuti, spinti a ragionare e riflettere.

No, Imu non è vilipendio della morale, né mera caricatura del villain di turno.
Prende de Milton (il Paradiso perduto) e attraversa Goethe (Faust), fino a evocare Satana ne Il Settimo Sigillo di Bergman o Mephistopheles in Nosferatu.
La sua eloquenza susurra non solo minacce, ma proposte: un invito a contemplare l’ignoto.
Cosa trasmette all’istante questa figura?
Che la malvagità è la notte in cui si perde ogni certezza.
O magari secoli prima fu una vittima, quindi: non la crudeltà che tutti temiamo, ma la parte oscura di noi stessi che, tradita, si ribella.

Come dicevo, parlare in terza persona non è solo un vezzo stilistico.
Ma una frattura estetica e psichica. È la lingua degli dèi impazziti, dei profeti degeneri, dei tiranni che si credono incarnazione del destino.
Non è solo una posa: è il punto di rottura tra l’umano e il simbolico, tra individuo e dogma. In un mondo narrativo dove tutti dicono “io”, il villain dice “Mu”.
E così facendo, diventa eterno.

Questa saga è un gioiello.

Godiamoci il viaggio, genti

Cause I’ll be fighting you
You will never own me
‘Cause I’ll be fighting you back
Me and the faces will put you in places where all the lights are leaving your soul
– Electric Callboy, Revery

Cenere

Ti potrebbe interessare anche...