‘The secrets that you keep are at the ready
Are you ready?’– Foo Fighters, The Pretender
Salve genti, nuova analisi, capitolo 1134: testata d’angolo.
In questo capitolo assistiamo a quella che Aristotele avrebbe definito anagnorisis: un momento di riconoscimento che fa luce sulle connessioni tra eventi passati e presenti. La mole di informazioni – tra chiarimenti diretti (e indiretti), dettagli politici, riferimenti palesi, promesse di salvezza e sfumature apparentemente incongruenti – è tale da provocare le vertigini.
Il continuo cambio di prospettiva che attraversa Elbaph è un gioco tra realtà e finzione portato all’estremo. Il Bianconiglio Shonen infatti ama confondere le acque, sospingendoci in un oscillare incessante tra giusto e sbagliato, tra eroe e villain, dove il confine tra i due è costantemente sfumato. Meglio procedere per gradi, vero?
E’ il momento dell’Elzeviro…
Dietro le quinte
Agrodolce. Forse diretto, ma è il primo termine che mi è venuto in mente. La cover a colori rende omaggio alla stima e all’affetto che nutriamo per lo storico doppiatore di Franky. Siamo tutti consapevoli delle sue condizioni di salute, e la risposta unanime del pubblico internazionale è giunta chiara e forte: grazie Kazuki Yao .
È un cambiamento significativo, e lo sappiamo bene. Nelle sue parole si intrecciano l’amarezza di dover salutare un ‘nakama’ con cui ha condiviso quasi un quarto di secolo, e la gioia di rassicurarci che il suo successore sarà… super. Mi sono trovato a pensare a Rayleigh che riflette su Roger, sospeso tra commozione e risate. Franky è un mito, perché quest’uomo è un mito.
Cosa fa notare che il disegno sia stato realizzato appositamente? Immaginate per un secondo, l’avvocato del diavolo che s’insinua nella mia mente: ‘Beh, Oda deve avere una marea di cover già pronte, tutte lì, a sua disposizione‘. Un pensiero innocente vero? Ma mentre mi perdevo nei dettagli, invece, ho notato Robin. In particolare la frangetta che è riapparsa nei capitoli più recenti, quindi, non è una cover a caso.
Senza scadere nel sentimentalismo gratuito, il messaggio del disegno (oltre la celebrazione del doppiatore) si fa simbolo di un riconoscimento più ampio, quello della connessione tra pubblico e creatore. Spesso l’attenzione si concentra solo su chi è sotto i riflettori, il tributo a Yao riflette l’importanza di non dimenticare chi, dietro le quinte, contribuisce con la propria arte a dar vita a ciò che amiamo. Una riflessione per quelle figure invisibili, a volte ignorate dal grande pubblico, ma essenziali nel processo creativo di qualsiasi progetto epico. Insomma, celate in ogni successo, ci sono mani silenziose che plasmano (senza clamore) la magia che conosciamo da 27 anni. Così come Franky nel suo ruolo chiave per la ciurma, solleva i suoi compagni.
Quindi preparatevi per una analisi estremamente dettagliata, poiché il capitolo di oggi è una battaglia tra ciò che sembra vero e ciò che è effettivamente tale. Ogni tassello sposta la percezione di ciò che è accaduto e di ciò che accadrà, fino a farci dubitare delle nostre stesse convinzioni. E quando tutto sembra finalmente chiaro rimane una sensazione persistente, appunto, quasi una vertigine: che cosa è veramente accaduto? E chi era veramente nel giusto?
Signore e signori: capitolo 1134…
A volte ritornano
‘Ancora tu.
Ma non dovevamo vederci più?’
– Lucio Battisti
Linee, forme, volumi. Quando Oda decide di rendere Luffy serio, il risultato è una sintesi perfetta tra gravitas e dissonanza esilarante. Il pirata si presenta con un atteggiamento formale, eppure l’ironia del momento è palese. Non potrebbe essere altrimenti: siamo abituati al suo comportamento spensierato, ma qui la scena impone una serietà che lui, a modo suo, rispetta. Non è la prima volta che il capitano riconosce l’importanza di un momento; basta ricordare quando sbraitò prima di portare Rebecca dal padre o quando (in veste di imperatore) prese il controllo dell’isola degli uomini-pesce al telefono con Big Mom. Luffy sa quando deve essere serio. D’altronde, conosce Jinbe e il suo codice d’onore da anni, e a Wano ha respirato la stessa aria di Hyogoro. Non ci sorprende quindi che un po’ di buone maniere abbiano fatto breccia nel suo spirito. La promessa che strappò a Robin, la sua volontà di vivere, è impressa nella sua mente. Eppure dopo vent’anni che lo vediamo con le dita nel naso, pronto a credere all’esistenza dell’isola dei Cecchini… è impossibile rimanere seri.
Anche perché si esprime e si muove come un membro della Yakuza, il corpo mostra una certa tensione ma al contempo una disposizione a rendere omaggio.
Un aspetto interessante è l’utilizzo massiccio delle linee cinetiche da parte del sensei. Come sappiamo, vengono impiegate per accentuare il movimento, le espressioni emotive. Nel capitolo corrente sono onnipresenti: dalla presentazione dei Mugi come ciurma di un Imperatore, fino a sottolineare le reazioni dei bambini vichinghi. Oda ha però scelto di applicarle tratteggiate a Robin, Saul e Lilith, conferendo loro un’espressione raggiante. Questo utilizzo sottolinea chiaramente la volontà di enfatizzare tre momenti cruciali, ciascuno con un peso specifico:
A. Il sorriso di Robin, mentre dichiara di aver finalmente trovato dei veri amici, come predetto da Saul; B. Lilith, che irradia luminosità nel suo incontro con il gigante, praticamente, la sua guida spirituale nella decisione di studiare il Regno Antico; C. Saul stesso, che realizza finalmente il sogno di mostrare la biblioteca a Robin.
Riguardando quelle tre vignette, noterete che il personaggio trasmette una sensazione di leggerezza e felicità, come se la sua aura di benessere stesse espandendosi nell’aria. Poco da aggiungere, la grammatica del disegno è pura magia espressiva.
E qui, mes amis, come sapete accade qualcosa che scuote la narrazione, in modo tutt’altro sottile. Lilith si presenta a Saul, gli rivela di essere Vegapunk e gli dà la notizia del clone. Una vero ginepraio, sotto ogni punto di vista, questa rivelazione è una di quelle che ha talmente tante implicazioni che basterebbe la metà. Quindi prima di tutto facciamo chiarezza su quanto è successo. In effetti, se guardiamo a questa vicenda da una prospettiva strettamente logica, potenzialmente mina molti degli eventi di Egghead. Eppure bisogna riconoscere che tutto ciò ha una sua coerenza.
Se Stella si fosse allontanato da Egghead, il Governo Mondiale se ne sarebbe accorto subito, quindi era normalmente operativo durante la permanenza del clone a Elbaph. Una volta raggiunta, sarà stato precedentemente incaricato di raccogliere informazioni e fare esperimenti, interagire con chi avesse salvato i libri. Al ritorno, Stella (l’originale) avrebbe probabilmente trasferito le informazioni nel Punk Records? Questo è da vedere, abbiamo constatato più volte che i dati non erano condivisi per vari criteri (Shaka era ben informato sui mugi, Lilith no), o deliberatamente manomessi (il bailamme creato da York). Nessun problema, avremo tre fonti che dissiperanno i dubbi: Lilith, York e il nuovo Vegapunk. Tornando a noi, una volta rientrato, il clone fumesso in ‘stasi’ per evitare che due versioni di Vegapunk fossero attive contemporaneamente, il che avrebbe sollevato sospetti. In questo modo, il Governo Mondiale non avrebbe scoperto la presenza di un ‘doppio Vegapunk’.
Ora, la nuova copia ha due peculiarità (una delle quali non vi piacerà): A. non è come Lilith e gli altri, i satelliti di Vegapunk non sono cloni nel senso tradizionale del termine, ma rappresentano estratti delle diverse personalità o caratteristiche dello scienziato, ognuna focalizzata su un aspetto specifico della sua psiche. Sono effettivamente versioni distinte di Vegapunk, ma non sono copie esatte dell’originale. Ogni satellite è una manifestazione di un lato particolare del suo carattere, come la rabbia, la gentilezza o il desiderio, pertanto, un satellite non è una copia perfetta del suo creatore, ma una sua parte. A differenza di questo clone che è (vi avevo avvisato: non vi piacerà) letteralmente Vegapunk; B. questa copia ha vent’anni di meno, quindi dovrà apprendere e adattarsi.
Il che si inserisce perfettamente in due scenari plausibili. Da un lato, Stella ha evitato di doversi giustificare: il Governo è al corrente dell’esistenza dei satelliti-assistenti, ma la creazione di un clone avrebbe richiesto ulteriori spiegazioni. Dall’altro, Oda elude abilmente il segmento narrativo in cui lo scienziato avrebbe studiato tutto ciò che viene considera proibito. Qualcuno potrebbe obiettare: ‘Va bene, tanto ha già detto tutto nel messaggio.‘ Verissimo. Se però consideriamo che il clone non possiede memoria, non può aggiungere nulla di significativo: non può chiarire meglio le sue parole, indicare i testi su cui ha trovato le informazioni, né confrontarsi con la ciurma su Joy Boy. Un espediente narrativo sottile, ma decisamente efficace.
Sono pienamente consapevole che questo risvolto potrebbe non piacere a molti. Anch’io, per un breve ma interminabile istante, ho provato una sensazione irritante, un abrasivo miscuglio tra il fuoco di Sant’Antonio e l’orticaria, quando ho letto del ritorno di Stella. Il suo ciclo narrativo sembrava chiuso, con margini di redenzione accettabili e perfino un messaggio incisivo che il Governo Mondiale temerà con l’andare del tempo. Eppure devo riconoscere che alla fine è prevalsa in me la pura e semplice curiosità. Perché è indispensabile proprio Vegapunk? Lilith, infatti, risponde senza esitazione alla richiesta di Bonney per Kuma (ci arriveremo tra un attimo), dimostrando di avere le stesse competenze operative. Era già evidente però che i satelliti sono diversi, ma sul piano caratteriale (avendo temperamento diverso, operano scelte molto diverse) di certo non su quello delle capacità scientifiche e intellettuali.
Questo capitolo è particolare, ha un leitmotiv preciso: l’ambiguità morale. E il primo a incarnarla è proprio Vegapunk.
Proseguendo, Oda ha bisogno di qualcosa che solo lo scienziato in persona può fare. Di base, York non ha tradito per una sua semplice prerogativa caratteriale. Se ricordiamo che Lilith incarna addirittura la malvagità stessa. Questo mi porta a riflettere sui suoi lati peggiori: indifferenza, un orgoglio smisurato e spiccata impulsività. In sintesi, al sensei serve un elemento narrativo che richieda espressamente l’intervento di Vegapunk, non dei satelliti. Oppure si può ipotizzare che il clone, pur privo di vent’anni di memorie, possieda comunque delle informazioni o un messaggio lasciato in anticipo da Stella, nel caso di uno scenario catastrofico. Quale, per esempio? Ma L’incidente di Egghead ovviamente. Un vero e proprio piano di emergenza, nato (forse) anche dalla progressiva e deliberata crudeltà verso Kuma.
Può piacere o meno – de gustibus – ma sul piano narrativo, regge. Tuttavia devo essere integerrimo nel mio ruolo di recensore. Sarebbe disonesto non ammettere che questo sviluppo finisce per sminuire diversi dilemmi morali affrontati a Egghead. Per non parlare del calvario inflitto a Kizaru, che appare del tutto gratuito. E devo confessare che, ripensando alla scena dell’ammiraglio in lacrime davanti ad Akainu, proprio non riesco a farmela piacere. Quella scena ha certamente il pregio di rivelarci la vera natura di Borsalino, rendendola sensata agli occhi del pubblico. Ora rischia di risultare priva di reale significato se non dovesse condurre l’ammiraglio a un cambiamento concreto.
Ma se c’è qualcosa che ho imparato da One Piece, è mai giudicare un abbozzo, bisogna aspettare il quadro completo per giudicare. Il sensei è in gamba con i giochetti intertestuali, quindi è inutile smorzarsi l’impatto emotivo, e la presenza del clone di Stella mi incuriosisce ancora, per i motivi di cui sopra. Per ora il primo tassello della ‘ciurma espansa’, è al suo posto, Lilith vuole fare base nel Warland, mettere su un laboratorio e riportare alla coscienza Stella. Direi ‘beh, nessun posto meglio dell’inespugnabile Elbaph!’.
Se non fosse per le due figure in chiusura capitolo.
E ora ci siamo: Kuma-boy.
Se mi seguite da un po’, saprete bene quante parole ho dedicato a questo personaggio. Era inevitabile: Orso non è mai stato una mera parentesi transitoria in One Piece, figurarsi ora. Molti hanno storto il naso per come si è svolta la scena, e posso capirli perfettamente: dopo tanto pathos, settimane di attese e incertezze, non è stato certo edificante ricevere una risposta tanto semplice e superficiale. Questo: lo dico da lettore di manga.
Vediamo invece quant’è profonda la tana del Bianconiglio. Inserire un dettaglio apparentemente banale o marginale è spesso associata al concetto di show, don’t tell. Questo principio narrativo implica che l’autore suggerisca informazioni importanti attraverso azioni, immagini o magari dettagli, piuttosto che dichiarazioni eclatanti, permettendo al lettore di dedurre significati più profondi o incutere timore. O, molto banalmente, fare da promemoria.
Se volessimo fare i pignoli, si potrebbero ipotizzare due spiegazioni plausibili. O il sensei intende scatenare una progressiva onda di ansia, dato che appena si discute della salvezza di Kuma, nubi minacciose si addensano sia sul fronte di Loki che su quello dei visitatori finali. Ma è solo un’impressione fugace, un pensiero non del tutto definito. Mettendo da parte l’affetto per il personaggio, in fondo non c’era bisogno di questa scena. Non perché sia insignificante, ma perché – personalmente – ha avuto l’effetto di un campanello che trilla nella mia mente. Oggettivamente, ci stiamo avvicinando a una nuova saga e il nostro interesse per Orso è appagato dal fatto che lui e Bonney siano salvi, che un Vegapunk sia a bordo e che il cyborg mostri ancora qualche barlume di coscienza.
Il punto è che la scena appare gratuita e volutamente breve, come se Oda ci stesse dicendo: ‘Questo, tenetelo a mente’. Ed è proprio la dinamica che rende tutto strano. Primo, per come ha liquidato la questione. Vegapunk ha sempre parlato di un processo irreversibile; ha lottato con Saturn per impiantare almeno una versione ridotta della coscienza, in modo da non trasformarlo in una macchina priva di umanità. Ha pianto disperatamente mentre eseguiva l’operazione, consapevole che privarlo della coscienza sarebbe stato come condannarlo a morte. E il Gorosei non era presente, non stava recitando: era davvero distrutto, inconsolabile. E ora? ‘Certo, Bonney!‘ Non che mi dispiaccia, per carità, ma… c’è qualcosa che proprio non mi torna.
Ad ogni modo, con Orso di nuovo cosciente avremmo un rivolo di possibilità che sfocerebbe in un fiume di informazioni. Seppure fosse convinto che Nika era un mito, fu smosso da Luffy, e (a Egghead) abbiamo visto tutti il suo sguardo registrare e sorridere alla presenza del Dio. Il Warland celebra Nika, l’ex-rivoluzionario è un Buccaneer, Luffy il vettore del Dio. Spero che il ‘campanello’ di Oda suoni come una promessa, non una minaccia.
E poi, conoscendo il suo passato, sarebbe ora che Orso potesse raggiungere quella felicità che gli è sempre sfuggita. La sua storia è una favola dark con muscoli high-tech, coniugati da una volontà indomabile.
Potrei commuovermi più che per il finale di Terminator 2. Trust me.
Giustizia poetica
‘Nutrite le vostre menti con grandi pensieri. Credere nell’eroico crea eroi.‘
– Benjamin Disraeli
Parole che si adattano sia a Usopp che Loki. Ma in modo diverso.
A partire da questo punto, iniziamo finalmente a intravedere un primo spaccato sociale. Viene introdotta Ange, l’assistente di Saul, mentre la ciurma si divide in due gruppi: Robin, Bonney, Chopper e Lilith si dirigono verso la Biblioteca del Gufo, mentre i restanti Mugiwara esplorano i dintorni. Partiamo dal secondo gruppo: Nami rimane genericamente in compagnia di Ange e Gerd, con Sanji ovviamente al seguito; Jinbe invece vuole presumibilmente accompagnare Franky. Ed è proprio il Cyborg a pronunciare ciò che trovo più interessante: la sua intenzione di andare a vedere l’Albero di Adam.
Non mi aspetto chissà quali rivelazioni – dopotutto, siamo a due passi dall’intero patrimonio di conoscenza di Ohara e dei giganti, dove è presente la triade definitiva: l’ultima archeologa, il custode del sapere, e un Vegapunk. Tuttavia, se Franky dovesse discuterne con Ange e Gerd, beh, la faccenda si farebbe decisamente intrigante.
Nel frattempo, Usopp e Luffy si lanciano come arieti all’esplorazione dei dintorni, seguiti da Zoro e immediatamente tallonati dai bambini-giganti. Come abbiamo scoperto, accanto alla Biblioteca del Gufo sorge la Scuola del Tricheco. Considerando la vastità del Warland, le enormi proporzioni dei giganti e le loro elevate capacità di apprendimento (Ripley è, a tutti gli effetti, un’insegnante), possiamo dedurre che a Elbaf esista un sistema scolastico ben definito. Probabilmente, questi due siti rappresentano solo il fiore all’occhiello di un’intera rete educativa.
Il vero punto di svolta sono i bambini. I maschi, notoriamente più indisciplinati, cercano di catturare i Mugiwara come prigionieri – ovviamente per gioco. Le bambine però li difendono immediatamente, esortandoli a usare maniere più cortesi. Tralasciando un esilarante Zoro che, fedele alla sua linea, replica con il classico ‘li faccio a fette‘ e un esasperato Usopp che lo richiama all’ordine, scopriamo la vera natura di Elbaf. Questo non è solo un paese di giganti e tradizioni, ma una società civilizzata che considera ciò che Usopp idolatra – avventure, duelli secolari e battaglie incentrate sull’onore – come un retaggio primitivo, un riflesso di un’epoca ormai dimenticata.
Il cecchino scopre che gli abitanti, un tempo noti come fieri guerrieri, hanno abbracciato una filosofia di pace e commercio, seguendo la volontà del defunto Re Harald. L’evidenza è sottolineata dalle sue parole:
‘Non aspetto altro che vedere come allenano i coraggiosi guerrieri su Elbaph!!‘
E addirittura rimarcata poco dopo:
‘Waaaaaaa!! Che spasso!! In altre parole, è un centro di addestramento per guerrieri!!’
Conoscete la sindrome di Parigi? E’ un disturbo psicologico temporaneo che colpisce principalmente i turisti, spesso giapponesi, in visita nella capitale francese. È caratterizzato da sintomi come ansia, disorientamento, delusione e persino allucinazioni, causati dal contrasto tra le aspettative idealizzate della città e la realtà percepita.
Vi suona familiare alla situazione? Osservate bene Usopp nel resto di tutte le vignette del capitolo, è sgomento. Il suo disincanto è progressivo. Entrambe le esperienze ruotano attorno al crollo di un’immagine idealizzata: nel caso della sindrome di Parigi, la delusione nasce dall’incompatibilità tra le aspettative romantiche su una città mitizzata e la realtà concreta; per Usopp, il mito degli indomiti guerrieri giganti si sgretola di fronte a una comunità che ha scelto di abbandonare il conflitto in favore della pace. O meglio: l’avventura per la quiete.
Questa frattura tra aspettativa e realtà offre un interessante spunto di riflessione. il pirata, che ha costruito gran parte del proprio coraggio e identità sull’ammirazione per le tradizioni di Elbaph: scopre che i giganti ne sono disgustati, si troverà quindi a dover affrontare una crisi di significato? Oppure questo momento è un’opportunità per maturare? Come i turisti colpiti dalla sindrome sopracitata devono ridefinire il loro rapporto con l’immagine di una città, così Usopp deve riconciliare il mito con la realtà e ridefinire il proprio concetto di eroismo?
Alla base di tutto ci sono le radici della storia dei giganti. Anche nella nostra realtà, i popoli scandinavi scelsero di abbracciare quella che venne definita Pax Vichinga: un progressivo abbandono delle loro abitudini sanguinarie, in favore della fondazione di colonie pacifiche nei loro possedimenti, perfino in Inghilterra. Ovviamente, Usopp non ha alcuna intenzione di dichiarare guerre o dedicarsi al saccheggio; ciò che lo affascina è il rispetto per la tradizione, scoperto attraverso Dorry e Brogy. I due, lontani da Elbaf, perpetuavano inconsapevolmente un retaggio che i vichinghi di oggi: ritengono obsoleto. Ed è qui che entra in scena Ripley.
La mia prima impressione sulla ragazza è stata quella di pensare che Nojiko avesse preso ispirazione da Wyper, adottandone il look. Un’idea, lo ammetto, puramente goliardica. Dal punto di vista pratico, la gigantessa sembra rappresentare una via di mezzo tra Loki e Saul. Non è un’educatrice rigorosa come l’ex-marine – lo dichiara lei stessa, riprendendo i bambini con un tono sgarbato e definendosi un ‘pessimo esempio’. Eppure, è anche la prima a insistere sull’importanza delle buone maniere e a ricordare Re Harald come una figura lungimirante nelle sue scelte.
Da qui nasce lo sgomento del cecchino che, abituato a Dorry e Brogy, inizia a trasecolare sentendo la nuova generazione del Warland, parlare di bon ton ed essere nauseati dalle battaglie. Mentre rimbalza sul generoso decolletè della gigantessa (Sanji potrebbe esplodere, per una cosa simile).E la suddetta, con una sola frase, cambia il mondo di Usopp:
‘Elbaph faceva paura al mondo, è vero… ma è roba di ormai cent’anni fa. Turpiloqui, violenza, scorribande, guerra…? Non siamo più in quell’epoca.‘
Conosciamo il contesto, ma non tutte le sue sfaccettature sociali; tuttavia cominciamo a intravedere un quadro più chiaro. Non completamente definito, ma sufficiente per delineare i primi tratti. Re Harald incarnava l’antitesi dell’atteggiamento di Wano. Il suo ideale non era spingere i giganti alla pratica del saccheggio, né tanto meno a solcare i mari in cerca di avversari sempre più forti, ma piuttosto ad aprire i propri confini. In effetti, la frase di Ripley – non fate la guerra, meglio commerciare con gli altri regni – appare piuttosto generica. Per logica, si riferisce al resto del mondo, poiché i giganti furono messi al patibolo per le incursioni, non certo per dissidi interni al Warland.
Un ‘dettaglio’ che cambia tutto, il commercio non solo era accettato, ma perfino incoraggiato, il che si ricollega alla mia teoria:
‘Le catene che vincolano Loki sono di agalmatolite, dettaglio che solleva una questione interessante, poiché, come ben sappiamo, questo minerale proviene da Wano. Non solo sono numerose, ma da quanto si vede, avvolgono l’intero Yggdrasil; ancor più significativo è che un singolo anello ha circa le dimensioni di Luffy in proporzione. Le dimensioni colossali e la lunghezza fanno supporre che ne sia stato usato un quantitativo letteralmente assurdo. Come hanno fatto a procurarsene così tanta senza dichiarare guerra? Se ci pensiamo un attimo, Loki è bloccato da sei anni, mentre i Mugi hanno liberato Wano solo da qualche settimana. A meno che, mantenendo la tradizione vichinga, non abbiano saccheggiato il paese dei samurai (cosa che sarebbe un buco di trama ciclopico, anche perché nessuno ne ha mai parlato e Kaido si sarebbe scatenato), l’unica spiegazione è che qualcuno abbia fatto affari con Orochi. Inoltre, è noto che la tecnica per lavorare il minerale è prerogativa esclusiva di Wano. Pertanto, per costruire questi artefatti i giganti devono aver acquistato il minerale lavorato o addirittura invitato qualcuno appositamente. Non è certo un dettaglio da sottovalutare.
– analisi capitolo 1131
E per chi pensasse ‘beh, potrebbe essere agalmatolite solo la sezione che ‘tocca’ Loki, e il resto di ferro’. Vero, verissimo. Ma rimane una duplice certezza: A. il quantitativo è comunque immenso; B. solo a Wano sanno come lavorare il minerale.
Vi è anche una doppia implicazione politica: i contatti potrebbero essere avvenuti direttamente con Orochi, oppure con il Governo Mondiale. La seconda ipotesi mi sembra francamente poco probabile, ma chi può dirlo? In fin dei conti, non conosciamo a fondo l’indole e le intenzioni di troppi personaggi per leggere le variabili della trama orizzontale. Per tentare di capire un minimo le nuove informazioni, è necessario fare un salto di 27 anni…
Sebbene desueti da un secolo (lo dice Ripley stessa) i principi dei guerrieri non erano banditi, ma regolarmente trasmessi…
… da Jarl e Jorl, le indiscusse autorità anziane che godevano del rispetto di tutta la popolazione. Ed è sempre Ripley a contestualizzare ‘Un tempo re Harald pronunciò queste memorabili parole, scontrandosi con gli anziani che danno valore alle tradizioni dei vari villaggi‘. Ovviamente – all’epoca – ci veniva detto che Madre Carmel predicava i concetti di pace, ora sappiamo che in realtà erano precetti ufficiali, decisi dal Re.
Curiosamente, è solamente Hajrudin – uno dei teorici successori al trono, ma comunque figlio illegittimo – a dedicarsi seriamente all’addestramento, mentre gli altri bambini si limitano a giocare. Jarl e Jorl, d’altra parte, sono due saggi che pur abbracciando il valore della pace, insistono nel non dimenticare le radici onorevoli dei guerrieri, cercando così di tracciare un ponte tra il passato e il futuro. L’aspetto fuorviante è che se esiste un casato principale, è inevitabile che ci debba essere anche una corte, altre figure che governano o guidano gli altri villaggi. Tre fattori però suggeriscono che non tutti fossero d’accordo con l’approccio del Re: A. Road, sebbene appaia come una parentesi comica, è profondamente radicato nell’idea che gli umani siano esseri inferiori; B. Ripley osserva che gli anziani non erano completamente concordi con le decisioni del Re; C. Loki, infine, sembra coltivare l’intenzione di seminare il panico e sovvertire l’ordine sociale vigente.
Le parole di Ripley hanno agito da catalizzatore nella mia memoria, evocando quel capolavoro che è Once Were Warriors – Una volta erano guerrieri. In chiusura del dialogo offre due osservazioni, una più intrigante dell’altra. Prima chiede a Luffy della sua ‘forma bianca’, per poi aggiungere che ‘Nella mitologia di Elbaph si narrano storie di un guerriero con quell’aspetto‘. Va notato che a pronunciare queste parole non è un semplice pirata, ma una studiosa. La cultura dei Giganti si è evoluta molto più di quanto finora percepito: infatti, gli unici a definire un ‘Dio della Guerra’ e a riconoscere in Luffy il ‘Dio del Sole’ sono Dorry e Brogy, che però sono i soli a trovarsi lontani da quel secolo di cambiamento culturale che ha trasformato Elbaph.
Quindi, su quel punto sono più attendibili le parole della ragazza, nella visione generale di Nika. Successivamente asserisce ‘Sono emozionata. Sai, noi siamo l’ultima generazione di guerrieri‘. Insomma, ai giganti non manca la brutalità spartana né la violenza fine a se stessa: manca l’onore di essere guerrieri. Si evince tanto nelle parole fiere degli anziani, quanto in quelle nostalgiche della studiosa. Pur accettando felicemente la pace, è palese, il Warland attraversa la perdita delle proprie radici culturali e tradizionali, un tempo centrali nella loro identità, ma ormai travolti dalla violenza (il colpo di stato di Loki) e dalla disgregazione sociale (se si appura un fazioso malcontento del cambio di rotta delle tradizioni).
E’ quindi plausibile, che qualcuno a Elbaph provi il dolore di un cambiamento che sembra tradire una parte profonda di sé. Loki è sicuramente tra questi. Per Ripley sembra essere invece la nostalgia non solo di un ricordo di ciò che era, ma la consapevolezza che l’eroismo e la forza che un tempo erano simboli di identità, non sono più facilmente raggiungibili. Come al solito, ci manca il movente.
Questa sera ci sarà come sempre la Fatal, doppiaggio live del capitolo tradotto e adattato dal giapponese, teorie, speculazioni, frizzi, lazzi e… i nostri auguri di Natale per voi, vi aspettiamo alle 21.00!
https://m.twitch.tv/bikeandraft?desktop-redirect=true
Ora, passiamo alla biblioteca.
La scena è breve ma ricca di dettagli, l’architettura della struttura richiama immediatamente l’immaginario del villaggio dei Bimbi Sperduti in Hook di Spielberg, con un tocco che rimanda anche agli interni di Hogwarts, ma costruita da un patito del legno. In questo caso gli input sono più semplici. Allora come si spiegano i libri che ingigantiscono? In One Piece, i poteri soprannaturali e le abilità magiche provengono dai frutti; non c’è una ‘magia di base’, e ciò che vediamo non è di certo scienza.
E’ un potere del Gufo? Saul ha ingerito un frutto? Oda non aveva sbatti di disegnare tutti i dettagli di una biblioteca immensa? Vi lascio indovinare quale sia la mia risposta. Onestamente, il fatto si ingigantiscano mi sembra solo una comodità stilistica, e ci sta tutta.
Chiudiamo questo paragrafo con una parentesi necessaria: sono anni che vediamo Robin incassare in silenzio, tenersi tutto dentro e sopportare ogni tipo di ostacolo. Vederla sorridere oggi vale più di qualunque riflessione intellettuale. Il Governo Mondiale, Spandine, l’intera Marina e la popolazione – sebbene ignara – non sono riusciti a tenere testa a una bambina lasciata a se stessa.
Non è la definizione quintessenziale di giustizia poetica?
L’insostenibile peso
‘Niente di ciò che ci addolora può essere definito piccolo; la perdita di una bambola da parte di un bambino e la perdita di una corona da parte di un re sono eventi della stessa portata.’
– Mark Twain, Quale fu il sogno?
E infatti, è di quelli che un tempo furono bambini e di Re che si parla.
Il dialogo tra ‘Mosa’ e Loki si distingue per la sua natura ambigua, aperta a molteplici interpretazioni. Anche il loro modo di interagire risulta sfumato e difficile da decifrare. L’aspetto del lumacofono, poi, è volutamente ingannevole: solitamente sappiamo che questo oggetto riflette la fisionomia dell’interlocutore. Se dovessimo seguire questa logica, dovremmo restringere la lista a personaggi con folte barbe bianche. Alternativamente, seguendo il cartiglio potremmo supporre che il modello del lumacofono sia stato progettato appositamente per resistere al freddo. Credo abbia più senso concentrarsi sulla conversazione, perché con troppe variabili rischieremmo solo di perdere tempo.
Loki dice a Mosa che sta portando con sé qualcosa, e subito dopo contestualizza le dinamiche facendo riferimento a un evento terrificante vissuto dall’eminenza grigia. Al momento, sembra ragionevole supporre che si riferisca al suo stato d’animo. Il rapporto tra i due è chiaramente amichevole, e ne abbiamo una prova diretta. Innanzitutto Loki si mostra disponibile fin da subito: appena riceve la chiamata non reagisce con sprezzo o la sua solita insolenza. Piccola parentesi: gli alleati di Mosa sono già a Elbaph, visto che qualcuno deve pur avergli portato il lumacofono, e tenere d’occhio il perimetro nel caso arrivassero i giganti. Non è di certo una conversazione autorizzata.
La conoscenza tra i due risulta dal dialogo di lunga data, la natura benevola del rapporto viene sancita da questa frase del vichingo:
‘Anche io sono frustrato, lo sai… anche se non ci siamo mai visti né incontrati, io e te siamo amici di lunga data…’
Non so voi, ma io direi qualcosa del genere a un amico, se volessi esprimere la mortificazione di non essere stato al suo fianco nel momento del bisogno. Anzi, possiamo spingerci oltre, perché subito dopo Loki manifesta il suo disappunto in modo feroce e protettivo, aggiungendo che, al suo posto avrebbe raso tutto al suolo, falciando chiunque. E qui arriva il primo dettaglio inquietante: il personaggio in questione non dice di non essere in grado di difendersi, ma di non ‘volere arrivare fino a quel punto‘. In altre parole, Loki stava indirettamente rimproverandolo per la sua natura troppo indulgente.
Sempre che questo non sia l’effetto voluto da Mosa, nel caso in cui desiderasse spingere il gigante al limite per farlo diventare ‘nemico del suo nemico’, o, più in generale, se il suo scopo fosse far commettere a Loki qualcosa in sua vece. Qui entra in gioco l’aspetto del lumacofono: l’interlocutore potrebbe essere chiunque. Possiamo però fare due precisazioni: innanzitutto, non ci sono riferimenti verbali di genere – potrebbe essere perfino una donna; in secondo luogo la mancata corrispondenza fisica dell’apparecchio, che in teoria serve a mascherare qualcuno che potremmo riconoscere. Questo dettaglio ci permetterebbe di ricostruire gli eventi passati e comprendere le ragioni di Loki, e forse, anche di altri personaggi.
Il dialogo procede, e conferisce a Loki delle sfaccettature… tsundere.
Risponde con stizza alla clemenza di Mosa (notate bene, lo definisce ‘nobile’, un titolo che di certo non si riserva a un nemico). Gli chiede persino di dargli ascolto, nonostante i concetti espressi siano altisonanti – parla di annientare fino all’ultimo nemico o di come quest’ultimo tornerà sempre a rialzarsi per combattere. Eppure, l’atteggiamento che traspare è chiaramente preoccupato. Cosa gli risponde dunque l’interlocutore? Un semplice ‘Grazie!’, parola che suggerisce come abbia colto l’apprensione nella voce del vichingo, rivelando la sua vulnerabilità dietro la maschera della stizza.
Il dialogo tra i due si inasprisce quando a Loki viene attribuita della gentilezza, la reazione è immediata e rabbiosa, un riflesso pavloviano che non lascia spazio a interpretazioni. La grammatica del disegno esprime chiaramente una reazione ‘tsundere’ da manuale: da una parte la consueta arroganza e sprezzante sicumera, dall’altra, il fastidio che emerge nel momento in cui Mosa osserva come, sotto la sua solita aggressività, si nasconda una certa premura. E qui l’espressione di Loki cambia radicalmente: da una postura di solidità, passa a un rigetto totale, un cambio di registro che rivela l’impossibilità di accettare l’idea che qualcuno possa percepirlo come una persona buona.
Reagisce aggressivamente alla notizia che le sue parole potrebbero sembrare cortesi, è infastidito da quella percezione. L’idea che qualcuno possa vedere un lato più sensibile (più umano) in lui lo fa reagire in modo difensivo, attaccando immediatamente. La sua aggressività sembra una reazione alla paura di essere percepito come debole, come se la sua forza e la sua identità di guerriero potessero essere minacciate dalla cordialità. E dalla fiducia.
Se avete seguito i miei articoli recenti, saprete che considero Lola come un possibile fattore scatenante, una teoria che ho già sviluppato a fondo. Non so se avremo conferme ma una cosa è certa, ed è qualcosa che viene esplicitamente sottolineato nel capitolo: la politica di Harald entra in contrasto con gli intenti di Loki. Che siano di natura ideologica o personale, le ragioni di Loki sembrano trovare maggiore affinità con le incertezze e le esitazioni di Jarl e Jorl. L’elemento scatenante, quindi, appare come un riflesso che si radica tanto nel piano sociale quanto in quello personale. Non si tratta di una novità, questa mia ipotesi risale infatti al capitolo ambientato nell’inferno ghiacciato:
‘Il 1131 è un contesto narrativo che mescola forza e vulnerabilità, mettendo in gioco sia la memoria storica che le scelte individuali.
Credo che il sensei voglia davvero metterci KO questa volta: serve un villain, giusto? E ripensandoci, c’è un pensiero che non riesco a togliermi dalla testa.Il ‘Regno dei morti’ del titolo non è solo un luogo fisico; ma un simbolo di chi è rimasto intrappolato nelle proprie leggende? Forse incapace di rinnovarsi, bloccato tra la nostalgia di un passato glorioso e la paura di affrontare un futuro che, forse, non promette altrettanta grandezza.’
– analisi capitolo 1131
I villain come Doffy ridono sprezzanti, alzano la testa al cielo delirando di onnipotenza e menefreghismo. Loki adotta lo stesso atteggiamento. Guardatelo in tutte le vignette: sguardo fisso e ghigno perenne. Poi osservatelo nell’ultima, quando minaccia Mosa. Non c’è più risata, solo una leggera piega amara della bocca, una minaccia fisica e… lo sguardo abbassato. Quel tipo di sguardo di chi non vuole, o non riesce, a sopportare il peso della propria vulnerabilità.
Vi parlavo di tre personaggi dall’ambiguità morale, ergo manca la coppia finale.
Anzitutto, voglio essere totalmente trasparente: non ho mai preso in considerazione l’ipotesi del gemello, semplicemente perché non la ritenevo credibile, nemmeno lontanamente. Partiamo dalle certezze: quella figura è Shanks, poco da aggiungere. E visto che parlo sempre di plausibilità, non confermo la teoria, perché One Piece non è un’equazione, ma se dobbiamo essere pratici, l’unica spiegazione razionale è che si tratti effettivamente del fratello. Personalmente, mi fa storcere il naso: ho sempre trovato poetica l’immagine di Shanks, e questa teoria rischia di deformare l’idea di unicità del pirata, trasformandolo un Drago Celeste che porta avanti l’eredità della pirateria. Comunque non posso fare a meno di sentire un brivido lungo la schiena, perché sarebbe pretenzioso dare giudizi definitivi senza conoscere la natura stessa della narrazione.
Dal punto di vista pratico, Figarlad, durante gli eventi di God Valley incitava i suoi figli a osservare le sue prodezze. Shanks venne trovato nel baule perché abbandonato. Sì, abbandonato: non riesco a immaginare un Cavaliere di Dio che non si scateni per riavere ciò che è suo. A meno che… non gli sia stato imposto? Ragionandoci, perché arrivano proprio ora a Elbaph? Due fattori sembrano in gioco: o esisteva un contatto precedente con qualcuno, oppure solo adesso Garling ha acquisito l’autorità necessaria per prendere decisioni. Questo è un fatto. Lui stesso ha promesso ai Gorosei l’epoca più buia mai vista e, osservando il pentacolo, risulta evidente che questo sia legato al potere di Imu. Infatti il simbolo è identico, ma non presenta il numero di riconoscimento, suggerendo che siano stati trasportati emissari diversi dagli Astri.
Rimane però una grande incongruenza: quante cose avrebbe potuto evitare Imu con una capacità tanto universale? L’unica spiegazione razionale è che il soggetto, o uno dei soggetti, doveva essere prima fisicamente presente per consentire al potere di aprire un canale diretto, averne le coordinate. Questo spiegherebbe due aspetti fondamentali: Saturn non si è teletrasportato da Vegapunk per non rivelare la propria natura, e questo contatto da parte del Governo… non è il primo.
Ci sono punti che accreditano sia il gemello di Shanks, e altri che vacillano. Tanto per cambiare, l’instabilità della verità è nascosta dietro le pieghe dell’incertezza.
Come sempre vi consiglio il video del Re, tra ricerca lessicale, analisi trasversale, spunti storici e… non vorrete mica perdere la sua reazione alla vista del clone di Vegapunk, vero? A voi!
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L’eco delle scelte
Spero di avervi intrattenuti, spinti a riflettere e ragionare.
Il capitolo 1134 è stato creato seguendo un imperativo, ossia ribaltare il nostro punto di vista.
Perché una sceneggiatura, se ben scritta, non si limita a narrare: scardina.
Questa continua oscillazione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato è uno degli strumenti più distintivi per stimolare la mente. Il gioco di ‘prospettive’ non è solo una tecnica, ma una vera e propria riflessione sulla percezione soggettiva della realtà. L’eroe diventa villain, il cattivo si fa giustificabile, e l’intero sistema morale che costruisce la saga si sgretola sotto il peso della continua ambiguità.
Il ritratto di una società in cui i ruoli non sono mai definitivi, e il giudizio morale diventa l’eco di una scelta personale, anziché una verità assoluta.
Godiamoci il viaggio, genti
‘Keep you in the dark
You know they all pretend
Keep you in the dark
And so it all began’– Foo Fighters, The Pretender
Cenere