Un timoniere tra pirati che non sanno nuotare: Jinbe è davvero utile?

da Tore
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jinbe timoniere

Salve a tutti!

Ritorno a scrivere dopo una lunga pausa. Mi sa che la quarantena mi ha lasciato troppo tempo per pensare. Un po’ come tutti, mi sono ritrovato ad avere più tempo da impiegare in qualche maniera e sono approdato ad una serie tv a tema piratesco. Ovviamente, siamo qui per scrivere, leggere e discutere di ONE PIECE, il capolavoro del maestro Oda, ma voglio riflettere insieme a voi su quanto quest’ultimo sia diverso da qualsiasi altra forma di fiction che tratti lo stesso tema.

La mia riflessione nasce da una dichiarazione del maestro Oda, che ha confessato quanto sia difficile disegnare una battaglia navale “quando sulle navi hai persone più potenti dei cannoni”. (cfr. https://bit.ly/3ao3qVn). Arrivati a questo punto nella storia, con l’aumento del numero di parti in campo, talvolta anche contemporaneamente (più alleati contro più nemici su più campi con più scopi), ci si aspetterebbe un aumento di complessità non solo della trama ma soprattutto degli scontri, non solo in termini di rapporti di forza (punto dolente di tutti gli shonen) ma soprattutto in termini di tipologia di scontro e strategia. Finora il maestro Oda, che ci ha abituato ad una gestione degli scontri molto semplice, con la riproposizione di saghe molto simili, com’è giusto che sia in un battle shonen, ma il rischio è quello di ritrovarsi presto in una nuova Marineford: una battaglia per la supremazia di dimensioni colossali, con trecento (a dir poco) antagonisti coinvolti in una sorta di royal rumble che lascia poco spazio alla logica ed apre a mille interpretazioni fuorvianti. È in questi momenti che si rivalutano saghe come Long Ring Long Land ed il Davy Back Fight, dove non si vinceva solamente con le mazzate e lo scontro veniva presentato in modo alternativo.

Il paradosso

È davvero strano che in un mondo quasi totalmente sommerso dall’acqua gli scontri avvengano solo sulla terra ferma. Certo, quasi tutti i personaggi sfruttano i poteri dei frutti del Diavolo, non possono nuotare e questa soluzione sembra l’unica possibile… finora.

Tornando indietro ai primi volumi di ONE PIECE, il confronto dell’uomo con il mare era più sentito, basti pensare alla difficoltà del nostro protagonista a lasciare la propria isola natia, il mulinello che ne distrugge l’imbarcazione e lo costringe alla deriva in un barile, la barchetta a vela con cui inizia il viaggio insieme a Zoro, il nuvolone che in pochissimo tempo ha affondato l’imbarcazione degli scagnozzi di Buggy, l’immenso up-grade rappresentato dalla compianta Going Merry, il confronto con l’ammiraglia di Don Krieg ed il significato della sua distruzione per mano di Mihawk.

La macro-saga dell’East Blue è senz’altro la più acerba ma anche la più fedele all’idea originale, una storia di pirati e marinai, uomini di mare, con la necessaria dose di sovrannaturale, senza molto a pretendere, una storia per bambini o poco più, un battle-shonen che doveva intrattenere i lettori con qualcosa di caratteristico, un potere peculiare per i protagonisti della storia, i frutti del diavolo. Con il successo della serie, la corrispondenza tra lettori ed autore, la conferma dell’interesse per i poteri dei personaggi, la storia si è evoluta sviluppando prevalentemente quell’elemento, basti pensare alle saghe della grand line caratterizzate dall’apparizione di personaggi esclusivamente “fruttati”. Quello che è sempre mancato in ONE PIECE, anche nell’East Blue, è la complessità del navigare. Non abbiamo familiarità con le manovre, le convenzioni, le tattiche di navigazione; qualsiasi evento avverso in mare viene superato grazie alle doti individuali di alcuni membri dell’equipaggio e/o grazie a qualche power-up tecnologico o peggio ancora a botte di culo (che in questo caso si sovrappongono). Finora il maestro Oda non ha affidato né ai pirati né alla marina la divulgazione di queste informazioni, perché non ce n’è mai stato bisogno, perché ONE PIECE è sempre stato un battle shonen, manga per ragazzi(ni) incentrato sui combattimenti. Prima della pubblicazione di ONE PIECE, forse ai tempi del one-shot Romance Dawn, il giovane Eiichiro Oda avrà fatto delle ricerche sui pirati, sul loro mondo, sui nomi diventati leggende e forse avrà letto qualcosa sulla navigazione e, consigliato o meno dal suo editor, ha evidentemente deciso di limitarsi alle informazioni essenziali ad impreziosire il suo “fumetto per ragazzi” giusto per non farlo identico ad altre pubblicazioni, ma neanche troppo diverso. I “combattenti sovrumani” protagonisti di questo manga vivono in mezzo all’acqua ma non sono uomini di mare.

L’uomo e il mare

I pirati e i marinai, quelli dei romanzi e quelli che hanno lasciato un’impronta nella storia, avevano in comune una cosa: il mare, questa sterminata distesa d’acqua, così vasto da scomparire all’orizzonte, così profondo da celarne la fine, così brulicante di vita, diventa in un attimo il nulla assoluto, la morte, per l’uomo che non è in grado di servirsene, conviverci, perché in fin dei conti non è venuto al mondo per viverci dentro, ne è profondamente incapace e soprattutto non ha i mezzi per domarlo. I pirati e i marinai erano quegli uomini che non avendo nient’altro intorno, pur andando contro la loro natura di animali terrestri, dovevano vivere nel mare, con il mare e di mare, sfruttando il loro istinto primordiale di sopravvivenza e adattamento, assecondando un’entità tanto materna quanto mietitrice. La lontananza dalla civiltà, con i suoi confort e le sue convenzioni, distingueva i pirati dagli uomini del vecchio mondo, che li chiamavano “selvaggi”, ma loro si definivano “uomini liberi”. Nel mar dei Caraibi, che separava frammenti di miseria da altri frammenti di desolazione, il mare stesso rappresentava tutto il creato e il più piccolo spostamento un’impresa titanica, poiché succube dei capricci delle onde. In quel mondo così nuovo quanto remoto, così ricco di speranze quanto povero di mezzi, l’uomo era solo dinnanzi al mare eppure aveva l’ardire di affrontarlo e di dichiararsi suo padrone, ma mai impunemente: il mare trovava sempre il modo di richiamare a sé anche il più ardimentoso di essi. 

Tutto questo è navigazione, l’invenzione dell’uomo per sopravvivere al mare, ed è proprio questo che manca nel manga più famoso del mondo sulla pirateria.

La frammentazione del mondo di ONE PIECE si rifà ovviamente ai mari del mito ed è ben rappresentata dalle diverse realtà delle isole, tutte equamente circondate da quell’unico ammasso d’acqua, che cambia nome, ma è sempre lo stesso mare che isola gli uomini gli uni dagli altri. Il tutto, tutto ciò che c’è intorno, tutto ciò che è noto, che diventa niente, perché niente può fare l’uomo dinnanzi al mare. È così che pirati e marine diventano eroi, affrontando con le loro forze una realtà così crudele, fatta d’acqua e nient’altro, liberando gli uomini dall’oppressione dei propri limiti. In ONE PIECE, il concetto di liberazione è molto più importante che in qualsiasi altra fiction sul tema, perché quel mondo è stato privato della sua storia e l’unica verità è quella che gli uomini sono stati in grado di scoprire con le loro forze, è tutto quello che hanno, il mondo conosciuto è racchiuso nelle linee tracciate con la china su carta nautica e si espande con la curiosità di chi lo va scoprendo.

La maturità

Un bambino che legge ONE PIECE non può certo capire le difficoltà del vivere quotidiano, per cui come glielo spieghi quanto è difficile vivere in un mondo di solo mare e quanto è forte chi se ne fotte e lo sfida tutti i giorni? È qui che nasce la necessità dei superpoteri e dei superlimiti. Se gli unici in grado di affrontare il mare hanno i superpoteri, vuol dire che per affrontare il mare bisogna essere forti, e se chi ha i superpoteri può annegare cadendo in acqua, vuol dire che anche il più forte può morire in mare, perché è pur sempre un uomo. Un adulto che legge ONE PIECE, conosce fin troppo bene le difficoltà della vita, e questa conoscenza gli dona una diversa chiave di lettura, aprendo a una diversa interpretazione, più allegorica, forse più mature: non si vince più a suon di pugni, ma di principi. Qui si cela il successo inter-generazionale di ONE PIECE, pur essendo un “fumetto per ragazzi” (per età anagrafica o interiore). Va detto però che arricchendosi di contenuti ed influenze, e arrivati anche così avanti nella storia, l’opera è cresciuta, maturando insieme ai suoi lettori e affrontando tematiche sempre più serie e più vicine ai lettori ormai adulti.

Siamo abbastanza cresciuti per affrontare l’incognita della navigazione? Siamo pronti ad un mondo in cui non bastano neanche i superpoteri per affrontare il mare in burrasca? Ma soprattuto… il maestro Oda è pronto? Forse sì. Ci ha messo quasi trent’anni, ma la ciurma di Cappello di Paglia ha finalmente un timoniere! Ditemi pure che è solo una mia impressione, ma qualcosa potrebbe cambiare. 

Abbiamo letto il manga fin qui con la falsa convinzione che per quanto difficili fossero le condizioni atmosferiche, Nami avrebbe sempre trovato il modo di affrontarle e di portarci alla prossima isola, che nel peggiore dei casi Franky avrebbe tirato fuori una nuova abilità nascosta della Thousand Sunny e che nessun ostacolo avrebbe resistito alla forza del capitano Luffy e del suo equipaggio. 

Dalla saga di Totto Land, qualcosa è cambiato, avete notato? Esemplare l’episodio della fuga dall’arcipelago con la flotta dell’imperatrice all’inseguimento. In quell’occasione, con la sua abilità al timone, Jinbe riuscì a portare la sua promessa ciurma in salvo. Sulla base di quanto detto finora, l’ingresso del Cavaliere del Mare in ciurma rappresenta un punto di svolta: il maestro Oda ha cristallizzato nel ruolo del timoniere l’essenza dell’uomo di mare, detentore dell’arte della navigazione. In una ciurma capitanata da un imbecille a cui piace solo menar le mani, mi ero ormai arreso all’idea che la ciurma potesse superare accerchiamenti nemici o avversità climatiche solo a botte di culo, ma adesso riesco ad intravedere un barlume di speranza.

In conclusione

Vi ho sommerso di chiacchiere perché non sarei riuscito a spiegarvi il mio pensiero in altro modo ed era importante per me far capire il concetto di navigazione nella relazione tra l’uomo e il mare, che è alla base di quest’opera. Gli scontri seri che verranno, contro l’imperatore Barbanera, la Marina, il Governo Mondiale, lo scontro finale che libererà il mondo, saranno tutte battaglie imponenti che dovranno impiegare tutte le alleanze strette finora ed ho il timore che non ci sia un pezzo di terra abbastanza grande da ospitare così tante parti in causa, perciò alcuni scontri potrebbero avvenire in mare, saranno quelle le battaglie navali di cui parlava Oda nelle recenti dichiarazioni?

Inserendo di un timoniere nella ciurma, Oda apre finalmente ad un nuovo livello di complessità, come accadde con la figura del carpentiere, introdotta durante la saga di Long Ring Long Land. Ai tempi, l’arruolamento di Franky cambiò radicalmente le sorti della ciurma, improvvisamente capace di affrontare nuove sfide grazie al power-up tecnologico. Ora, con l’inserimento una figura che possa interagire a pieno diritto con navigatore e armatore sfruttando appieno il potenziale della nave, sono finalmente pronto ad assistere, senza pregiudizi, ai prossimi sviluppi.

#StayHard #ZoccoloDuro #VecchioCuore

-Tore-

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