‘That all I need is
to find the middle pillar path
to sit like the sun…‘– Mudvayne, Not falling
Salve genti, nuova analisi, capitolo 1137: pillola rossa o pillola blu?
Quale scegliereste? La verità cruda o un’illusione rassicurante? Il 1137 ci rende tutti novelli Neo, in bilico nella difficoltà di distinguere ciò che è reale da ciò che è artefatto. Ricordate i temi che propongo da settimane?
- Il DNA e la natura dei giganti antichi (su cui ho elaborato la mia teoria molto prima che si parlasse dei corni).
- Il lato torbido della famiglia reale e i suoi segreti.
- L’approssimarsi di un’era buia, non appena Garling è stato investito del potere.
Il nuovo capitolo esplora questi temi e ne apre di nuovi, trasformando intuizioni passate in realtà concrete. Sullo sfondo, la Warland dei sogni infranti. Dove Harald viene ricordato come paladino della pace, Hajrudin come Martin Luther King (con tanto di I have a dream), mentre Loki – forza primitiva, incontrollabile – si erge come cantore della fine del mondo. La parola chiave di oggi è… perturbante, mes amis, teniamola a mente poiché nasce dalla collisione tra il noto e l’ignoto, rivelando l’instabilità delle certezze che diamo per scontate. Procediamo con ordine.
E’ il momento dell’Elzeviro…
Perché la rossa
Who’s Who non si intravede nemmeno di sfuggita, naturalmente. La lentezza di queste mini-avventure mi ha fatto riflettere su come sarebbe leggere One Piece se fosse pubblicato con cadenza mensile.
Il che mi dispiace, considerando che gli eventi più recenti hanno reso queste digressioni decisamente più avvincenti. Non conosciamo ancora l’identità del deus ex machina dietro i crimini commessi nel paese dei samurai, ma il parallelismo tra i due viaggi – Yamato e Oden – possiede un fascino intrinseco, arricchito da qualche graffio satirico nella nuova evoluzione di Wano. Quindi, mentre Tama si cimenta nella millenaria arte ninja dello sbircio dietro l’uscio, Yamato… fa lo stesso. Personalmente la ricordavo abbattere porte a calci o ridurre pareti in ghiaia finissima.
O vogliamo parlare dei ‘gentiluomini’ in primo piano? Facce truci che trasudano la stessa bellicosità di un tappo di sughero e la medesima espressività di un cubo di porfido. Ehi, ma son del mestiere questi? (cit).
A dirla tutta, sembrano più dei criminali occasionali. Lo spilungone in particolare ha negli occhi quel lampo di acume che richiama subito alla mente Lennie di Uomini e topi (con il dovuto rispetto per Lennie, s’intende). Indossano tutti dettagli da fanteria base di Kaido: cinturoni borchiati, mantelli e spallucce in pelliccia. Ma quelle orecchie? Non derivano certo da un Frutto Smile: la produzione è stata interrotta, e non possono essere tutti della stessa specie animale. Dunque l’ipotesi più probabile è che siano copricapi, un omaggio al loro leader. È forse tornato il capitano Kuro?
Passando a toni più seri, tutti indossano haori tradizionali, suggerendo che siano abitanti del luogo abbigliati con dettagli riconducibili alle Cento Bestie. Gli interni del rifugio sono ben realizzati, e questo avvalora l’idea che il rifugio sia opera di Minatomo. Al momento, però, non ci sono elementi sufficienti per trarre conclusioni certe. Le ipotesi rimangono due: o questa parentesi è un caso isolato, scollegato dai crimini principali, e costituisce una delle tappe del pellegrinaggio di Yamato; oppure risolveremo il mistero e la guerriera proseguirà il suo viaggio. Nella speranza che il ritmo della narrazione trovi un po’ di slancio.
E’il momento di iniziare, One Piece non è certo un trattato accademico: non serve scomodare Platone con il mito della caverna, Baudrillard e la simulazione, o Cartesio e il dubbio sulla realtà. Tuttavia, forse anche il popolo di Elbaph – esattamente come i giganti sparsi per il mondo – deve ancora confrontarsi con alcune verità scomode.
Che cosa suggeriva Morpheus a Neo? La verità non può essere spiegata: deve essere vissuta.
Signore e signori: capitolo 1137…
La giustizia e il rimorso
‘C’è una pazienza selvaggia: tenace, instancabile, persistente come la vita stessa.’
– Jack London, Il richiamo della foresta
Il capitolo sia apre con eventi legati al passato ma coniugati al presente.
Il balloon iniziale ci fornisce subito informazioni rilevanti: Harlan non fu ucciso sei anni prima – come avevamo ritenuto in seguito all’incatenamento di Loki – bensì 14. Un dettaglio che rimescola le carte in tavola e cambia la prospettiva generale. Dato che siamo privi di un point of view e di contesto chiari (Harald è ancora venerato, ma era davvero una persona giusta? Il figlio viene ritenuto un demone, è davvero la pura verità?), possiamo solo ricostruire parzialmente i fatti.
Le intemperanze di Loki non vennero mai punite durante la sua adolescenza, una verità condivisa da tutti i giganti. Nel corso degli eventi, il principe giunge alla decisione drammatica che già conosciamo: uccide (apparentemente) il padre e si appropria del frutto. Ma il crimine avviene 14 anni prima, mentre l’incatenamento avviene solo 6 anni fa, il che implica che per ben 8 anni Loki sia stato libero di agire senza restrizioni. Questo dettaglio rivela la natura degli sviluppi successivi:
A. Il nostro punto di vista, che rispecchia quello dei Mugiwara, giustifica la nostra lunga ignoranza degli eventi che accadevano nel mondo. È dunque plausibile che Loki abbia scatenato il caos ben al di fuori del Warland, e si spiega perché la Marina gli abbia imposto una taglia.
B. Colui che parlò ai Gorosei di un certo pirata fu Shamrock, il che implica che il piano in atto oggi non fosse un’improvvisazione, ma fosse stato già ideato molto tempo prima. Inoltre, chiaramente gli Astri non acconsentirono; solo con l’ascesa al potere di quel fanatico di Garling è stato possibile concretizzare.
C. I giganti non possono nulla contro Loki. È stato necessario l’intervento di Shanks (indipendentemente dalla sua posizione rispetto al principe) per fermarlo, e così Loki è stato imprigionato mentre il Rosso acquisiva il titolo di Imperatore.
D. Possiamo dare credito alla mia ipotesi generale sugli Ammiragli che vengono messi a parte di alcuni segreti (sopportandone il peso da soli), basti pensare alla reazione di Sengoku alla vista di Shanks in quel di Marineford.
Non male come introduzione, vero? E non siamo nemmeno arrivati al cuore della questione.
Da allora, nessuno ha più osato avvicinarsi al castello reale; vi sono state solo guardie incaricate di sorvegliarlo. Questa è la prima osservazione sensata di Road. Nami si fa seria, Zoro – cresciuto a pane, nutella e assalti – intuisce che la forzatura sia avvenuta dall’interno, mentre Luffy, attivando il suo unico neurone, quello che gli consente di scegliere tra mangiare, dormire o esplorare, opta per la terza. Fondamentale è la successiva osservazione dello spadaccino: i segni dell’effrazione sono recenti. Tra poco approfondiremo. Prima, però, è necessario un altro punto di valutazione:
- Siamo ancora privi di una visione d’insieme sulla società di Elbaph. Road afferma che nessun cittadino comune come lui poteva avere il privilegio di visitare il castello. Fin qui, tutto torna; nessuna corte medievale permetteva al popolo di accedere ai palazzi reali. Deve quindi esistere una fascia privilegiata di nobili, una casta superiore rispetto alla popolazione che abbiamo visto finora, probabilmente escludendo figure di rilievo come Jarl.
- Come già detto, il castello è fatiscente, dunque non c’è più chi detiene il potere. Ma allora chi amministra il Warland? Nei villaggi esistono signorotti locali, quei nobili di cui parlavamo prima, che si sono divisi le terre? O forse ognuno di loro fa riferimento a un anziano come Jarl? Una figura che magari non governa direttamente, ma che ricopre un ruolo di consigliere rispettato per la sua esperienza e anzianità? (Ricordiamo che i giganti più vecchi rispettavano, ma non approvavano, gli ideali pacifici di Harald).
- Il re non era di certo Gandhi, anzi, non lo fu inizialmente, poiché era apprezzato come guerriero supremo – una delle qualità che sicuramente lo fecero salire al trono. A questo punto, mi chiedo che razza di bestia sia Loki, visto che non viene mai specificato se abbia affrontato il combattimento prima o dopo aver ingerito il frutto. Diamine, questa saga promette sempre meglio.
E qui arriviamo ad una svolta, astratta, impalpabile, impercettibile, ma potenzialmente terrificante.
Vi avviso, prendetelo come un ragionamento aperto, anzi, apertissimo, poiché il collegamento mitologico è talmente evidente da farmi sospettare si tratti di un’aringa rossa – la tecnica di depistaggio preferita da Oda.
Road, atterrito, descrive il castello come un covo di fantasmi vendicativi, ma non utilizza un termine qualsiasi: parla di Onryō. Ma chi sono queste figure? Ecco un quadro completo. Le Onryō sono spiriti vendicativi del folklore giapponese, noti per la loro capacità di tornare nel mondo dei vivi per infliggere vendetta su coloro che li hanno offesi o causato sofferenza durante la vita. Questi spiriti sono spesso legati a emozioni intense come gelosia, odio o rabbia, che impediscono loro di trovare pace nell’aldilà.
Generalmente rappresentate come figure femminili, riflettono una società patriarcale in cui le donne, spesso prive di potere, subivano ingiustizie (sebbene in alcuni racconti esistano anche spiriti maschili). Temute per la loro capacità di causare danni nel mondo dei vivi, le Onryō potevano infliggere malattie, sventure e persino la morte a chi aveva suscitato la loro ira. In alcuni racconti, la loro vendetta si estendeva ben oltre gli individui responsabili, colpendo intere famiglie o comunità.
Uno degli esempi più noti è la storia di Oiwa, protagonista del dramma kabuki Yotsuya Kaidan. Tradita e avvelenata dal marito, Oiwa ritorna come spirito vendicativo per perseguitarlo, diventando uno degli archetipi più significativi di questa figura nella letteratura e nel teatro giapponese. Le storie di Onryō trattano temi come l’importanza dell’onore, le conseguenze del tradimento e la potenza delle emozioni represse, fungendo da monito sulle ripercussioni delle azioni malvagie e sull’importanza di risolvere i conflitti in vita per evitare conseguenze nell’aldilà. Sono l’amplificazione postuma della giustizia e del rimorso.
Spiriti femminili vendicativi, due relazioni che hanno generato altrettanti eredi al trono, ma uno di questi non è stato riconosciuto, divenendo un figlio illegittimo. Una donna scomparsa, una regina venuta a mancare subito dopo la nascita del figlio. Sarebbe troppo semplice per essere vero. Per ora bisogna essere pragmatici.
- I fantasmi, in One Piece, esistono. Basti pensare a Thriller Bark. Ma allora, qualcosa non è entrato nel castello, bensì ne è uscito? Sì. Ma essendo un fantasma, non avrebbe certo avuto bisogno di sfondare una porta. Di certo qualcuno o qualcosa è stato lì per 14 anni.
- Ora, considerando il nostro deficit di informazioni, va detto che Harald potrebbe benissimo essere stato un uomo buono e giusto. Ma non dimentichiamo che Oda si diverte spesso a prendere in giro i lettori, a giocare con le nostre aspettative. Potrebbe averci offerto questo semplice parallelismo per spingerci a fare elucubrazioni, esattamente come sto facendo ora.
Vediamo, per puro piacere intellettuale, i risvolti che si intrecciano. Anche se Harald fosse stato un buon marito e un padre presente (tutto ciò che emerge dalle sue descrizioni di persona retta), la situazione non sembra indicare un tradimento classico, bensì una relazione precedente, degna di rispetto. E il dramma sarebbe proprio questo: Harald sposò la madre di Loki, che divenne regina. Perché Elbaph non avrebbe mai accettato la madre di Hajrudin come tale. Questo suggerisce che il re fosse politicamente e culturalmente costretto a troncare quella relazione, a non riconoscere il suo primogenito, e probabilmente a rinunciare alla donna che amava davvero.
Il Warland, in virtù della purezza del sangue (ne parleremo più avanti), separò una famiglia probabilmente felice. Come reagì il sovrano? E, soprattutto, come lo visse la regina mancata? Sia chiaro: ormai mi conoscete. Se avessi una teoria la scriverei esplicitamente. Quello che presento qui è solo un ragionamento che non potevo ignorare, e il rigore del recensore mi impone di annotarlo. Si rivelerà una bolla di sapone, come le bambole kokeshi a Wano? O avrà qualche fondamento? Lo scopriremo più avanti, mes amis.
Vi ricordo intanto che stasera vi aspettiamo in Fatal, doppiaggio del testo tradotto e adattato dal giapponese, idee, speculazioni, teorie e tanta (taaanta) ilaritade, ci vediamo alle 21.00!
https://m.twitch.tv/bikeandraft?desktop-redirect=true
Chiudendo il paragrafo vi faccio presente che, in molte culture antiche, la purezza del sangue era legata alla nobiltà, alla discendenza, e alla legittimità del potere. Era sinonimo di superiorità sociale, politica e razziale. Analogamente in altre culture, come quella giapponese o quella indiana, l’idea di una discendenza pura e incontaminata aveva significati legati all’onore, alla castità, e alla preservazione della ‘razza’ o della classe.
Il legame di sangue rappresenta anche l’idea che la famiglia è unita da un vincolo indistruttibile. Qui, invece, qualcosa è andato in frantumi.
Sotto la pelle
‘Risveglia la razza ferina’
– Jack London, Il richiamo della foresta
Le citazioni di oggi riguardano esclusivamente Jack London perché l’adattamento dal lupo al cane – nel suo capolavoro – richiama la transizione tra gli antichi colossi, come Oars, e la popolazione odierna di Elbaph. Personalmente spero che trovino un equilibrio, esattamente come nel libro.
La madre di Hajrudin non era considerata idonea come regina per la sua appartenenza a un altro regno o, forse, per la presenza delle corna (la seconda non mi convince particolarmente, parliamo comunque di cittadini integrati). Sono proprio questi contorni sfumati a non farci intuire il disegno generale. Non è chiaro infatti se si faccia riferimento a un dominio interno al Warland oppure a un paese esterno all’isola (ricordiamo la vignetta in cui, dopo che Linlin rimane sola, si intravedono giganti sparsi in diverse parti del mondo). Eppure al momento questo dettaglio conta poco: gli odierni abitanti di Elbaph non desiderano essere guerrieri. La nostalgia di Ripley per un passato che appare perduto è, per quanto mi riguarda, un dettaglio affascinante e potenzialmente significativo.
Perché inculcare nei bambini il rifiuto della violenza, mentre figure come Jorl e Jarl continuavano ad addestrarli nella via della spada? Continuando a ribadire, pacatamente, il valore di determinati principi, ma senza contrapporsi apertamente al sovrano? Più di ogni cosa, quale significato si cela dietro il gesto estremo di Harald, che arrivò a strapparsi le corna? Forse il popolo vichingo teme la sua stessa furia. Se consideriamo che, nei secoli più recenti (soprattutto nell’ultimo) i giganti si sono civilizzati, non dobbiamo dimenticare che in tempi non sospetti furono predoni che razziavano senza pietà altri paesi, come dimostra l’esecuzione pubblica organizzata dalla Marina e poi fermata da Madre Carmel. Perché dunque tanto impegno nel prendere le distanze dal proprio sangue antico? Perché ritenere puro soltanto quello di Elbaph?
È plausibile che Harald sia stato il vero innovatore nella storia dei giganti. Fu disposto a infliggersi mutilazioni pur di cancellare il marchio degli antichi e aprire i confini del Warland, connettendo l’isola al resto del mondo. Non solo: rinunciò persino alla propria felicità, sacrificando la sua prima famiglia, ritenuta politicamente inadatta, per perseguire un cambiamento radicale e definitivo. Va sottolineata una cosa, un re malvagio avrebbe preteso che tutti subissero il suo stesso trattamento, un sovrano buono, invece, lo impone solo a se stesso per divenire bandiera di un pensiero.
Avete notato che a un certo punto Luffy si aggrappa a uno dei corni? Ne sono stato lieto, perché le considerazioni successive dei personaggi rendono un filo plausibile la mia teoria, so che in questo momento potrebbe leggermi sia chi mi segue fin dall’inizio o chi lo fa per la prima volta. Per essere celeri nei ragionamenti vi dico dove la potete recuperare…

… ecco a voi, la trovate nel paragrafo Selezione (in)naturale, parla di della leggenda di Ymir, e il progressivo diluirsi del corredo genetico dei giganti.
Riprendendo il discorso, è Road stesso ad affermare che non esistono più giganti di sangue puro, ma solo individui che ne hanno ereditato i tratti. Dal punto di vista genetico, questa affermazione è del tutto plausibile: è naturale che possano nascere individui con caratteristiche più marcate rispetto ad altri. Tuttavia, incontriamo un’altra frase ambigua: ‘Quei giganti erano collegati all’era delle guerre‘. Un’espressione che, di per sé, significa tutto e niente. Sarebbe ben diverso scrivere: ‘Erano incapaci di controllarsi, distruggendo persino la loro stessa specie‘, quasi fossero soggetti a un’irrefrenabile furia berserk.
Sul piano pratico, però, non abbiamo mai – e ribadisco, mai – visto un gigante perdere il controllo al punto da smarrire l’intelletto umano. Persino Oars Jr, per quanto imponente e legato alla sua stirpe, si distingue per la sua natura gentile e civile, incarnando l’immagine di un gigante buono piuttosto che quella di un mostro fuori controllo.
Ma non suo padre.
Ossia un guerriero più antico di Jarl (parliamo di minimo 500 anni fa), che corrisponde alla furia descritta da Road e temuta da Elbaph, citato nell’SBS 49:
D: Oda-sensei, ciao!!! Ecco la mia domanda. Oars potrebbe essere molto grande, ma è un gigante? Se è un gigante, significa che viene da Elbaph? Spiegami il background!
O: Sapete che nella vostra classe c’è sempre un ragazzo veramente grande? Oars è un gigante, ma tra loro è ancora più grosso del normale. Non è un guerriero di Elbaph. Ci sono molte isole in tutto il mondo in cui vivono dei giganti. Lui è solo un gigante enorme e malvagio di una di queste isole. Ecco cos’è Oars!
E ancora meglio nel manga:

Elbaph potrebbe non temere la perdita del controllo, del proprio io, per una qualche ragione soprannaturale che gli fa smarrire il senno: bensì teme il proprio istinto.
Lo stesso principio che distingue il cane dal lupo, quello che ci ha evoluti da creature guidate da inclinazioni selvagge a esseri razionali, civili. Mosse appunto dal raziocinio, e non più dagli impulsi biologici, gli stessi che ancora convivono nella parte rettile del nostro cervello, ma che vengono frenati dall’intelletto (cosa che Oars chiaramente non possedeva, passato a miglior vita grazie alla mania di indossare un semplice perizoma… nel gelo artico, una mente eccelsa).
Qualcuno, magari lo zoccolo duro dei guerrieri anziani del Warland, o forse personaggi che ancora non conosciamo o per il momento insospettabili, potrebbero avere un pensiero diametralmente opposto a quello di Harald. Vale a dire che la civiltà, sebbene inizialmente li abbia protetti, successivamente li ha plasmati, rivelandosi ben presto una gabbia (ai loro occhi, s’intende). Ma dietro l’educazione ricevuta, c’è una forza più grande che attende solo di essere liberata: il proprio istinto. Come un animale che sa, a livello inconscio, che la sua vera essenza risiede nella forza che gli è stata trasmessa da generazioni.
La frase ‘il sangue di altri paesi contaminerebbe quello puro di Elbaph‘ lascia intendere una sfumatura quasi soprannaturale, come se il semplice possesso di una particolare eredità genetica rendesse inevitabili scatti d’ira ferina. Tuttavia, sappiamo che non è così: conosciamo decine di personaggi con le corna, tutti perfettamente raziocinanti e capaci di autocontrollo. È più probabile che questa convinzione nasca da una tensione ideologica. Da un lato, la nuova generazione sembra voler incarnare un netto rifiuto verso gli impulsi primitivi e violenti attribuiti agli antenati; dall’altro, è possibile che qualcuno si interroghi sul prezzo di questa trasformazione. E chi lo sa, forse si chiede: siamo disposti a perdere la nostra vera essenza per adattarci?
Potrebbe perfino esserci chi segretamente odia deliberatamente il rigore della cultura; che, sotto la pelle dell’evoluzione, porti il seme di un’antica aggressività che reputa potere, il richiamo della quale è irresistibile.
Il tramite? La stessa fierezza che ha reso grande Elbaph. Alcuni giganti potrebbero sentirsi civilizzati, ma altri… addomesticati.
Due fratelli
‘Era stato sconfitto (lo sapeva); ma non era stato spezzato.’
– Jack London, Il richiamo della foresta
In tutta sincerità, nel capitolo mi hanno colpito maggiormente Loki e il fratello maggiore, piuttosto che Shamrock.
Zitto zitto, quatto quatto, Hajrudin si delinea sempre più come una figura dal percorso straordinario. Come ricorderete, durante l’addestramento con Jarl e Jorl, il giovane era coperto di ferite e manifestava un temperamento irruento. Gli altri bambini, non a caso, lo soprannominavano il ragazzino selvaggio—appellativo che ora trova piena giustificazione. In un contesto dove le linee tra buoni e malvagi si confondono, dove non è chiaro se tutti siano stati vittime di un’inganno orchestrato da un’entità esterna, rimane un grande punto interrogativo: che fine ha fatto la prima compagna di Harlan? È chiaro che sia stata proprio la perdita di lei, unita alle discriminazioni subite, ad alimentare la furia di Hajrudin e a plasmare il suo carattere indomito.
Ciò che mi ha sempre lasciato perplesso è l’arroganza che Hajrudin mostrava a Dressrosa, un atteggiamento che sembrava fuori luogo rispetto a ciò che avrebbe poi rivelato di sé: un individuo onorevole e degno di rispetto. Basti pensare a come ha ringraziato Usopp, riconoscendo il suo coraggio, e con quanta passione ha deciso di unirsi a Luffy. E va detto, in quel momento il futuro Re dei Pirati non aveva ancora risvegliato il potere di Nika. C’è poi un dettaglio raffinato nel capitolo 1137, che tratteggia il profilo psicologico di Road e i motivi della sua assoluta lealtà al capitano. Non che sia una novità (anzi) ma da bambino, il gigante era un otaku.
Apriamo una brevissima parentesi, per chi non conoscesse bene il termine e il pregiudizio ad esso associato.
Dagli anni ’80 è stato adottato per riferirsi a persone con un interesse estremamente approfondito verso un argomento specifico, che fosse anime, manga, videogiochi o persino hobby come modellismo, o tecnologia.
In Giappone, otaku ha acquisito una sfumatura negativa principalmente a causa della percezione sociale di chi dedica un’intensa quantità di tempo e risorse ai propri interessi, spesso a scapito della socialità tradizionale (e te pareva). Questo pregiudizio è stato amplificato dopo alcuni episodi mediatici, quando in casa di alcuni delinquenti (persino un serial killer) trovarono materiale ‘otaku’, il fatto venne enfatizzato dalla stampa, creando uno stigma.
Tuttavia, oggi in Giappone il termine non è esclusivamente dispregiativo: può essere usato in modo neutrale o affettuoso per indicare un appassionato.
In Occidente, è stato adottato con una connotazione prevalentemente positiva o neutrale. In sintesi, l’uso spregiativo è solo una delle tante interpretazioni del termine, ma non rappresenta la sua essenza completa.
Chiusa parentesi.
Il disprezzo verso il sangue impuro emerge chiaramente anche nelle parole e nei pensieri di Road, radicato come un marchio indelebile nella cultura che lo ha cresciuto. Eppure, la stima che nutre per Hajrudin ha radici in qualcosa di molto più profondo: fu il primo a non deriderlo per la sua passione, anzi, a intravedere in lui un talento prezioso, un valore che nessun altro aveva saputo riconoscere. Immaginate un istante un ragazzino introverso, emarginato come potrebbe esserlo Nami senza l’affetto di Nojiko e Bellmere. A essere sincero, quella scena mi ha colpito dritto al cuore: semplice, essenziale, ma in grado di trasmettere un’emozione autentica. Probabilmente, anche Hajrudin aveva provato il peso dell’esclusione, marchiato come ‘impuro’, emarginato per la sua dedizione all’arte della guerra. Forse proprio questa affinità lo ha portato a comprendere meglio ciò che provava Road.
Senza contare che, fin da bambino, disegnava con abilità. Ed è bello pensare che proprio Hajrudin gli abbia dato il coraggio di coltivare la sua passione. Lo ammetto: sarà un pirla, ma quando ottiene la sua piccola rivincita morale non ho potuto fare a meno di esultare. Road 1 – bulli 0.
Non solo questo, Hajrudin ha dovuto sopportare altrettanta tristezza, veniamo a conoscenza del fatto che la madre non era semplicemente malvista: ma oggetto di ostilità. Tanto che al ragazzo fu proibito vivere nel castello. Si, ora si capisce la rabbia di determinati momenti. Ma, c’è qualcosa che non mi esce dalla testa. Il rapporto dei due fratellastri, e quello che entrambi dovevano avere con il padre. La prima cosa che viene in mente, è che Hajrudin dovrebbe essere in collera con Harald, se non ha sposato la madre vuol dire che non si è battuto per lei? Come si comportava verso chi aveva comportamenti torvi o inadeguati con la compagna? Quindi dovrebbe simpatizzare con Loki…

… invece la sua reazione genuina è di pura stizza. Osservate la vignetta: accanto a lui c’è un gigante con corna naturali. A ben pensarci, li vediamo ovunque, persino tra i bambini della scuola del tricheco. Questo dimostra che sono cittadini integrati, non vittime di discriminazione. Ergo l’idea del ‘sangue puro’ potrebbe risultare nauseante, soprattutto se associata a ideali di supremazia.
Quindi è quello del primogenito, e non del padre, l’unico sogno degno di nota, il progetto di un sola casata superiore (per di più, chiaramente ostile verso le altre) è elitario, un tema che sembra insinuarsi sottotraccia, ma che potrebbe esplodere in tutta la sua drammaticità nel corso della narrazione, con implicazioni capaci di scuotere sia i personaggi che noi lettori. Hajrudin, dal canto suo, ha costruito il proprio sogno perché segnato dalle sofferenze della madre, trasformandole in un desiderio rivoluzionario: riunire i clan dei giganti, abbattere i pregiudizi, eliminare le barriere sociali che li frammentano. Questo progetto di unità lo ha spinto verso scelte precise. Harald, morto ormai da 14 anni, non rappresenta più un fattore di potere diretto, ma la sua eredità ideologica resta un ostacolo. Quando Dressrosa entra in scena, appare chiaro che l’obiettivo di Hajrudin fosse il Mera Mera no Mi, la cui forza avrebbe potuto fungere da strumento decisivo.
E per cosa? Questa è la domanda cruciale. Contrastare Loki e obbligarlo a reintegrarsi nella società? Opporsi a un personaggio ancora ignoto che potrebbe incarnare un’altra minaccia per l’equità sociale? O, più pragmaticamente, ottenere la forza necessaria per sedare eventuali conflitti tra le tribù di giganti, evitando una guerra interna che avrebbe distrutto tutto ciò per cui combatteva?
Per di più, è lui a doversi occupare di Loki, ed è un eufemismo dire quanto sono curioso del loro rapporto. Nei miei sogni più sfrenati, amerei se l’atmosfera richiamasse Robin Hood di Kevin Reynolds, ricordate la scena di Kevin Costner e Christian Slater?
Will Scarlett: È stata la tua rabbia a separarli! Non è una bugia! Hai rovinato la mia vita! Ho più motivi per odiarti di chiunque altro. Ma ho osato crederti. Quello che voglio sapere, fratello, è se resterai con noi e finirai quello che hai iniziato.
Ovviamente navighiamo nella precarietà narrativa, poiché Harald si separò dalla madre di Hajrudin molto prima della nascita di Loki, un fatto che pone una distanza temporale significativa e una complessità emotiva nelle dinamiche familiari dei fratellastri. Nonostante ciò, l’idea di una possibile riconciliazione rimane una possibilità che amerei. Perché credo che abbiano sofferto entrambi, sebbene le scelte di Loki sembrino portarlo sempre più lontano dalla redenzione, non si può escludere un’evoluzione inaspettata.
Il principe, infatti, incarna un’antitesi avvincente: un personaggio che respinge l’autorità assoluta dei Draghi Celesti, ma che, allo stesso tempo, si macchia di crimini e atti che lo dipingono come un essere spietato. Nonostante tutto, mi rimane difficile etichettarlo come un villain puro. In lui si intravede il potenziale dell’antieroe, un individuo la cui scorza di indifferenza e aggressività potrebbe nascondere motivazioni più profonde e, forse, persino nobili. Potrebbe essere mosso da un trauma passato, da una perdita o da un’ideologia distorta ma radicata in un senso di giustizia personale.
La beffardigia con la quale si pone verso i cavalieri, fa l’occhiolino al bastian contrario che è in ognuno di noi.
Gunko, introdotta nelle prime vignette con tratti che suggeriscono un fanatismo latente, si conferma infine un’invasata vanagloriosa, personaggio che oscilla tra il delirio di onnipotenza e un cinismo sprezzante. Il suo approccio a Loki si concretizza in un’argomentazione crudele, quasi teatrale, che ridicolizza il suo sogno di ascendere a uno status divino. Il sarcasmo con cui gli dà del pazzo, ribadendo che solo i Draghi Celesti possono essere considerati dèi, sottolinea per l’ennesima volta la natura corrotta e folle dei nobili mondiali. La scena della tortura, poi, merita un’analisi approfondita:
- Il potere della guerriera è tra i più insidiosi mai visti. Si nota come possa attaccare direttamente o tracciare una traiettoria preventiva. Loki è un maestro nella tonalità della percezione, capace di cogliere ogni dettaglio anche da bendato, con un quadro completo e nitido. Ed è proprio questo il particolare inquietante: ha schivato un Gear senza preavviso, cogliendo i riflessi fulminei di Luffy, ma non è riuscito a evitare un attacco annunciato, di cui conosceva l’esatta traiettoria. Infatti, lei afferma che i suoi colpi vanno sempre a segno. Il suo potere ha qualcosa di vincolante.
- Era da tempo che non assistevo a un sadismo simile. Avete presente la tortura della goccia d’acqua sulla testa? Ecco, il principio di Gunko è lo stesso: chiede se vuole diventare un cavaliere, diniego, colpisce; ripete la domanda, diniego, colpisce ancora. Il suo obiettivo è condurlo al collasso psicologico e fisico. E, alla fine, ci riesce.
Forse deluderò qualcuno, ma preferisco essere onesto: Shamrock non mi suscita né entusiasmo né disinteresse, al momento. È ovviamente spietato quanto la sua compagna (mancava solo che sbadigliasse durante il pestaggio), nuovo capo dei Cavalieri di Dio, e certamente non si arriva a una posizione simile senza essere una belva. Visto che poi Loki preferirebbe farsi uccidere piuttosto che arrendersi, gioca la carta della chiamata a casa. Quindi, è ormai ufficiale: il principe è il legittimo erede al trono, quindi i nobili cercano di aggirare il Ragnarok includendo i giganti tra le proprie fila. Un’idea che rovescia il mito, ma è logica: quando i tuoi nemici iniziano a combattere al tuo fianco, quando mai potrebbero sconfiggerti? In quest’ottica si fornisce (non immediatamente, si getta il seme magari) il pretesto bellico che potrebbe riunire i clan di giganti che si detestano: il nemico del mio nemico… è mio amico?
Vi ricordo ancora che non sappiamo chi sia buono e chi malvagio, ok, fin qui ci siamo, ma personalmente so cosa mi fa andare fuori da gangheri. I Draghi Celesti sembrano trarre piacere non solo dal tormentare Loki, ma dal distruggere i suoi ideali.
Sto amando questa saga, sinceramente.
Come sempre vi linko il video del Re, a un pizzico di dati storici aggiungete una spolverata di visione trasversale, passate un velo di introspezione psicologica, e quindi tenete il tutto nella vostra mente per 36 minuti. E’ pronto in tavola!
E se foste interessati a ulteriori analisi su altri
manga, vi invito a visitare il mio canale…
https://www.youtube.com/@Cenere_SG
Atarassia nervosa
Spero di avervi intrattenuti, spinti a riflettere e ragionare.
Fin dal principio della narrazione, Loki è oggetto di insulti, strattoni, disprezzo, percosse, viene ridotto all’incoscienza. Eppure, ogni volta si rialza, ridendo.
Non gli importa di nulla e di nessuno, dice.
Con una partenza violentemente laconica, la nuova saga (a differenza di Egghead) si reggerebbe da sola anche grazie all’energia nevrotica del personaggio di Loki. Da apprezzare il crudo realismo, privo di abbellimenti: la narrazione scorre fluida, intrisa di un sarcasmo acuminato che diluisce senza mai sminuire il dramma. Un dramma che affonda le radici in una terra e in un passato segnato da un idealismo disilluso, incarnazione di un popolo in lotta con le proprie contraddizioni.
Elbaph esplora temi di identità, di confronto con le proprie scelte e (forse) del prezzo della fedeltà, sia verso gli altri che verso se stessi.
Una calma sismica tra prosa viscerale e comicità grottesca, intervallata da sprazzi di malinconia profonda, che cattura l’essenza di una civiltà piegata su se stesa, si, ma caparbia.
Libera. Indomita.
Godiamoci il viaggio, genti
‘I stand, not crawling, not falling down
I bleed the demons that drag me down
I stand, not crawling,
not falling’– Mudvayne, Not falling
Cenere